Pubblicato il 21/11/2018, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Guè Pequeno e il noir napoletano in chiave rap: arriva Sinatra

Guè Pequeno e il noir napoletano in chiave rap: arriva Sinatra
Sinatra - La serie è prodotta da Studio+ e Universal Italia, scritta da Ezio Abbate e tratta da un’idea originale di Pepsy Romanoff, Maurizio Ridolfo e Jansen&Rodriguez. L’album Sinatra e l’esclusiva AlbumStory in cui Guè Pequeno racconta il suo ultimo lavoro discografico, sono disponibili su TIMMUSIC, la piattaforma per la musica in streaming di TIM.

Sinatra – La serie, tre episodi disponibili su TIMVISION dal 21 novembre ogni mercoledì prodotti da Studio+ e Universal Italia, intreccia realtà e fiction, tv e musica: RadioItalia è la radio partner del progetto

 

Questa è l’età dell’oro delle contaminazioni di genere: le serie tv attingono dai libri, i libri a loro volta si riproducono in sceneggiature di progetti televisivi, la musica calca la mano sulla componente narrativa dei videoclip, i romanzi vengono scritti con una playlist suggerita capitolo per capitolo. E poi c’è il web, c’è Rovazzi che fa un videoclip con linguaggio cinematografico e ci butta dentro Carlo Cracco, ci sono le rockstar che entrano di soppiatto nella vita degli scrittori: è il caso dell’ultimo lavoro di quel geniaccio di Massimiliano Parente per La Nave di Teseo, intitolato Parente di Vasco, in cui uno scrittore si innamora di una rockstar e decide di sequestrarla.

Proprio il sequestro è il tema portante della ruffiana (non è per forza un difetto) Sinatra, progetto noir griffato Guè Pequeno, nato per rendere palpabili le suggestioni stradaiole del suo recente album. Il rapper, nato in un contesto borghese meneghino, armato di ottime letture e di capacità intuitive lungimiranti, da un bel po’ ha dimostrato di saper intercettare gli zeitgeist del momento, e Sinatra non fa eccezione.

Intervallate da intermezzi musicali ad hoc, le tre puntate della serie – ognuna della durata di dieci minuti circa – mostrano Pequeno al culmine del successo mentre scalda la folla durante un concerto a Napoli. Solo che, prima di dare inizio alle danze, uno scalcagnato terzetto di feroci Gomorristi wannabe (pensi a un noir ambientato a Napoli e l’accostamento va subito volontariamente a Gomorra e, involontariamente, al Giallo Napoletano di Sergio Corbucci, con Marcello Mastroianni) decide di sequestrarlo.

Tra frasi a effetto di impronta machista: «Dobbiamo mordere la vita prima che la vita morda noi», pistolettate con impugnatura di traverso in stile afroamericano, anelli e abbigliamento d’ordinanza ghetto di lusso, la storia scorre con colpi di scena, citazioni, qualche incursione autoironica, coinvolge richiamando ampiamente quest’epoca: l’estetica si sovrappone all’etica, il compromesso mercatista libertario funziona se messo al servizio di una scalata sociale da esternare con lessico incasellato in rituali da tribù.

Scritta da Ezio Abbate, tratta da un’idea originale di Pepsy Romanoff, Maurizio Ridolfo e Jansen&Rodriguez, diretta da Pepsy Romanoff e Jansen&Rodriguez, curata nei dettagli e nei mezzi, vede tra i protagonisti a fianco di Gue Pequeno, tre bravi attori napoletani che provengono dal teatro sociale: Vincenzo Antonucci, Simone Borrelli e Emanuele Vicorito. A loro il compito di interpretare tre giovani messi ai margini della società, decisi a prendersi una rivincita su chi invece ce l’ha fatta e a dar vita a una messa in scena noir in cui il rapper emerge come vero duro da film d’azione anni ’90. Quel genere di film a cui non fa mistero di ispirarsi quando si cuce addosso un’immagine.

Gabriele Gambini

(nella foto Guè Pequeno)