Pubblicato il 12/11/2018, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Simone Rugiati: Cucinare con consapevolezza per cambiare il mondo

Simone Rugiati: Cucinare con consapevolezza per cambiare il mondo
Simone Rugiati torna con Cuochi e Fiamme da lunedì 12 novembre su Food Network (canale 33 del Digitale Terrestre). Gli ingredienti: una gara creativa tra cuochi amatoriali, una giuria rinnovata (Chiara Maci, Debora Villa, Lorenzo Sandano), il coinvolgimento del pubblico in studio.

Simone Rugiati torna con Cuochi e Fiamme su Food Network (canale 33 del DTT) e dice: “Ho un bellissimo ricordo di Pechino Express”

Dopo la grande abbuffata degli ultimi anni che ha trasformato il mondo della gastronomia in territorio di saccheggio dell’Auditel, la nuova frontiera dei programmi sul cibo punta su una prospettiva diversa. Indirizzare i gusti del pubblico medio – consumatore, ma anche aspirante cuciniere dilettante – sull’utilizzo consapevole delle materie prime.

«C’è in gioco la salute, perché la vera prevenzione inizia dalla tavola. Ma c’è in gioco anche il futuro del pianeta, arginare i cambiamenti climatici e le catastrofi a essi collegate è possibile soprattutto attraverso l’informazione. Chiunque può fare la sua parte, imparando a mangiare in modo saporito e sensato». Parola di Simone Rugiati.

Lo chef, già impegnato con Street Food Battle su Italia 1, torna col suo cavallo di battaglia più noto, quel Cuochi e Fiamme che da lunedì 12 novembre si è trasferito armi e bagagli su Food Network (canale 33 del Digitale Terrestre). Gli ingredienti non sono cambiati: una gara creativa tra cuochi amatoriali, una giuria (Chiara Maci, Debora Villa, Lorenzo Sandano), il coinvolgimento del pubblico in studio. Con Rugiati a fare da guida.

Cuochi e Fiamme nasce come classica sfida gastronomica.

Quest’edizione è tutta nuova, ma non rinuncia ai capisaldi di sempre. C’è il salotto gastronomico con una sfida goliardica tra cuochi, un pretesto per far passare informazioni utili su come utilizzare le materie prime e la creatività in modo intelligente. C’è l’aspetto della valutazione, liberato dalle tensioni che siamo abituati a percepire in altri talent show.

Lo studio è cambiato notevolmente.

Sembra un anfiteatro greco-romano, in cui combattere battaglie divertenti, stimolando l’attenzione degli spettatori sull’uso sostenibile delle materie prime, sul riutilizzo degli avanzi delle linee, evitando gli sprechi. Si tratta di un aspetto a cui tengo molto, perché sottolinea l’importanza sociale che uno chef può avere quando veicola messaggi. Nel programma faccio la mia parte con un linguaggio schietto e diretto. Per esempio, quando viene utilizzato l’olio in modo sbagliato e anche pericoloso, mi sforzo di spiegare il perché non si tratti solo di un errore qualunque, ma di un errore con conseguenze nocive per la salute.

In questi anni, l’attenzione al cibo data dalla televisione ha fatto del bene al mondo della gastronomia?

La tv ha portato l’attenzione della gente sull’abbinamento costo-materia prima. Le calorie costano meno, in termini economici, rispetto al passato, anche grazie all’informazione televisiva. L’alta cucina non è mai stata tanto popolare come lo è oggi. Il vocabolario tecnico è sulla bocca di tutti. Beninteso, anche con conseguenze negative: un tempo gli italiani al bar erano tutti esperti di calcio, oggi lo sono di fornelli e ricette.

Italiani popolo di allenatori di calcio e di chef?

Per evitare la banalizzazione, è importante non abbassare la guardia sugli aspetti didattici. Cuochi e Fiamme nasce per questo. Cerco di partecipare al meccanismo autoriale, è necessario non confondere la qualità con la commerciabilità. Sebbene il saper comunicare con efficacia sia diventato un veicolo indispensabile per diffondere la qualità. Ma non sempre i due aspetti vanno di pari passo.

In passato si era mostrato critico verso quei talent show che esasperavano gli aspetti competitivi della cucina.

Ci sono talent show ben fatti, spettacolari, nati per la televisione, che svolgono in modo eccellente ciò che la televisione chiede loro: fare spettacolo, utilizzare la pressione come strumento di narrazione verso persone non ancora pronte a diventare chef. Ma guai a pensare che quella sia la vita autentica di chi sta in cucina. Non lo è. Nemmeno Cuochi e Fiamme lo è. La tv non racconta la vita vera di chi sta ai fornelli. Può però lanciare messaggi.

In passato era stato criticato per la sua sovraesposizione televisiva in contesti non pertinenti al mondo della cucina.

Di recente ho detto no al Grande Fratello Vip. Non mi interessava. Ho partecipato ad altri reality show, è vero, e non mi pento. Non l’ho fatto per la fama tout court. Quando accettai L’Isola dei Famosi lo feci perché amo il mare e la pesca e pensavo fosse una sfida stimolante per conciliare quei due aspetti. Non andò così. Invece Pechino Express fu un’esperienza straordinaria.

Pechino Express promosso, dunque.

Partecipai alla prima edizione, la più pionieristica e avventurosa. Tutto era nuovo, non si sapeva ancora come gestire gli aspetti estremi della gara. Fu qualcosa di intenso, tosto, stimolante. Mi ha ampliato gli orizzonti, ho capito il significato di condivisione sociale da parte di popoli molto meno ricchi del nostro. Girare il mondo apre gli occhi. Da lì ho iniziato a collaborare con diverse onlus e associazioni, penso a Charity Stars, che raccontano in modo attivo e partecipato che cosa significhi condivisione e distribuzione delle risorse.

A che cosa ha rinunciato per diventare chef?

Alla quiete quotidiana. Ogni giorno è diverso dall’altro, i ritmi sono frenetici persino per un uomo iperattivo come me. Ho rinunciato soprattutto alla famiglia. I miei genitori vivono in Toscana, li vedo poco. Però l’anno scorso ho portato mio padre a vedere le piramidi in Egitto. Glielo dovevo.

Una famiglia tutta sua, Simone Rugiati l’avrà mai? Ci pensa?

Adoro i bimbi e i bimbi adorano me. Nella mia famiglia, ogni 30 anni, di generazione in generazione, è sempre arrivato un nuovo nato. Sono il primo ad aver interrotto la tradizione. Ma per fare un figlio occorre trovare innanzitutto una donna davvero sincera. Attualmente sono single. E poi occorre farlo nascere in un mondo che possa davvero stimolarlo. Sto facendo la mia parte su questo.

Che cosa intende per “mondo che possa stimolarlo”?

Sto lavorando da tempo con un’associazione che monitora i dati dei cambiamenti climatici nel mondo. La situazione è allarmante. Tra vent’anni le risorse a nostra disposizione, soprattutto l’acqua, potrebbero non essere così a portata di mano come oggi. Siamo vicini al baratro. Tutto dipende dalle scelte globali che verranno fatte. Per questo mi sento in parte responsabile, col mio lavoro.

Il suo lavoro può far passare messaggi di prevenzione.

Evitare l’eccessivo consumo di carne, per esempio, per non alimentare gli allevamenti intensivi, tra i principali responsabili del global warming. Evitare gli sprechi così diffusi nel mondo occidentale. Trovare l’equilibrio tra sapori, territori, utilizzo consapevole delle materie prime. Ci credo e mi sforzo di parlarne. Per fare un figlio, occorre provare a consegnargli un mondo un po’ migliore rispetto a quello che abbiamo trovato.

E sul fronte dei progetti televisivi futuri?

Hanno a che fare con quanto detto fino a ora. Sto girando un altro programma con Discovery. Qualcosa di itinerante e inedito. Poi sto lavorando a un’altra idea: aiutare i ragazzi borderline, con difficoltà comportamentali e necessità di reinserimento sociale, attraverso un docu-game che permetta loro di ricominciare una vita imparando un mestiere ai fornelli.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto, Simone Rugiati con i giurati di Cuochi e Fiamme)