Pubblicato il 06/11/2018, 18:05 | Scritto da F. Canzonettari
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Abbiamo visto Bohemian Rhapsody, il film sui Queen e Freddie Mercury

Abbiamo visto Bohemian Rhapsody, il film sui Queen e Freddie Mercury
Siamo andati in Francia a vedere il film sulla mitica band inglese, che in italia uscirà a fine mese. Buona la parte musicale, meno quella che racconta le storie umane.

Il film Bohemian Rhapsody arriverà in Italia tra un mese

Ho visto a Nizza, dove sono stato durante il ponte, Bohemian Rhapsody, il film sui Queen, che in Italia uscirà a fine mese. Sono andato al cinema un po’ perché il tempo non era fantastico, un po’ perché, occupandomi di musica – pur non essendo mai stato un fan dei Queen – ero curioso di vedere questa pellicola che è costata così tanto tempo e così tante discussioni e ripensamenti e cambi di regia e interpreti.

Mi è piaciuta? Sì e no

Generalmente i film che trattano, in tutto o in parte, narrazioni riguardanti la musica, risultano imprecisi, goffi, poco credibili proprio nelle parti che raccontano argomenti prettamente musicali.

Ecco, Bohemian Rhapsody è all’esatto opposto. Con l’unica eccezione del ritratto eccessivamente caricaturale e burlesco del capo della casa discografica Emi – evidentemente una vendetta postuma di Brian May – per il resto le scene in cui seguiamo la band in studio di registrazione o sui palchi dei concerti sono ben realizzate, dettagliate e quasi storiografiche.

È un film, non un documentario

Certo, il film è un film, non un documentario, per cui l’ascesa alla fama dei Queen è riassunta a grandi linee, e non mancano gli errori storici (manca anche una canzone, Crazy little thing called love, nella lunga scena finale che ricostruisce l’esibizione dei Queen al Live Aid del 1985); ma anche un pignolo come me ha trovato più che apprezzabile, ad esempio, la ricostruzione della nascita in studio di Another one bites the dust, come di quella della canzone che intitola il film.

La parte fiction delude

Quello che invece mi ha lasciato decisamente insoddisfatto è proprio la parte non musicale: un susseguirsi di luoghi comuni, banalizzazioni, cliché, da film di serie B o anche C (la scena della conferenza stampa è imbarazzante).

Ora: d’accordo che alla produzione hanno concorso in maniera decisiva Brian May e Roger Taylor, oltre allo storico manager Jim Beach, e che quindi non ci si potevano aspettare troppe rivelazioni sui dietro le quinte e i retroscena; anche per questo sembra decisamente esagerata l’attribuzione a Paul Prenter, ex manager di Freddie, del ruolo di “cattivo” del film (facile prendersela con un morto – Prenter è scomparso nel 1991; oltretutto la relazione personale e professionale fra lui e Mercury non si interruppe prima del Live Aid, come vorrebbe il film, ma dopo), come appaiono decisamente banali le ricostruzioni della festa a casa di Freddie e delle sue escursioni nei locali gay, così come è romanzatissimo il suo primo incontro con Jim Hutton (che non era un addetto al catering, ma un parrucchiere incontrato, appunto, in un bar gay).

Chissenefrega della veridicità storica, direte voi e dico anch’io: ma se si vuole inventare, almeno s’inventi bene e senza ricorrere agli stereotipi più biechi.

La musica è padrona del film

Ciò detto, lo ripeto, la componente musicale del film è davvero ben realizzata, e vale la spesa del biglietto. Della qualità dei dialoghi posso dirvi poco; purtroppo non sono riuscito ad assistere alla proiezione in inglese, e mi sono dovuto adattare a quella doppiata in francese – lingua che non mi è molto familiare.

Le musiche sono eccellenti, il cast all’altezza (Rami Malek, sebbene assai aiutato dalla protesi dentaria, è davvero molto, molto simile a Freddie Mercury), e alla fine del film il pubblico in sala ha applaudito come se fosse alla fine di un concerto. Buon segno, no?

 

F. Canzonettari

 

(Nella foto una scena di Bohemian Rhapsody)