Pubblicato il 01/10/2018, 19:31 | Scritto da Gabriele Gambini

Manifest su Premium Stories: l’intrigo paranormale al sapor di dramma familiare

Manifest su Premium Stories: l’intrigo paranormale al sapor di dramma familiare
I passeggeri del volo di linea Montego 828 atterrano dopo un viaggio di poco più di tre ore scoprendo che fra il decollo e l’atterraggio nel mondo sono passati più di 5 anni. Questo è il presupposto di Manifest, in onda stasera su Premium Stories.

Il regista Premio Oscar Robert Zemeckis è il produttore esecutivo di Manifest

C’è la firma di Robert Zemeckis, nella serie tv nuova di zecca Manifest (il debutto sul network americano NBC è avvenuto il 24 settembre, in Italia sarà su Premium Stories lunedì 1 ottobre in prima serata e il giorno dopo su Infinity), e già questo è garanzia di intrecci spazio-temporali ad alto tasso di efficacia pop: Zemeckis è l’uomo dietro alla trilogia di Ritorno al Futuro, ha insegnato ai nati negli anni ’80 che viaggiare nel tempo può essere spassoso. Seppur non esente da controindicazioni.

Nel caso di Manifest, lo spasso è nello spettatore, le controindicazioni nei protagonisti. Si parte da un presupposto gustoso: i passeggeri del volo di linea Montego 828 atterrano dopo un viaggio di poco più di tre ore scoprendo che, fra il decollo e l’atterraggio, nel mondo sono passati più di 5 anni. Se sulla Terra il tempo è proseguito linearmente e il velivolo è considerato ormai irrecuperabile, sull’aereo nessuno è invecchiato. Il trauma dell’incontro tra i presunti dispersi (che scopriranno anche di aver sviluppato capacità paranormali) e i loro cari avviene con un fardello di conseguenze capace di far viaggiare il racconto a metà tra il family drama e l’intrigo paranormale.

Si vira su due livelli di lettura. Quello spiritual filosofico con connessioni scientifiche: nel mondo domina il divenire apparente a dispetto della staticità dell’Essere, i fatti sono fatti perché avvengono nell’unità di tempo, che cosa accadrebbe se la curvatura spazio-temporale cambiasse per alcuni e non per altri?

Poi c’è l’intreccio di personalità: la serie ha un respiro corale, i protagonisti sono tanti, rendono spontanea un’alleanza emotiva con il pubblico, e per ciascuno di loro si scoprono segreti e verità progressive che ne metteranno in discussione le caratteristiche portanti. Tuttavia i due livelli sembrano dipanarsi generando curiosità nello spettatore senza approdare a soluzioni cervellotiche che avevano appassionato i fan di Lost.

È proprio Lost, il primo raffronto seriale a cui Manifest rimanda, ma non solo: c’è Leftlovers, con la tematica della sparizione inspiegabile, c’è l’armamentario soprannaturale tipico degli showrunner americani, che usano sapientemente le trame metafisiche come espediente per scavare nella psiche umana. C’è pure un pizzico di Stephen King, quello del romanzo La zona morta, portato sullo schermo da Cristopher Walken: un uomo si risveglia dal coma e scopre di possedere facoltà paranormali. C’è un guazzabuglio di riferimenti per un prodotto che, per mantenere alti gli squisiti presupposti iniziali, dovrà usare con sobria arguzia il plot twist.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto la locandina di Manifest)