Pubblicato il 27/06/2018, 15:05 | Scritto da Guglielmo Cancelli

In streaming sono disponibili 50 milioni di brani, ma ascoltiamo sempre le stesse cose. Ecco perché

La democrazia dello streaming musicale è un falso storico, visto che alle fine gli algoritmi privilegiano i Big

Uno degli argomenti più insopportabili della retorica legata alla nuova era (discografica) digitale è che lo streaming sia democratico. In breve: una volta l’arcigno e ricchissimo discografico monopolizzava i canali di distribuzione e piazzando i suoi dischi praticamente ovunque, obbligando di fatto il pubblico ad ascoltare quello che voleva lui. Oggi, invece, lo streaming in linea teorica offre le stesse possibilità tanto ai Coldplay quanto al gruppo del vostro vicino di casa: la vetrina è la stessa, e il popolo della Rete è il giudice. Uno vale uno. Sì, certo, come no…

BuzzAngle Music, società specializzata in indagini in ambito discografico, ha censito tutti i brani presenti nei cataloghi dei servizi streaming presenti sul mercato: oggi come oggi, la Rete offre l’accesso diretto a oltre 50 milioni di canzoni. In pratica, a tutto lo scibile musicale umano. Nessuno, mai, ha avuto così tanto a portata di mano, anzi, di orecchio. Eppure…

Eppure, secondo le indagini di BuzzAngle Music, il 99,2% degli stream è registrato da solo il 10% dei brani presenti in questo immenso catalogo virtuale. In pratica: a farcela, per così dire, sono sempre gli stessi, nonostante gli altri – chiamiamoli “sommersi” – si siano scontrati coi vip praticamente ad armi pari. Ma è così vero?

Non proprio. La visibilità sulle piattaforme di streaming di un brano, un disco o un artista è per lo più regolata dagli algoritmi chiamati ad assolvere le funzioni “discover” (ovvero farvi ascoltare musica simile a quella che ascoltate già, ma che voi ancora non conoscete) e dalle playlist: va da sé che il gruppo del vostro vicino di casa, per quanto bravo, talentuoso e promettente possa essere, molto difficilmente potrà finire di punto in bianco tra Beyoncé e gli Imagine Dragons.

Questo per diverse ragioni: un po’ perché la popolarità sulle piattaforme è già di per sé un indicatore importante (in pratica, più sei famoso più ti segnalo agli ascoltatori facendoti diventare ancora più famoso), un po’ perché la concorrenza “sonora” alle orecchie dell’algoritmo, omologato su certi standard, ormai è più che vasta (50 milioni di concorrenti, l’abbiamo detto prima), un po’ perché le grandi case discografiche – è bene non dimenticarlo – con le piattaforme di streaming ci parlano (prima di firmare gli accordi di licenza), e certe volte ne comprano pure delle azioni.

Ricordatevelo, la prossima volta che qualcuno vi racconterà la favola bella del Carneade che diventa qualcuno con una chitarra, un microfono e una connessione a Internet: farsi largo con le proprie forze è certamente possibile, e il Web è senz’altro la via privilegiata per comunicare al mondo ciò che avete da dire per sottoporlo al giudizio del pubblico.

Ma la Rete, da sola, non è viatico di un bel niente, né tanto meno democratica. E tenete presente che roba nuova e interessante non la si ascolta solo su Spotify o YouTube, ma anche – dal vivo – nel locale sotto casa.

 

Guglielmo Cancelli