Pubblicato il 22/06/2018, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Niccolò Agliardi: Dimmi di te è dedicato a tutti coloro che faticano a mostrare le proprie vulnerabilità

Niccolò Agliardi: Dimmi di te è dedicato a tutti coloro che faticano a mostrare le proprie vulnerabilità
Cantante, compositore, scrittore: Niccolò Agliardi si racconta a TvZoom parlando della sua creatura, quel Dimmi di te che andrà in onda dal 26 giugno in seconda serata su Rai1. Nel format, storie di persone comuni vengono raccontate e musicate con l'intervento di tanti ospiti.

Niccolò Agliardi: Sono un fan delle seconde possibilità nella vita, le trovo molto poetiche

C’è una frase, spiegando quale potrebbe essere il pubblico potenziale di #Dimmidite (Rai1, da martedì 26 giugno in seconda serata, prodotto da Gloria Giorgianni di Anele, regia di Stefano Vicario), su cui Niccolò Agliardi indugia: «I destinatari ideali del programma vorrei che fossero i 20-35enni, in generale chi è considerato giovane e appartiene a nuclei sociali in cui difficilmente ci si può mostrare commossi o sfoggiare con disinvoltura le proprie vulnerabilità».

E qui si svela l’intento del format. Aggirare il tradizionale egotismo visuale della tv, dove talvolta si raccontano le cose non per come sono ma per come si vorrebbe fossero, andando alla caccia di vissuti autentici. Con la musica al servizio di sei racconti. Storie di persone normali che hanno saputo riscattare una personale condizione di disagio, scovate da Agliardi in giro per l’Italia e trasformate dal cantautore in una canzone. Con l’aiuto dei protagonisti, il supporto di colleghi musicisti (Fabrizio Moro, Eugenio Finardi, Emis Killa, Chiara Galiazzo, Zero Assoluto, L’Aura) e con l’allestimento di un iter narrativo che mostra nel dettaglio la genesi di un brano, dalla cellula iniziale alla composizione finita. Spazzando via i rischi di compiacimento retorico.

Agliardi scrive anche canzoni per nomi come Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Roberto Vecchioni, e qui si confronta con un meccanismo complementare a quello che lo vide protagonista nella fiction Braccialetti Rossi, quando lavorò alla colonna sonora. «Le opere che mi appassionano sono quelle in cui l’artista non parla per forza di sé», dice lui.

Con quali presupposti avete scelto le storie da musicare?

All’inizio il nostro intento era raccontare storie di ragazzi molto giovani, poi ci siamo resi conto che chi ha meno di vent’anni non ha un vissuto abbastanza strutturato da cui attingere. Così, assieme alla redazione di Roma, abbiamo allargato il bacino. Puntando a due caratteristiche: volevamo storie di resistenza e di inciampi. Resistenza alle avversità della vita, e capacità di rialzarsi dopo un inciampo. Sono un grande fan delle seconde possibilità. Le trovo qualcosa di molto poetico.

Già la prima puntata mostra qualcosa di significativo in questa direzione.

Raccontiamo il percorso di Francesco, sonnambulo che ha sognato di volare. Lo conobbi in un ristorante vicino a Tortona, era su una sedia a rotelle. Sono tornato a trovarlo, tempo dopo, e l’ho trovato in piedi, che serviva ai tavoli e si destreggiava nel lavoro. Ecco che cosa intendo per seconda possibilità.

Niccolò Agliardi crede nelle seconde possibilità della vita perché ha beneficiato di esse?

Io sono un privilegiato. Posso crearmene mille, di possibilità. Nasco autore, cantante, poi scrittore di libri (ultimo romanzo Ti devo un ritorno, edito da Salani, ndr). Me le sono andate a cercare e sono stato fortunato a trovarle. Nel programma raccontiamo invece l’esperienza di chi ha cercato una seconda possibilità per necessità. Nel contempo però proviamo a mostrare le potenzialità della musica e come nasce l’urgenza di scrittura.

Nel percorso non è solo. La vengono a trovare diversi colleghi.

Hanno un ruolo strategico nella narrazione. Chi ci racconta la propria storia interagisce con loro, garantendo sorprese. Per esempio, Emis Killa dialoga con un soldato reduce da missioni in Afghanistan e scopre di avere in comune con lui elementi inaspettati. In questo modo io faccio un passo indietro rispetto alla vanità da artista, lavoro in sottrazione e partecipo al confronto da un punto di vista non unilaterale.

Un lavoro quasi complementare a Braccialetti Rossi: anche in quel caso si era messo al servizio di storie da raccontare e musicare.

Metto a disposizione una grammatica e una traduzione. Cerco di essere una sorta di Google Translator dei vissuti altrui. Con Braccialetti Rossi ho imparato la necessità di mettermi in ascolto di storie esterne. Sono da sempre appassionato della poetica di De Gregori e Vecchioni, quella in cui l’artista parla in terza persona.

La musica come strumento di affermazione. Visto che prima si parlava di giovani, mi viene da chiederle: la differenza nel percorso di affermazione musicale tra un cantautore della sua generazione e un adolescente aspirante artista oggi?

Ai miei tempi era difficile trovare qualcuno che credesse in te davvero. Oggi c’è la rete, strumento democratico, ma anche sovraffollato. Puoi muoverti da solo, ma il treno dell’affermazione è una sorta di interregionale Roma-Milano che costa poco ma è pienissimo.

Il segreto per rimanere sui vagoni?

Avere più talento che ambizione. Se i due fattori si invertono non si fa strada.

La tv prova a forgiare ugole attraverso i talent show.

Sono la grammatica del nostro tempo ma restano al servizio della televisione più che dell’aspirante cantante. Non è una critica, è una constatazione.

A proposito di talent show: nel 2012 fu giudice a Spit, su Mtv.

Un bellissimo progetto che anticipava l’avvento delle battle dei rapper e di una cultura musicale che poi avrebbe spopolato. Fu un antesignano, in quel caso, una bella forma di sperimentazione genuina.

Che cosa accadrà dopo #dimmidite?

Uscirà un’antologia che racchiude 15 anni di mia carriera di cantautore. Ho lavorato con la mia band riarrangiando le canzoni, il risultato è un restyling accurato. Mi sono accorto nel tempo che molti brani erano ricchi di suoni e sfumature che avevo inserito quasi per camuffarmi, per nascondermi. Ora mi mostro a testa alta. Una bella risposta anche a chi dal punto di vista pop mi ha sempre considerato indie, a chi dal punto di vista indie mi ha sempre considerato pop, a chi da intellettuale mi vede come radical chic (ride, ndr).

Non si sfugge alla foga delle classificazioni e dei compartimenti stagni?

Quando lavorai alla colonna sonora di Braccialetti Rossi qualcuno scrisse addirittura che ero “il cantante dei teenager”. Fu abbastanza destabilizzante. Del resto non siamo negli USA, dove ci sono gli artisti che possono declinarsi come cantanti, autori, presentatori, sfuggendo alle forche caudine delle etichette. In Italia la tentazione della recinzione è forte.

Rifarebbe tutto ciò che ha fatto, in carriera?

Ribadisco, c’è stato un tempo in cui tendevo a coprire le mie fragilità, ma rifarei tutto ciò che ho fatto. Forse dovrei imparare a essere più ruffiano sui social. Ma mi manca il tempo. Sono anche da poco diventato padre affidatario.

Chi vedrà #dimmidite?

Vorrei lo vedessero i duri che non devono chiedere mai. E i giovani. Abbattere le barriere coercitive che impediscono il fluire dei sentimenti, o per lo meno provarci, dovrebbe servire a tutti.

Gabriele Gambini

(nella foto Niccolò Agliardi)