Pubblicato il 20/06/2018, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Massimo Callegari: A Russia 2018 confido nell’Argentina contro i detrattori di Messi

Massimo Callegari: A Russia 2018 confido nell’Argentina contro i detrattori di Messi
L'avventura dei Mondiali in Russia. La vita a Mosca. I pronostici, tra favoriti e outsider. Il contratto in scadenza a luglio e gli auspici per il futuro. Il telecronista di Mediaset si racconta a TvZoom.

Massimo Callegari: Mediaset ha sempre creduto in me e sa del mio affetto e rispetto per l’azienda. Per mia abitudine ho sempre firmato accordi annuali o triennali. Dopo i Mondiali ci siederemo attorno a un tavolo e parleremo

Mai perdere il controllo sulla partita e farsi coinvolgere per coinvolgere. Erano questi i capisaldi di Massimo Callegari quando lo intervistammo circa un anno fa in occasione della finale di Champions League. Citò le due massime di Guido Meda e Sandro Piccinini per definire l’attitudine al mestiere di telecronista. Ma ai Mondiali di Russia 2018 è diverso: «Non c’è bisogno di farsi coinvolgere per coinvolgere: qui il coinvolgimento è già a livelli altissimi», ridacchia.

La ricca programmazione Mediaset dell’evento calcistico lo vede intervenire in ben 12 telecronache, non scordando le incursioni come opinionista a Buongiorno Mosca (Mediaset Extra in onda dalle ore 8.00 alle 10.45), Casa Russia (Italia 1 dalle 11.15 alle 12.30), Mondiali Mediaset Live (pre e post partite del pomeriggio su Italia 1 o Canale 5). E poi a Radio 105, da lunedì a venerdì con 105 Friends, aggiungendo collegamenti dalle 10 alle 12 in diretta da Mosca nella rubrica Amici Sportivi e Non Sportivi. Perché la Russia quest’estate non è solo calcio. È un’avventura alla scoperta di un Paese grande e bellissimo, un orso siberiano che ha dribblato i luoghi comuni mostrandosi per ciò che è: organizzato e ospitale.

Callegari, ha già assaggiato la cucina russa?

Non ancora. Sono in un albergo dove la cucina è internazionale. Ho sperimentato qualche ottimo ristorante italiano a Mosca, adagiandomi sul luogo comune del turista abitudinario, caratteristica che non mi appartiene. Ma c’è una ragione.

Quale?

Prima di una telecronaca preferisco mantenermi leggero, fare una pennichella, muovermi secondo riti consolidati. Lo faccio da sempre. Comunque con la cucina recupererò.

Intorno a lei intanto c’è la Russia.

Ero stato dieci anni fa a San Pietroburgo. Oggi ritrovo un Paese in grande fermento evolutivo, prontissimo a gestire un evento di portata gigantesca come i Mondiali di calcio. I controlli di sicurezza sono imponenti, ancor più serrati di quelli che avevo visto a Parigi dopo la tragedia del Bataclan.

In giro si parla inglese?

La barriera linguistica nelle nuove generazioni è superata, i giovani conoscono l’inglese. Gli over 40 no. Ma sto incontrando persone molto ospitali, in metropolitana quando qualcuno ti vede in difficoltà si preoccupa subito di aiutarti. Ecco, la metropolitana dà la misura di che città sia Mosca.

Che città è?

Grande. Organizzata. Le scale mobili della metro sono così lunghe che ci si può impiegare fino a un minuto e mezzo per percorrerle. Alla base di ogni scala c’è una postazione con un impiegato impegnato a sorvegliare ogni gradino in caso di guasti. Attorno la struttura è fatta in marmo, e le distanze tra una fermata e l’altra possono essere anche di cinque o sette minuti.

Di recente ha commentato Inghilterra-Tunisia.

Mi ha colpito il gap che ancora esiste tra alcune squadre. Molti giocatori tunisini militano in campionati europei, eppure non hanno dato la sensazione di impensierire davvero gli inglesi, durante la partita. Significa una cosa: la globalizzazione calcistica ha garantito uniformità sul piano tattico, ma sul piano tecnico le differenze sono ancora notevoli. Ciò smentisce nei fatti chi, in passato, profetizzava la vittoria futura a un Mondiale di una squadra outsider, magari africana. C’è ancora lavoro da fare.

Le favorite se Callegari dovesse scommettere?

Se scommettessi con successo, di mestiere farei l’allibratore. I primi risultati di solito vanno presi con le pinze. Ma mi farebbe piacere vedere arrivare in fondo l’Argentina. Se non altro, per rispondere ai detrattori di Leo Messi. È assurdo sminuire la caratura di un giocatore tanto dotato solo perché non ha ancora vinto un Mondiale. E il raffronto con Maradona non regge, i tempi erano molto diversi.

Oltre all’Argentina?

Il Brasile ha l’organico più forte. Poi vedo la Francia. L’Inghilterra può dire la sua.

Tra gli outsider?

Dico Uruguay: presenta un buon mix di esperienza e gioventù. E ha un portiere affidabile.

Da telecronista avverte una pressione maggiore nell’approccio a un Mondiale?

Senza dubbio. Per varie ragioni. È il primo Mondiale targato Mediaset e c’è un’attenzione particolare verso un evento in chiaro dalla visibilità senza precedenti nell’era moderna. Poi c’è la responsabilità di parlare di popoli e culture diverse. Occorre cura minuziosa nello studiare la pronuncia dei giocatori e la loro storia. Garbo nel commentare le azioni senza irriderne i protagonisti. Per l’ironia c’è l’ottimo lavoro della Gialappa’s Band, del resto.

La pronuncia corretta dei nomi è un classico cruccio dei Mondiali.

Come regola personale penso che debba prevalere sempre la pronuncia convenzionale, quella più comunemente utilizzata. Dal 4 giugno siamo al lavoro sullo studio dei nomi e sulla storia dei giocatori, anche come forma di rispetto verso le comunità straniere presenti in Italia.

Oltre alle telecronache, è impegnato su più fronti. Opinionista nei programmi Mediaset dedicati ai Mondiali e a Radio 105.

A 105 partecipo a quello che a tutti gli effetti è uno spin off del programma fatto con Tony e Ross, 105 Friends. Raccontiamo aneddoti sui Mondiali, prendiamo spunti per fare interessante storytelling. Molto divertente l’aneddoto sul CT coreano che ha cambiato le casacche dei suoi giocatori per confondere gli avversari, confidando nel fatto che “Per gli occidentali, gli asiatici sono tutti uguali”.

Quando interviene in una trasmissione dà giudizi netti.

In quel caso, l’imparzialità da cronista deve essere messa da parte, perché un’opinione funziona se sa dividere.

Il suo contratto scade a luglio. Che farà dopo i Mondiali, alla luce delle recenti novità sui diritti di Serie A?

Mediaset ha sempre creduto in me e conosce il mio affetto e rispetto. Per mia abitudine ho sempre firmato accordi annuali o triennali. Dopo i Mondiali ci siederemo attorno a un tavolo e parleremo. Valuteremo tutte le possibilità del caso senza affanni. Qui sto molto bene.

È appassionato di storytelling: rinuncerebbe al mestiere di telecronista?

No, mai. Arrivo da SportItalia come telecronista, non ho mai pensato di abbandonare quell’aspetto del mio lavoro, che è il più importante per me da quindici anni a questa parte. Anni fondamentali grazie ai quali ho raggiunto questo livello. Sono nel pieno di un percorso.

I Mondiali che conserva nel cuore?

Italia ’90. Avevo 13 anni. Andai con mio padre a vedere tre partite allo stadio. Sono affezionato a quella nazionale italiana. Italia ’90 fu qualcosa di irripetibile, unico. Avevamo la squadra nettamente più forte. Alcune scelte tecniche, come il lasciar fuori Baggio nella semifinale, ci penalizzarono. E la trasferta a Napoli ci stancò. Si ruppe un equilibrio magnifico. Ma i ricordi restano caldissimi.

Si dice che quella di Italia ’90 sia stata la Nazionale più forte degli ultimi trent’anni.

Anche quella dei Mondiali 2002 era fortissima. Totti, Maldini, Nesta, Vieri, Buffon, Gattuso, Del Piero. Ce la giocammo proprio male.

C’è qualche ritratto di giocatore che le piacerebbe raccontare?

Tanti. Mi affascinano le bandiere. Per esempio sarebbe entusiasmante raccontare l’albero genealogico dei numeri 7 del Manchester United. Qualcosa che susciti un senso di appartenenza capace di forzare l’utilitarismo finanziario. Le bandiere sono qualcosa di romantico e perduto nel calcio di oggi. La recente vicenda di Lopetegui ne è un triste esempio.

Gabriele Gambini

(nella foto Massimo Callegari)