Pubblicato il 04/06/2018, 19:10 | Scritto da Gabriele Gambini

Francesco Lancia: L’improvvisazione teatrale come scuola per sviluppare capacità comiche

Francesco Lancia: I ragazzi del Trio Medusa hanno un istinto comico naturale, non formalmente codificato, ma di grande immediatezza

L’improvvisazione teatrale come palestra su cui forgiare le proprie capacità comiche. Ma anche come strumento di gestione degli imprevisti nelle dirette televisive e radiofoniche. Francesco Lancia, autore di lungo corso – è lo Zerologo di Pointless Zero e Lode di Rai 1, ha all’attivo una lunga militanza autorale assieme al Trio Medusa, oltre a Satiriasi, e ha fondato il gruppo I Bugiardini – insiste sullo sviluppo progressivo delle attitudini all’innesco della risata attraverso il teatro: «La lezione che ti dà l’improvvisazione sta nell’imparare a trasformare ogni errore in un’opportunità, perché ogni live, è un dato di fatto, non andrà mai come preventivato all’inizio».

Ed è un bene. La scrittura comica, precisa Lancia, conserva delle precise ritualità accademiche, ma è pur sempre sottoposta alla Spada di Damocle di destinatari differenti e, soprattutto, di mezzi espressivi che cambiano. Lui, nella sua carriera, ne ha conosciuti parecchi.

Ha iniziato come autore quasi per caso.

Faccio improvvisazione teatrale da circa 15 anni, da quando ero studente universitario a Roma. Mi sono laureato in informatica. Per gioco, tenevo un blog sul portale di Deejay, era un’epoca pre-Spinoza, in cui mi divertivo a sperimentare battute e a fare satira. Qualcuno mandò alcune di queste battute al Trio Medusa durante una loro diretta radiofonica. Le lessero e dissero, scherzando, di aver bisogno di contributi divertenti. Colsi la palla al balzo. Scrissi loro, li conobbi, e progressivamente iniziai a collaborare come autore.

Poi è arrivato l’incontro con Saverio Raimondo.

Incontrai il gruppo di Satirasi e collaborai alla fondazione del loro manifesto. Ciò mi aprì ulteriori contatti. Quando il programma radio del Trio Medusa è stato spostato alla mattina, ho iniziato a scrivere costantemente su di esso e in quel caso ho conosciuto Stefano Santucci, con cui abbiamo condiviso da subito un approccio scientifico al lavoro. Mi ha portato con lui nella squadra di Zero e Lode.

Scrivere per un quiz significa sfruttare la componente di autore comico in maniera collaterale: in un contesto simile, a prevalere non sono le battute, ma le dinamiche di gioco.

Sono un autentico nerd appassionato di giochi da tavolo, ero preparato all’eventualità. Li colleziono. Ne ho circa quattrocento. La prima cosa fatta è stata comprare Pointless, il gioco da tavolo inglese a cui si rifà Zero e Lode. Ne ho testata l’efficacia con gli amici. Poi ho sostenuto il provino che mi ha portato davanti alla telecamera, opzione all’inizio non prevista.

Zero e Lode ha convinto per il suo brillante dinamismo.

Il gioco è bello. Non è facile da capire nell’immediato, ma quando entri nel meccanismo, non puoi farne a meno. Siamo riusciti ad aggiungere il calore italiano all’impianto classico britannico, con Alessandro Greco abbiamo trovato l’equilibrio giusto alla conduzione. L’atmosfera era festosa, una festa post-prandiale, mi ha ricordato per certi versi la dinamica fresca e allegra di un quiz dei primi anni novanta molto divertente: Urka!, condotto da Paolo Bonolis con Luca Laurenti.

Veniamo al mestiere di autore comico. Scrivere per qualcuno implica un approccio diverso rispetto allo scrivere per se stessi.

Le prime volte che scrivevo per il Trio, preparavo battute pensate per me, cose che mi appartenevano ma che, messe in bocca ad altri, perdevano fatalmente la loro efficacia. Poi ho imparato una delle doti indispensabili per essere un autore: l’invisibilità. Pensare alla tipologia di comico con cui si sta lavorando, ai destinatari – il pubblico è un elemento fondamentale – al contesto in cui certe cose verranno dette.

I tratti distintivi dei ragazzi del Trio Medusa?

Non sono formalmente dei comici. Sono intrattenitori istintivi, spontanei, ma non puntano a una tecnica fatta di tempi studiati in stile stand-up. Il loro è un fluire concatenato di istinto e preparazione. Cosa diversa, per esempio, da Saverio Raimondo, che punta su una tecnica comica affinata, facendo arrivare la battuta con tempi studiatissimi.

Negli anni, il Trio si è evoluto. Gabriele Corsi, nella sua carriera parallela da solista, ha imparato a mescolare talento per l’innesco della risata a capacità classiche di conduzione.

Tutti e tre i ragazzi del Trio hanno il ritmo e il gusto per la battuta come dato genetico. Gabriele si è specializzato nella conduzione perché quello era il linguaggio che teneva ad approfondire. Furio e Giorgio prediligono puntare su altre forme comunicative. Ma un aspetto interessante di loro sta nell’essere rimasti coesi nonostante i progetti paralleli. Trovando continuità mai ripetitiva. Quanto a Corsi, è bravissimo, ha un volto pulito, conosce il mezzo tv e sa improvvisare. Lo si è visto con Take me out, l’ho visto con Reazione a catena, registrata negli stessi studi di Zero e Lode.

A proposito di linguaggi comici. Da diverso tempo ha preso piede il dibattito tra la l’efficacia della formula cabaret all’italiana, debitrice della commedia dell’arte e dei tormentoni in maschera, e la satira da stand-up, considerata una new wave rivoluzionaria.

Credo che buona parte delle distinzioni siano un’efficace forma di marketing per presidiare un territorio. Si può far ridere in miliardi di modi e quel che conta è l’effiacacia con cui lo si fa, più che la formula intrapresa per farlo. La stessa stand-up ha svariate declinazioni, anche pulite, non solo abrasive e orientate alla provocazione linguistica. Forse quello che manca alla tv italiana è la cultura da comedy club, il dare a un comico il tempo necessario per sviluppare un concetto. Nella formula cabaret classica da due minuti, diventa arduo. Ma, ribadisco, quel che conta è il risultato. Nel manifesto di Satiriasi, per esempio, avevamo dichiarato di voler eliminare dal nostro repertorio i giochi di parole. Non perché non fossero efficaci, ma perché volevamo sfidarci su terreni nuovi.

Ciò che conta, quando si scrive, è dunque tenere bene presente il destinatario.

Quando scrivi, lo fai per un pubblico. Se io sperimento una battuta alta alle 2 di pomeriggio su Rai1, ci sono buone probabilità che cada nel vuoto. Il destinatario è importante. Vale anche per il mondo della rete, per gli youtuber. Divertono un pubblico teen preciso, risultando indifferenti a profili anagrafici diversi.

Come si organizza il lavoro di autore nel quotidiano?

Dipende. Se scrivo per la radio è un lavoro giornaliero in cui è indispensabile attingere dall’attualità. Mi divertono però anche settori che con l’attualità non c’entrano nulla. E se capita una giornata di poca lena, utilizzo tecniche comiche consolidate. Il mestiere, in altre parole. Fare il battutista è un lavoro irregimentato con regole precise.

Un consiglio per un aspirante autore?

Guardare tanti spettacoli comici. Imparare a comprenderne i ritmi, a sviluppare l’orecchio sui tempi. Leggere e studiare molto, in particolare le tecniche consolidate per sorprendere una platea.

E saper improvvisare, si diceva.

Le tv e le radio dovrebbero guardare alle scuole d’improvvisazione teatrale. Sono fucine di talenti ancora vergini.

Un esempio dell’efficacia dell’improvvisazione?

In radio ci è capitato un sacco di volte di non avere il collegamento telefonico previsto e di doverlo inventare di sana pianta. Oppure, mi viene in mente uno storico aneddoto capitato a Nikki, conduttore di Radio Deejay, diversi anni fa. In diretta, si bloccò il meccanismo che avrebbe dovuto mandare in onda lo spazio pubblicitario. Lui improvvisò di sana pianta alcuni dialoghi che contenessero i nomi e i riferimenti ai brand previsti. Una scelta di successo molto apprezzata dagli investitori.

Lei nasce con un blog simil-Spinoza. Oggi come oggi, tra Spinoza, Lercio e affini, il web si è trasformato in un battutificio compulsivo capace di demitizzare ogni grande narrazione, trasformandola in una colossale perculata. Non si corre il rischio che nessuno prenda più sul serio nulla e che il sarcasmo prenda il sopravvento a sproposito?

Verissimo. Questo perché sulla satira aleggia un equivoco di fondo: serve a sdrammatizzare, questo è vero, ma pochi sanno che serve anche a drammatizzare la portata di un evento, per far riflettere sul reale. Molti battutisti invece pensano solo ai like immediati su Facebook. Dimenticando che la battuta fine a se stessa fa perdere progressivamente l’interesse alla gente. Occorre trovare un’evoluzione che parta da essa, ma guardi oltre e porti contenuti.

Come autore, su che cosa le piacerebbe mettersi in gioco?

In passato, mi è capitata una collaborazione saltuaria, assieme a Emilio Gatto, con la Gialappa’s Band. Mi piacerebbe mettermi alla prova ancora con loro.

I formati televisivi d’intrattenimento in Italia hanno una valenza ciclica. Talvolta vengono rielaborati remake di grandi successi del passato. Questo perché mancano idee nuove?

A volte manca la voglia di rischiare. Rischiare implica tempo da investire e spesso un editore preferisce andare sul sicuro per evitare perdite nel breve termine. Mi colpisce, per esempio, come ogni volta che si proponga qualcosa di innovativo a un dirigente di rete, i primi aspetti su cui abbia da eccepire siano proprio le componenti nuove. A meno che non si tratti di un prodotto che viene dall’estero, perché l’esterofilia rimane un tratto distintivo nostrano.

Che cosa sarebbe bello sperimentare, nella tv italiana?

Una formula che unisca divulgazione scientifica e comicità. Qualcosa di simile a La gaia scienza, sperimentata in passato col Trio Medusa. Una specie di Per un pugno di libri in versione scientifica e comica. Questo perché parlare di scienza significa parlare di realtà e la realtà è foriera di innumerevoli spunti comici.

Che cosa le riserva l’immediato futuro?

Per scaramanzia non dirò nulla dei progetti in divenire. Dopo l’estate tornerò di sicuro in radio col Trio Medusa. Prima porterò in giro con la mia compagnia d’improvvisazione, I Bugiardini, un musical completamente improvvisato. Saremo anche a Edimburgo.

(nella foto, Francesco Lancia)