Pubblicato il 04/06/2018, 15:04 | Scritto da F. Canzonettari
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Le scelte dei direttori artistici delle radio: questione di gusti o di condizionamenti economici?

Ecco come vengono scelte le canzoni trasmesse in radio

La volta scorsa ci siamo lasciati prima di affrontare il tema dei criteri con i quali i direttori artistici delle radio scelgono le canzoni da inserire nella loro programmazione. In un mondo ideale, le scelte dovrebbero essere legate al target di ogni specifica radio. Il problema è che ormai le radio – parliamo sempre dei grandi network – hanno tutte lo stesso target, o quasi. E tutte, o quasi, hanno adottato lo stesso format, quello della Top 50: ovvero, tendono a inserire nella loro programmazione, negli orari più interessanti per la pubblicità (in particolare i due drive time della prima mattina e del tardo pomeriggio) canzoni “di successo” – effettivo o potenziale.

Sicché, ve ne sarete accorti, è diventato molto difficile distinguere una radio dall’altra: più o meno tutte trasmettono le stesse canzoni. E sono le canzoni che entrano, o sono già entrate, nelle cosiddette “classifiche delle canzoni più trasmesse dalle radio”, rilevate essenzialmente da due società: Radio Airplay/Radiomonitor e EarOne. L’argomento di queste rilevazioni è abbastanza complesso, e ne parleremo un’altra volta, magari la settimana prossima.

Torniamo invece ai criteri di selezione delle canzoni. Parecchi anni fa, negli Stati Uniti, scoppiò il cosiddetto “payola scandal”: le case discografiche pagavano mazzette ai disc jockey perché le loro canzoni venissero messe in programmazione. Parliamo di preistoria, nel senso che parliamo di quando i disc jockey delle radio sceglievano personalmente le canzoni da inserire nei loro programmi; oggi non è più così, perché i conduttori dei programmi radiofonici non scelgono praticamente mai di persona le canzoni da trasmettere, ma si limitano ad annunciare le canzoni già selezionate e programmate dai direttori artistici.

I direttori artistici delle radio scelgono liberamente? Sì e no. Ci sono sempre fattori condizionanti. E se una volta questi fattori erano trasparenti – «scelgo di trasmettere quello che secondo me merita di essere fatto conoscere ai miei ascoltatori» – oggi lo sono molto meno. Ci sono molti modi, tutti legali, ma secondo me sleali, per indurre le radio a scegliere una canzone piuttosto che un’altra. Magari non ci sono più bustarelle, ma ci sono accordi commerciali (la cessione di quote delle edizioni musicali alle radio), ci sono scambi di favori («se trasmetti i miei pezzi mando i miei cantanti alle tue feste/manifestazioni/eventi»), ci sono pressioni e concessioni – quasi sempre a senso unico, cioè a vantaggio delle radio (dei network, ricordate che stiamo sempre parlando di quelli).

Qualche anno fa un collega aveva elaborato una teoria interessante, benché provocatoria. Diceva: l’ascoltatore di una radio è convinto che la radio che lui ascolta scelga le canzoni in base ai propri gusti. Se non è così (e non è così) bisognerebbe denunciare le radio per falso in atto pubblico, perché ingannano i loro ascoltatori facendo loro credere che le canzoni che trasmettono sono scelte per la loro qualità, e non in base ad accordi economici.

Io che sono più liberista, penso invece che le radio dovrebbero poter trasmettere quel che pare e piace a loro, e che anzi bisognerebbe legalizzare la “payola”, ma ufficializzandola. Mi spiego: rendiamo legittimo il «pay per play» –  cioè: facciamo che sia lecito pagare una radio perché trasmetta una canzone – ma facciamo in modo che questi passaggi di denaro, o di compensi, siano fatturati e tassabili, e obblighiamo le radio a pubblicare sui propri siti Internet l’elenco delle canzoni trasmesse ogni giorno, specificando quali di queste canzoni sono state trasmesse a seguito di un accordo economico. Così i loro ascoltatori potrebbero rendersi conto di come vanno davvero le cose.

 

F. Canzonettari