Pubblicato il 10/05/2018, 19:01 | Scritto da Gabriele Gambini

Andrea Bosca, da Il capitano Maria a Quantico: Ora sogno una commedia romantica alla Hugh Grant

Andrea Bosca, da Il capitano Maria a Quantico: Ora sogno una commedia romantica alla Hugh Grant
Periodo fecondo per l'attore piemontese. Da Il capitano Maria, a fianco di Vanessa Incontrada nel lunedì sera di Rai1, al ritorno ne La porta rossa, non scordando la produzione americana Quantico.

Andrea Bosca: Il capitano Maria è una serie moderna con molti elementi da detective-story

Il lunedì di Rai1 ritorna sotto la tutela delle divise dell’Arma, e a dirla tutta era dai tempi del clamoroso successo de Il Maresciallo Rocca di Gigi Proietti che il Paese non veniva scandagliato con l’espediente di un’indagine in uniforme saldandosi all’immaginario. Certo, c’è Montalbano – ma è un poliziotto, non un carabiniere, e in lui si respira l’afflato confidenziale di una dimensione letteraria -, c’è Don Matteo, ma lui è un prelato. Ci sono ulteriori differenze. Il capitano Maria, col volto di Vanessa Incontrada, non indulge troppo a dinamiche strapaesane di facile identificazione. «Porta con sé una cospicua dose di realismo, l’elemento thriller e la tensione sono pronunciati, si avvicina alle dimensioni narrative da detective-story internazionale sotto tanti aspetti», precisa Andrea Bosca, che nella fiction è il tenente Enrico Labriola.

L’attore astigiano torna al fianco della Incontrada (l’avevamo intervistato due anni fa sul set di Non dirlo al mio capo), e presto tornerà sul set de La porta Rossa, serie sul paranornmale giunta alla seconda stagione. Non solo. Ha partecipato alla nuova stagione di Quantico, affiancando la superstar Pryanka Chopra. Un periodo di carriera dolce. Lui, figlio di pasticceri e appassionato di cucina, apprezzerà l’aggettivo.

Il tenente Labriola ha una personalità complessa.

È un carabiniere molto competente. Ha le rigidità tipiche dell’educazione militare, un grande controllo di sé. Ma qualcosa scatta in lui. Perde le sue prerogative perché si compromette emotivamente con la persona sbagliata. Il capitano Maria lo aiuta a ritrovarsi. L’evoluzione della sua personalità lo conduce a lasciarsi andare a poco a poco.

Il capitano Maria è un superiore di Labriola. Ed è donna in un mondo tradizionalmente maschile come quello dell’Arma.

Questo è un aspetto interessante della fiction. Labriola rappresenta la tradizione, il modo classico di condurre le attività dei carabinieri. L’arrivo del capitano Maria è destabilizzante. Dapprima i due non vanno d’accordo, lei fa fatica a farsi accettare. Poi però compie un gesto che ne fa apprezzare le doti. E mostra come la sensibilità e il punto di vista femminile siano un valore aggiunto professionale che migliora l’efficienza delle indagini.

Come ci si cala al meglio in un ruolo in divisa?

L’Arma ci ha messo a disposizione alcuni suoi uomini, penso al maggiore Zara e al tenente Carosone della caserma dei Parioli, a Roma, come tutor d’apprendimento. Ho toccato con mano il gran lavoro svolto sotto il profilo della prevenzione, soprattutto grazie all’ausilio delle nuove tecnologie informatiche. I carabinieri gestiscono l’ordinarietà del quotidiano, a volte incontrano difficoltà, ma hanno anche a disposizione strumenti da Bat-Caverna. E si dimostrano professionisti strutturati capaci di mettersi in gioco per la nostra sicurezza.

Li ha visti anche all’opera?

Una mattina stavo parlando con il maggiore Zara. Chiacchieravamo della sua famiglia, di sua figlia. A un certo punto gli arriva una chiamata per un allarme bomba e lui, conservando l’aplomb, mi dice: “Devo andare, ho un allarme bomba, devo gestirlo io, la giurisdizione della caserma ha altre aree oltre ai Parioli e non posso chiedere sempre l’intervento degli artificieri”. Sono rimasto interdetto per la sua capacità di autocontrollo e per la risposta immediata.

La fiction racconta anche l’aspetto di prevenzione e indagine informatica.

Racconta il deep web, molti aspetti dell’uso della tecnologia sono mostrati con estremo realismo. Accanto a questo, c’è l’alone di mistero intorno alle vicende di ciascun protagonista, che verrà chiarito passo dopo passo. E c’è il racconto del territorio.

L’ultima grande fiction Rai sui carabinieri rimanda alla grande epopea del Maresciallo Rocca di Gigi Proietti.

Vero, anch’io ho pensato a lui mentre giravamo. Però ci sono delle differenze, probabilmente frutto dell’evoluzione dei tempi. Il capitano Maria è una serie che si concede sperimentazioni. C’è un elemento thriller molto marcato, si ammicca meno alla figura del carabiniere simpatico e ci si concentra maggiormente su un impianto narrativo da detective-story, senza far leva sul carisma particolare di un protagonista come espediente di sicura efficacia.

Un esempio di sperimentazione in casa Rai è rappresentato da La porta rossa.

Torneremo con la seconda stagione, non posso anticipare nulla ma ci saranno trasformazioni sorprendenti. Anche fisiche.

Si dice che le sperimentazioni siano influenzate dal trend delle serie anglosassoni.

Ne sono un divoratore. Ho amato True Detective e penso che, sotto alcuni aspetti, Il capitano Maria conservi qualche rimando a quell’immaginario. Tra i miei titoli preferiti, Breaking Bad e Sherlock, trovo che Cumberbatch sia eccezionale.

La capacità di un attore sta nel vivere le vite dei suoi personaggi conservando un certo distacco di fondo.

A me interessa raccontare l’umanità facendo da filtro con le mie corde interpretative. Credo sia questo il bello di recitare. Sfidando sé stessi con ruoli sempre diversi, non incasellabili in compartimenti stagni. Ruoli distanti dalla reale personalità di chi li interpreta. Mi è accaduto, per esempio, con La porta rossa. Mi piacerebbe mettermi alla prova con una commedia romantica. Una parte alla Hugh Grant.

Nel frattempo, è salito alla ribalta internazionale per la sua partecipazione a Quantico.

Priyanka Chopra conserva un’elegante semplicità nel suo essere, si divincola con sincerità dall’aura di star che le aleggia intorno.

Il set di una produzione americana avrà prerogative diverse rispetto a un set italiano.

Una differenza sostanziale sta nella presenza di uno showrunner, autentico plenipotenziario che ha in mano le redini della sceneggiatura e vigila su tutto, anche sull’efficacia delle scene girate. Ciò garantisce sicurezza e orizzonti progettuali definiti. Benché anche ne Il capitano Maria ci sia stata questa garanzia grazie ad Andrea Porporati.

La scrittura acquisice un valore determinante.

Negli USA le sceneggiature sono riscritte anche cento volte, sono a prova di bomba: l’attore si sente protetto. Budget cospicui a disposizione consentono di dilatare i tempi destinati alla scrittura, di limarla, di pensare a ogni soluzione praticabile, di scandagliare le pieghe dell’inconscio. Poi ci sono i registi. Negli USA spesso variano da episodio a episodio ed è un trend che sta prendendo piede anche da noi. Senza contare i ritmi. Le produzioni internazionali sono macchine da guerra che ti mettono a tuo agio ma in cui ogni ingranaggio è oliato per funzionare al massimo.

L’Italia ne esce perdente dal confronto?

Noi, e non è scontato dirlo, compensiamo col genio creativo, con la capacità d’improvvisazione e di adattamento. Abbiamo disponibilità economiche inferiori, ritmi produttivi più bassi anche perché l’italiano non è una lingua dominante sugli altri Paesi. Ma non dimentichiamo che la scuola del cinema italiano ha insegnato a tutti. E oggi sta crescendo una nuova generazione capace di unire il talento locale alle prerogative globali. Occorrono immaginazione, qualità intellettuali, capacità di ascolto e, soprattutto, voglia di stupirsi.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Andrea Bosca con Vanessa Incontrada ne Il capitano Maria)