Pubblicato il 09/05/2018, 18:03 | Scritto da Guglielmo Cancelli

Concerti: in UK e USA si studiano i biglietti anti-bagarini del futuro. Ma non serviranno a niente

Pagamento in criptovalute e riconoscimenti facciali per evitare truffe da secondary ticketing

È interessante notare come, dopo anni di assoluto disinteresse – se non per gli incassi al botteghino, che crisi o non crisi non hanno conosciuto flessioni – l’industria del live stia prestando attenzione al ticketing: sarà che i manuali di marketing spingono sempre più verso l’esperienza cliente, sarà che un po’ maquillage, dopo anni di condotta per lo meno disinvolta, di certo male non fa, fatto sta che l’industria della musica dal vivo, oggi, pare più avanti dei governi nel cercare di correggere le storture nell’ambito della biglietteria.

Perché certo, per chi lavora nel mondo del live il problema dei concerti non sono i prezzi dei biglietti – smaccatamente gonfiati, come ha raccontato il manager dei Metallica, «tanto finché la gente continua a comprarli senza lamentarsi» – ma il secondary ticketing: il bagarinaggio online è un’intermediazione non richiesta quindi o ce ne si occupa in prima persona – come fa Ticketmaster con TicketsNow e Seatwave – o lo si estirpa. E di ipotesi fantasiose per estirparlo, le cronache, negli ultimi giorni si sono riempite.

A Londra due brillanti neolaureati all’Imperial College di Londra – Annika Monari e Alan Vey, rispettivamente 25 e 24 anni – hanno messo a punto un software, battezzato Aventus Protocol, che sfruttando la tecnologia blockchain (la stessa sulla quale si basa il sistema delle criptovalute), permette di tracciare con estrema precisione il biglietto dall’emissione al tornello dello stadio o del palazzetto. In sostanza, l’identità di chi lo compra viene legata al numero di serie del tagliando, che non potrà nascondere agli organizzatori dell’evento eventuali cessioni a terzi, soprattutto a pagamento. Le tecnicalità del protocollo sono tutte da scoprire, ma oltremanica c’è chi ci crede davvero: 10mila biglietti per i prossimi mondiali di calcio, infatti, verranno messi sul mercato europeo via Aventus Protocol. Niente male, come banco di prova. Anche se negli USA, va detto, c’è chi sta pensando ancora più in grande.

Live Nation e Ticketmaster, società consorziate che hanno tra le controllate, come si ricordava qualche riga fa, almeno un paio di piattaforme secondary, hanno allacciato una partnership con Blink Identity, azienda specializzata in tecnologie di riconoscimento facciale. Lo scopo: “smaterializzare” del tutto il vecchio biglietto del concerto, legando l’ingresso all’identità – anzi, ai tratti fisici del volto – di chi lo compra. In pratica, si verrà costretti a metterci la faccia, per entrare in un parterre, con i pro e i contro del caso: certo, ai bagarini verrà tolto qualsiasi margine di manovra, ma una società enorme disporrà del nostro numero della carta di credito e della nostra faccia. Fate un po’ voi. Ci sbilanciamo: queste due trovate, e le altre che verranno eventualmente presentate in futuro, magari verranno anche messe in pratica, ma non serviranno a nulla. Perché del secondary ticketing in realtà non frega niente a nessuno.

Non interessa alla politica, che ha circa un migliaio di problemi in agenda più grossi che chi fa la cresta sui biglietti dei concerti. Leggetevi, per dire, il testo del decreto attuativo dell’emendamento Franceschini alla legge di stabilità 2016, che tecnicamente mette fuori legge il bagarinaggio online in Italia: il provvedimento, studiato in fretta e furia dopo che l’inchiesta di Matteo Viviani per Le Iene aveva fatto scoprire agli italiani cosa fosse il secondary ticketing, serviva più che altro a calmare l’ondata di indignazione popolare. E infatti è scritto coi piedi, tanto da non punire le persone fisiche che mettano in atto speculazioni sul mercato secondario.

Il bagarinaggio online non interessa all’industria della musica dal vivo, o meglio interessa – come ricordato sopra – solo quando disperde capitali (nelle tasche dei bagarini freelance): le società di secondary ticketing controllate dai big attivi nel live promoting e sul mercato primario servono a creare plusvalore con quale pagare show sempre più costosi – e qui si torna al discorso fatto dal manager dei Metallica. Non c’è né trucco né inganno, per così dire: la cresta che il consumatore crede di pagare al bagarino fa in realtà parte dell’ecosistema e ne è perfettamente funzionale. Con buona pace dell’indignazione facile del fan medio.

I primi ai quali non freghi nulla del secondary ticketing, tuttavia, sono quelli che vanno ai concerti, e questo è il peccato originale che rende qualsiasi discorso sull’argomento inutile, e che in un certo senso assolve i peccati commessi qua e là lungo la filiera. Leggetevi questa indagine di Findomestic: il 15% degli italiani che affollano le platee degli show dal vivo sono passati dal bagarino almeno una volta. Uno su tre, di questi italiani, non ha alcun problema a sborsare un extra di 100 euro pur di aggiudicarsi un biglietto sul mercato secondario. Uno su cento, addirittura, si dice disposto a spendere fino a 500 euro per un biglietto che, in media, ne costa dieci volte meno.

Ora la motivazione trovatela voi: perché la passione è passione, perché meglio spenderli in musica che in vestiti o cellulari, perché al cuore non si comanda, perché i concerti sono l’unico vizio che ho, perché il tale artista almeno una vita bisogna vederlo. La retorica da fan di giustificazioni pretestuose non è mai stata avara. Almeno, però, si abbia la coscienza che chi si lamenta chiedendo a gran voce strette legislative e misure draconiane da parte degli operatori magari non rappresenta il problema in sé, ma – senz’altro – una buona parte: la società di oggi ci dice che pagando si può fare, e che la gestione della frustrazione – di non riuscire ad assistere a un concerto, in questo caso – non è un’opzione praticabile. Quindi perché parlarne ancora?

 

Guglielmo Cancelli