Pubblicato il 07/05/2018, 19:30 | Scritto da Gabriele Gambini

Marco Zingaro: Il mio Beppe Patriarca ne Il capitano Maria, cattivo e complesso

Marco Zingaro: Il mestiere di attore indaga tra le pieghe dell’animo umano, per questo il ruolo da antagonista è affascinante

Togliere le zavorre a un’iperbole è un ottimo test per verificare la tenuta delle proprie affermazioni. Marco Zingaro lo fa con cognizione di causa quando presenta il suo personaggio ne Il capitano Maria (prodotto da Palomar, da lunedì 7 maggio in prima serata su Rai1), fiction in cui è Beppe Patriarca, l’antitesi dell’ufficiale dell’Arma che ha il volto di Vanessa Incontrada. «Sono il cattivo della serie. La famiglia Patriarca gestisce il mercato del contrabbando nel porto della città pugliese in cui è ambientato il racconto. Il padre tiene le redini dei traffici dalla prigione, il fratello maggiore si è allontanato dal crimine, io sono il collante tra lui e il fratello minore».

Ma non c’è da pensare a un dualismo manicheo tra Patriarca e i carabinieri, qualcosa in stile cattivi contro buoni. Il ruolo di Zingaro è complesso, diviso tra luci e ombre come insegna l’esempio delle serie tv internazionali, dove ogni personaggio è portatore di un’umanità articolata. L’attore ne sa qualcosa. Pugliese nato ad Andria, ha studiato arte drammatica a Roma per poi trasferirsi a Londra e lavorare in cast quali Spectre e nella serie I Medici.

Il suo personaggio, Beppe Patriarca, è l’antagonista della serie.

Rappresenta il lato oscuro del capitano Maria. Gestisce il mercato del contrabbando e dei traffici illeciti portuali. La sua famiglia lo fa da generazioni. La fiction è ambientata in Puglia, io sono pugliese e ho ben presente alcune realtà pericolose delle nostre città, soprattutto negli anni ’90, quando poteva capitare di incappare in cattive compagnie.

Gli attori, quando interpretano la parte di un malvagio, di solito si sentono stimolati.

Perché il mestiere di attore indaga la natura umana nei suoi meandri. Consente di vivere molte vite. Il lato dark di ciascuno di noi difficilmente viene fuori nei contesti reali, poterlo scandagliare a briglia sciolta sul set permette invece di varcare gli ostacoli della timidezza e delle regole senza rischi. È impegnativo e curioso a un tempo.

Il suo personaggio però non è un cattivo monocorde.

Ha anche un animo tenero, si colloca a metà tra i due fratelli. Ma agisce col piglio di chi è abituato a infrangere la legge. Conserva alcuni tratti instintivi e irruenti tipici di un certo modo di intendere il sangue caldo mediterraneo. La sua evoluzione garantirà sorprese.

Le serie tv oggi, soprattutto quelle internazionali, hanno in appalto il racconto del quotidiano, fanno convivere lo straordinario nell’ordinario.

Guardo molte serie tv americane, ho lavorato sul set di produzioni internazionali. Garantiscono un forte criterio di immedesimazione sia agli attori, sia al pubblico. Basti pensare al successo di Narcos. Sono esempi che all’Italia fanno bene. A patto che sappia rielaborarli e ripensarli per il territorio italiano.

Sta succedendo. Gomorra, The Young Pope. C’è chi dice che le serie sulla malavita forniscano cattivi esempi.

Accade anche in Inghilterra. L’escalation di violenza delle baby gang è stata imputata ad alcune serie televisive. Tutto il mondo è paese. Quel che conta non è tanto l’aspetto didattico dei contenuti, quando il saper educare il pubblico a una ricezione corretta delle rappresentazioni.

Le differenze principali tra lavorare in Inghilterra e in Italia?

All’estero il mestiere di attore ha una componente più immersiva. È vissuto a tutto tondo per tutto l’anno e c’è maggior possibilità di interazione tra colleghi partendo tutti dallo stesso livello. Sul set, quando i budget a disposizione sono alti, c’è un’attenzione maniacale a tutte le componenti del lavoro. Con questo però non intendo sminuire l’Italia, anzi. Da noi c’è una componente creativa vivacissima.

Il suo obiettivo di carriera?

Evitare i compartimenti stagni. Non voglio incasellarmi in un’unica tipologia di ruoli. È ciò che faccio fin dai tempi dell’Accademia e che intendo perseguire in futuro. Come si diceva prima, l’attore deve indagare tra le pieghe dell’animo umano.

Gabriele Gambini

(nella foto Marco Zingaro)