Pubblicato il 30/03/2018, 17:45 | Scritto da Paolo Madeddu

Niente da fare: The Voice of Italy non è figo e se spacca qualcosa, non sono i culi

Niente da fare: The Voice of Italy non è figo e se spacca qualcosa, non sono i culi
Analisi del talent show canoro di Rai 2, che delude le attese del ritorno in onda. L'immagine che si ha è che sia un programma con poco identità.

The Voice of Italy non ci convince

Anche in una serata che ha visto il flop di Canale 5 (1,8 milioni di spettatori e 8% di share per Forever Young di Fausto Brizzi con Sabrina FerilliThe Voice of Italy ha perso spettatori. Non in modo drammatico, bisogna ammetterlo. Centotrentacinquemila in meno rispetto all’esordio, per uno share del 10,2%, in fin dei conti non lontano dal 10,3% che era stato accolto come una delusione sette giorni fa.

In ogni caso, se The Voice Of Italy è già in nella camera iperbarica dopo due puntate, non è nemmeno tutta colpa sua. La rete su cui va in onda il fortunato (…altrove) format inventato dal Mida olandese John De Mol è allo sbando da anni. Forse perché in attesa che una forza politica con la furbizia dei socialisti degli anni ’80 torni ad accamparcisi con decisione.

Così, quello che succede è che mancando di identità la rete, manca di identità pure la trasmissione, che tristemente si rivela una versione analcolica di X Factor. A partire dalle sezioni in cui i dodici autori del programma si occupano dell’ineffabile, fatidico storytelling dei concorrenti. Ma lungo tutto il programma, sembrano clonate le espressioni (“per me sei un diamante grezzo” “spacchiamo i culi”), le inquadrature, gli stacchetti, la ricerca del momento che vada nelle homepage del Corriere. Ma persino su Twitter c’era scetticismo sul concorrente imbelvito che ha scagliato la chitarra come un giavellotto.

Ecco, forse lo sforzo maggiore è stato messo nel cercare di agganciare il pubblico giovane sui social a colpi di meme, con J-Ax (o chi per lui) che twittava indefessamente i suoi axforismi. Alcuni divertenti, ma palesemente pronti da un paio di mesi – aggiungendo le faccine che ridono con le lacrime, tipico sintomo di canna del gas umoristica.

Forse The Voice of Italy nasce con la segreta, depressa convinzione che in Italia non ci sia spazio per un terzo partito, perché Amici X Factor esprimono tutte le ideologie possibili dei talent. E dal momento che l’iperrealismo ansiogeno di Maria De Filippi non è imitabile, ci si ritrova a guardare nell’altra direzione. Dove però è tutto sapientemente enfatizzato, tutto è mirabile (persino un’ospitata del sommo due di picche James Arthur), così esasperatamente figo da sembrare una parodia: in The Voice, in compenso, niente è figo.

E qui si ritorna alla possibile origine di tanta mestizia – perché vale la pena di ricordare che anche X Factor in versione Rai 2 dovette arrendersi al declino di ascolti. La finale dell’ultima edizione Rai (vinta da Nathalie) fu seguita da 2,7 milioni di spettatori. Mezzo milione in meno di quelli che avevano assistito alla prima puntata. Fu sostituito con Star Academy – chiuso anticipatamente, rinunciando pure alla finale, nell’incredulità dei concorrenti.

Mentre The Voice nelle prime due edizioni si era comportata decentemente: 3,3 milioni di media per la prima edizione, 3,2 la seconda, e in entrambi i casi chiudendo in crescita. Ma dalla terza edizione è iniziata una caduta in modalità Vilcoyote. Una media di 2,5 milioni per la terza, e perdendone a bizzeffe settimana dopo settimana. Fino alla quarta edizione, con 2,2 milioni di media, e oltre un milione di spettatori persi tra la prima serata di Blind auditions e la finale.

In tutto ciò, nessun vincitore, neppure Suor Cristina, malgrado il boom su YouTube, ha tratto benefici dal contratto con la Universal che gli spetta da regolamento. Nemmeno Alice Paba, malgrado l’entusiasmo di un noto critico sboccato e ciarliero che, per qualche motivo, le dedicò un articolo trionfante che iniziava con l’invito “Sucate”.

Beninteso, non è che i talent principali abbiano sempre prodotto dei numeri uno, anzi. Ma se non altro ai loro autori va riconosciuto di aver fatto la scelta cinica e drastica di mettere al primo posto la riuscita dello spettacolo televisivo. Anche a costo di passare sui concorrenti come schiacciasassi, regalando viceversa ad alcuni giudici una notorietà mai vista prima (Maionchi, Morgan, Agnelli).

Nel caso di The Voice of Italy, si arriva alle 23.40 esausti, e i giudici sembrano sempre uguali: Renga sembra Cocciante, Albano sembra Facchinetti, Scabbia sembra Noemi, J-Ax sembra J-Ax . In ogni caso l’edizione di quest’anno dura solo otto puntate ed è facile pensare che sarà un sollievo anche per loro.

 

Paolo Madeddu

 

(Nella foto i giudici di The Voice of Italy 2018)