Pubblicato il 26/03/2018, 19:05 | Scritto da Gabriele Gambini

Francesco Mazza: Il racconto di Ettore Majorana va oltre il gossip sulla sua scomparsa

Francesco Mazza: Sarebbe auspicabile dar voce a un sistema culturale e televisivo che valorizzi le realtà locali, per non cadere nel rischio dell’appiattimento su contenuti tutti uguali e sull’eliminazione delle differenze

C’è un presupposto che rende Ettore Majorana – L’uomo del Futuro (Sky Arte, lunedì 26 marzo alle 21.15) un documentario interessante, fuori dal coro dei peana celebrativi sulla vicenda dei ragazzi di via Panisperna e sul corollario di congetture circa la parabola terrena del fisico siciliano: la capacità di affrancarsi dal solo scartabellare delle note biografiche che dipingono lo scienziato come una sorta di gatto di Schrodinger antropomorfo, vivo e morto allo stesso tempo. Aggiungendo alla narrazione un efficace approfondimento sull’importanza di Majorana come ricercatore e come ribelle.

Un documentario, per dirla col suo autore, Francesco Francio Mazza, che è una piccola perla di artigianato televisivo di qualità, e che diventa emblematico per raccontare un pezzo di storia d’Italia. Abbandonando gli stereotipi sul Belpaese cari ai grossi gruppi editoriali, spesso abituati a ragionare su macrotemi standardizzati. Il film ha la voce narrante di Federico Buffa. Si parte dal palco del Teatro Sociale di Como, nella scenografia dello spettacolo Cronache di Infinite Scomparse, si prosegue in equilibrio tra contributi esclusivi sugli studi dell’accademico siciliano e l’approfondimento non sensazionalistico sulle dinamiche della sua scomparsa. Tra gli interventi, quello del procuratore Pier Filippo Laviani, della figlia di Francesco Fasani, e del professor Recami, che esaminano le informazioni relative all’emigrazione di Majorana in Venezuela nel 1938.

Quanto è durato complessivamente il lavoro, tra ricerche e confezionamento?

Abbiamo cominciato a luglio e siamo arrivati a gennaio. I contributi a disposizione sono molti e determinanti, a cominciare da quello del professor Shoucheng Zhang, docente di fisica teorica all’Università di Stanford di San Francisco, l’uomo che ha studiato e scoperto le evidenze circa l’esistenza del “fermione di Majorana” e che si dice convinto che il fisico catanese sia stato un “genio italiano paragonabile solo a Leonardo Da Vinci”. Proseguendo con gli interventi del procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani, titolare dell’inchiesta che ha accertato la presenza di Majorana in Venezuela negli anni ’50.

I filoni d’indagine sulla scomparsa di Majorana sono molti, talvolta fantasiosi.

Buona parte delle nostre ricerche è stata condotta sulla base del libro La seconda vita di Majorana (Chiarelettere) che mette a disposizione una ricostruzione strutturata della vicenda del fisico catanese. Si tratta di un approfondimento tra i più convincenti, assieme a La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia, che affronta la vicenda con un filtro filosofico, e ai testi di Erasmo Ricami.

La sua presenza in Venezuela nel Dopoguerra è stata accertata da numerosi testimoni.

In Venezuela è di dominio pubblico che si trovasse lì sotto il falso nome di sig.Bini. Inoltre c’è un’inchiesta della magistratura che avvalora la tesi. Il resto sono italiche congetture con qualche spruzzata di gossip.

Il filone che conduce al Venezuela è dunque accreditato da una sentenza e dal lavoro dei Ris, come spiega il documentario.

In Italia c’è chi nega la veridicità della sentenza, e questo fa parte di un tipico nostro malcostume nazionalpopolare. Ma si può criticare la valenza giuridica di una sentenza soltanto fornendo elementi alternativi di egual peso. Altrimenti, prove di supporto alla mano, la verità storica va in quella precisa direzione.

Un certo contributo a ingarbugliare i fatti è stato dato dai parenti di Majorana.

Si è scatenata una sorta di Majoraneide. Nel documentario abbiamo dato spazio a Salvatore, pronipote dello scienziato, che ha un atteggiamento laico e si esprime coerentemente coi fatti dimostrati nella sentenza. Fuori da essi, c’è un mondo parallelo fatto di gelosie dinastiche e elementi di contorno, tra cui le ipotesi sui gusti sessuali di Majorana o sul suo essere affetto da Sindrome di Asperger. Tutte cose marginali che mettono in ombra la figura di Majorana per quanto riguarda il suo vero contributo alla scienza e allo sviluppo della fisica teorica.

Le sue intuizioni scientifiche sono forse il lato meno noto al grande pubblico, perché di più difficile collocazione in prodotti non solo destinati agli addetti ai lavori.

Uno degli aspetti raccontati con chiarezza nel documentario sarà l’intuizione che ha portato alla scoperta del fermione di Majorana e all’elaborazione di teorie che presto costituiranno la chiave di volta nello sviluppo delle nanotecnologie e dei computer del futuro. Majorana aveva intuito che materia e antimateria convivono e non sono compartimenti stagni, contribuendo a rivoluzionare sia alcune teorie scientifiche, sia l’approccio filosofico intorno al modo di pensare l’universo. Non a caso, gli americani considerano cruciale l’importanza di Majorana e lo raccontano dando molto più peso alle sue scoperte rispetto al lato biografico. Da noi non succede.

Sta lanciando quindi una stoccata alle realtà produttive italiane affinché non deleghino sempre ad altri il racconto delle proprie eccellenze?

Sarebbe auspicabile dar voce a un sistema culturale che valorizzi le realtà locali con spazio all’approfondimento, perché altrimenti esse saranno raccontate da altri e non sempre col giusto peso. Per esempio, guardando la produzione di Netflix sull’Italia, emerge Suburra, oppure un documentario sulla Juventus: dunque mafia e calcio. Manca solo il mandolino e i luoghi comuni ci sono tutti. Se tu parli con un ragazzo italiano dai venti ai trent’anni, spesso lo troverai ferratissimo sulla storia americana dell’800 e del ‘900 grazie a una consistente industria cinematografica sul tema giunta anche da noi. Ma non è detto che avrà le stesse conoscenze sul delitto Matteotti o sulla vicenda Mattei.

Perché accade ciò?

Perché una certa forma di neoliberismo delega la costruzione di un sistema culturale-televisivo alle grandi corporazioni, spesso statunitensi, che ragionano su macrotemi e portano a un’omogeneità di contenuti che elimina le differenze territoriali e le aspirazioni costruite attorno a esse. L’omogeneità culturale conduce all’appiattimento, alla costruzione di modelli unici e alla perdita di valore data dalle diversità territoriali.

Come si contrasta questo tratto distintivo tipico di un’era globalista?

Dimostrando che non conta tanto scegliere un tema alto o basso da raccontare, conta il modo con cui lo si fa. I racconti di Federico Buffa, anche con un prodotto artigianale come questo, ne sono un esempio. Oppure, pescando in un ambito più largo: quando Benigni ha portato in prima serata la Costituzione Italiana, ha fatto grandi ascolti con un argomento in apparenza spinoso, veicolato però in modo fruibile.

Tutto ciò è davvero possibile su larga scala?

Il mondo dell’intrattenimento oggi è più simile a una macelleria messicana che a una pasticceria viennese. Le realtà locali che non godono di una nicchia sufficientemente grossa sono condannate all’irrilevanza. Persino in America, una serie come Madman, efficacissima nello svelare la falsità del sogno americano, fa ascolti bassissimi. Però è rivolta a un bacino di utenti così ampio da poter sopravvivere con dignità. L’Italia è una realtà molto più piccola. E poi è cambiata l’educazione visiva del pubblico: gli spettatori si aspettano sempre confezioni formali alla Game of Thrones o alla Breaking Bad e, per realizzare prodotti del genere, è più semplice puntare su argomenti di facile presa.

Occorre dunque provare a esercitare atti di ribellione creativa. A proposito di ribellione: Majorana era un ribelle?

Ironizzando, si può dire che quella di Majorana sia stata una fuga di cervelli ante-litteram. C’è un episodio chiave che dà la misura del personaggio: un concorso per una cattedra di Fisica a Roma a cui lui partecipa anche se da tempo non ha più grossi rapporti coi colleghi di via Panisperna. Sa benissimo che l’assegnazione era già stabilita per il figlio del filosofo Giovanni Gentile, ma si candida per sfidare una certa forma di nepotismo. Enrico Fermi si mette di mezzo e fa assegnare una cattedra a Majorana presso l’università di Napoli. Una soluzione all’italiana che salva capra e cavoli, ma che mette in luce la personalità di un ribelle autentico.

Un ribelle che si è auto-condannato all’esilio?

La condanna di Majorana stava nel suo talento. Tutta la misura delle sue azioni veniva filtrata dagli altri partendo dalle sue qualità nel campo della fisica. Un po’ come è accaduto ad Andrè Agassi nel tennis: era così bravo che la racchetta è diventata la sua fortuna e la sua missione-condanna. Majorana era così avanti rispetto ai suoi contemporanei che forse, a un certo punto, si è sentito solo e ha voluto scomparire per costruirsi una vita lontana dalla scienza. Accade anche ai miliardari di Wall Street: dopo anni trascorsi in mezzo a soldi e a titoli di Borsa, se ne vanno in Toscana e aprono un agriturismo.

Gabriele Gambini

(nella foto, Federico Buffa in Ettore Majorana – L’uomo del Futuro)