Pubblicato il 14/03/2018, 17:02 | Scritto da Tiziana Leone

Caso Moro: il racconto di via Fani come non lo avete mai ascoltato su History

Il sequestro Moro. Gli altri testimoni, è il film documentario, diretto da Mary Mirka Milo, in cui per la prima volta viene raccontato il sequestro Moro dal punto di vista di quattro testimoni per caso

Si chiama Il sequestro Moro. Gli altri testimoni, è il film documentario, diretto da Mary Mirka Milo che lo firma insieme a Massimo Vincenzi, Michela Micocci e Valeria Castrucci in onda su History domani sera alle 21. Non è il solito film documento sui giorni del sequestro, con le testimonianze delle Brigate Rosse o della spasmodica ricerca in tutti i quartieri di Roma, ma un racconto dal punto di vista di quattro testimoni, che quel 16 marzo del 1978 erano a via Fani per caso. Si tratta di Ernesto Proietti, netturbino in servizio nella zona, che pochi minuti prima aveva visto un’autovettura con degli uomini a bordo vestiti da aviere, Lorenzo Vecchione, avvocato romano, che mentre sta prendendo l’auto per recarsi in ufficio si imbatte in alcuni uomini vestiti da steward, Francesco Pannofino, all’epoca dei fatti studente universitario e oggi attore e doppiatore di successo, che dà le spalle alla strada mentre legge il giornale e Sergio Vincenzi, residente nella zona, che assiste all’esecuzione degli uomini della scorta e fissa negli occhi un brigatista. Il documentario spiega, con l’aiuto dello psichiatra Prof. Roberto Fornara, i risvolti psicologici di questa esperienza, e cosa può accadere nei comportamenti, nei ricordi, nei pensieri dei testimoni di un atto di terrorismo, nel 1978 come oggi «L’obiettivo del nostro documentario – spiega la regista Mary Mirka Milo – era raccontare l’agguato di Via Fani attraverso lo sguardo di quattro testimoni oculari presenti quel giorno sul luogo dell’agguato».

Un punto di vista ancora inedito?

«Sì sono testimoni che non hanno mai rilasciato interviste sull’argomento, i loro racconti sono del tutto inediti».

Tra i quattro c’è anche l’attore Francesco Pannofino…

«Francesco è stato sentito per la prima volta dagli inquirenti nel luglio 2015 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni».

Come avete trovato i quattro testimoni?

«E’ stata una ricerca faticosa, abbiamo operato a 360 gradi, anche perché abbiamo riscontrato molte resistenze…»

In molti hanno preferito non parlare?

«Molti ancora vivono con un profondo senso di angoscia quel giorno. Essendo passati 40 anni sono persone anziane, che magari non se la sentono di rilasciare un’intervista».

Qual è stato il vostro punto di partenza per realizzare questo documentario?

«Gli atti processuali».

I quattro testimoni erano a Via Fani per caso?

«Sì, anche se erano  quasi tutti residenti in zona. Vincenzi stava portando la figlia a scuola, a Pannofino si era rotto il motorino e si trovò costretto ad andare all’università a piedi. Proietti era un netturbino che vide le persone del commando sia prima che dopo la sparatoria e Lorenzo Vecchione era un avvocato residente in zona che da bravo avvocato si accorse subito di una certa incongruenza tra le divise che indossavano i brigatisti e il cappello dell’Alitalia».

Cosa l’ha colpita di più delle quattro testimonianze?

«Il fatto che quel che è successo a loro potrebbe capitare anche a ciascuno di noi. Si sono ritrovati testimoni di uno dei più gravi o forse del più grave attentato della storia repubblicana».

Cosa accomuna i quattro testimoni?

«Il sentimento della paura, vissuto non solo nell’immediato, ma per gli anni a seguire. Abbiamo cercato di dare anche un taglio di natura psicologica e sociologica al racconto, per far capire il clima che si respirava».

Era una paura personale o rivolta al periodo degli anni di piombo dell’epoca?

«Entrambe. Nel momento in cui assisti a un agguato e incroci lo sguardo del terrorista, la paura diventa personale, tanto è vero che alcuni dei testimoni furono dispensati dal partecipare alle udienze pubbliche per evitare di essere riconosciuti. Ma era anche una paura generalizzata, erano anni di piombo, a Roma c’erano gambizzazioni e attentati, non solo rivolti a magistrati e poliziotti».

Nel documentario viene anche raccontato il lavoro delle forze dell’ordine?

«Abbiamo avuto la collaborazione della polizia scientifica. Nella sua intervista, Federico Boffi direttore tecnico della scientifica che per conto della commissione di Fioroni ha effettuato nuovi rilievi ha evidenziato diversi elementi di novità. Si era sempre creduto che la macchina di Moro e l’Alfetta della scorta fossero ferme prima dell’agguato, ma invece è stato provato che erano ancora in movimento e questo rimette in discussione le varie versioni dei brigatisti. Anche la durata della sparatoria, che fu di meno di un minuto, è servita per spiegare i tempi di “mancata reazione” degli uomini della scorta, che morirono nel tentativo di difendere Moro».

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto via Fani dopo il rapimento Moro)