Pubblicato il 22/01/2018, 19:30 | Scritto da Gabriele Gambini

Francesca Barra: Racconto la bellezza dell’Italia e sogno un programma alla Carlo Lucarelli

Francesca Barra: “Ho detto “no” all’Isola dei Famosi e non sono pentita”

Autoscopia metaforica di Francesca Barra. 39 anni, lucana, giornalista e scrittrice. Si definisce battitrice libera della tv. La frequenta con incursioni da opinionista, «Scegliendo dove, quando e perché». Senza la fregola di esporsi al tritacarne mediatico quando sente puzza di giacobinismo gossipparo deformato.

«L’8 febbraio uscità per Garzanti Prova a dirmelo guardandomi negli occhi, con interviste esclusive a Maria Elena Boschi, Miriana Trevisan, Sonia Bruganelli, a mamme di ragazzini vittime del cyberbullismo. Racconterò la mia personale vicenda di vittima di offese diffamatorie sui social». Ha detto no all’Isola dei Famosi e «Non mi pento». Ama scrivere in luoghi chiassosi, fregandosene della figura retorica un po’ stantìa dello scrittore che scrive per assecondare urgenze interiori: «Per me la scrittura nasce dall’esperienza accumulata, dalla voglia di raccontare, senza particolari pose».

Ogni sabato e domenica, dalle 21 alle 22 su Rai Radio 2, (e in streaming su radio2.rai.it, fruibile dalla app di RaiPlay Radio e con contenuti speciali su tutti i social di @RaiRadio2), conduce, assieme al critico d’arte Costantino D’Orazio, Bella davvero, viaggio nel patrimonio artistico e culturale nazionale. Ripensando alla sua carriera televisiva, rievoca momenti belli e brutti: «Non nego di aver commesso qualche errore, ma ha avuto un valore formativo».

Rifarebbe tutto nella sua carriera?

Non sono una che consulta le stelle. Ogni scelta fatta è stata formativa. Sono sempre stata un battitore libero.

Che significa battitore libero?

Quando ho partecipato a programmi nel ruolo di conduttrice non ho mai avuto un team di autori personali. Entravo in squadre precostituite e mi adattavo. Senza particolari direzioni imposte. Lo faccio anche oggi, scegliendo su che tema espormi.

Il momento di maggior pressione?

Ai tempi della conduzione di In Onda con Gianluigi Paragone finivo ogni giorno sui giornali. Attenzioni eccessive, attacchi, gossip. Sopportare tutto senza particolari protezioni diventava dura. Al punto che, terminata l’esperienza, mi sono iscritta a un corso di cucito per allentare la tensione.

Qual è il suo stato d’animo attuale?

Ho trentanove anni, tre figli, un compagno e una vita meravigliosa.

Sogna una trasmissione tutta sua in tv?

Preferisco progetti a breve scadenza, come detto prima. Certo, se arrivasse un programma di storie raccontate alla maniera di Carlo Lucarelli, non direi “no”.

Nel frattempo, in radio, le storie le racconta con Bella davvero. Si parla di bellezza culturale italiana. Ma la parola “Bella”, se associata a una donna, cambia significato. Il suo aspetto le ha creato difficoltà, sul lavoro?

Oggi è stato sfatato il pregiudizio sull’incompatibilità tra cura del proprio aspetto e intelligenza. Ho partecipato a La vita in diretta, nel presentarmi hanno ricordato le mie inchieste giornalistiche antimafia. E se nel passato hanno anche scritto di me “È la bionda che ipnotizza”, problema per chi lo scrive. Ho sempre svolto in modo serio il mio lavoro e le testate serie me lo hanno sempre riconosciuto.

Le dava fastidio l’etichettatura?

Non me ne è mai importato granché. Ho sempre cercato di essere me stessa, non ho mai creduto a strategie per rendermi più o meno credibile in determinati contesti. L’estetica non è né un limite, né un valore in sé. Conta la professione a cui si accompagna e il modo di esercitarla.

C’è una prova del nove della propria credibilità?

Nel mio caso, valuto l’impegno civile e la professionalità con cui svolgo il mio mestiere. Ogni tanto, vado su Youtube a riguardarmi le litigate fatte durante le trasmissioni con Feltri, Sgarbi, Gasparri. Se discutono con me, significa che mi considerano interlocutore credibile.

Ecco. Youtube, i social. Spesso nascono lì le considerazioni degradanti sulle persone mediaticamente esposte. Sconfinando nell’odio online.

Il problema non è dei social ma di chi li usa fondandosi su un’impunità presunta che essi garantiscono.

Una vicenda in particolare l’ha riguardata da vicino ed è finita su tutti i giornali.

Un funzionario della regione Basilicata scrisse un post offensivo sulla mia relazione col mio compagno Claudio Santamaria. Per quella frase, seguita da altri post ingiuriosi, chiesi un provvedimento disciplinare a suo carico. Lui si difese dicendo di aver intercettato solo chiacchiere di gossip, e di averlo fatto al di fuori dell’orario di lavoro, come se questa fosse un’attenuante deontologica. Poi però ha continuato a perseguitarmi. Ha pubblicamente attribuito la paternità della mia figlia minore non al padre ma a Claudio, oltre a scrivere altre frasi pesanti, di cui possiedo gli screenshot che ho pubblicato sulla mia pagina Facebook. Questa storia non finisce così, la Regione ha archiviato il procedimento a suo carico facendo riferimento solo al primo post pubblicato, creando un precedente pericoloso. Ci vedremo in Tribunale. L’assurdo è che, prima di muovermi per vie legali, ho cercato di rivolgermi a lui chiedendogli di smettere, ma ha rincarato la dose.

Racconterà tutto nel libro Prova a dirmelo guardandomi negli occhi (Garzanti).

Racconterò nel dettaglio. Analizzando anche episodi di cyberbullismo, intervistando persone che, come me, sono state vittima di odio social: Maria Elena Boschi, Miriana Trevisan, Sonia Bruganelli.

Limitare le espressioni sui social, chiacchiericcio volgare compreso, non è l’anticamera della censura?

La mia proposta è rendere Facebook testata giornalistica, con le conseguenze deontologiche del caso. E introdurre una sorta di Daspo, la sanzione che viene comminata negli stadi ai tifosi violenti, per gli utenti che esagerano con insulti e ingiurie personali. La scrittura sui social ha valenza pubblica. Ce ne si assuma la responsabilità.

I social sono anche una finestra sulle bruttezze umane. La bellezza di cui parlate in Bella Davvero può esserne un antidoto educativo?

La bellezza dell’Italia che raccontiamo in trasmissione è una boccata d’ossigeno a molte brutture, e non lo dico in modo retorico. Basti guardare al successo dei programmi di Alberto Angela o alle code davanti ai musei. Come dire: la bellezza è fra noi, usciamo da casa e cogliamola.

L’arte è la nuova forma di divulgazione pop?

Potrebbe diventare popolare come i programmi di cucina. Non solo l’arte, ma la storia che c’è dietro un luogo, un’opera. A Bella Davvero, Costantino D’Orazio e io abbiamo raccontato di Craco, un paese fantasma nella mia Basilicata usato da Rosi come scenario per alcuni suoi film. E ancora: la Napoli sommersa, la storia della Pietra del Diavolo sull’Aventino, tra mito e realtà.

Come si conquista il pubblico radiofonico, non potendo contare sulle immagini?

Vincendo la pigrizia e innescando curiosità nell’ascoltatore con storie inconsuete e un taglio diretto. Non amo il linguaggio barocco. La bellezza da raccontare parte dalla meraviglia negli occhi chi vi si accosta.

Bellezza come stupore.

Come stupore e come esperienza. Penso a Scampia. Tradizionalmente è considerato un luogo di abbandono e di violenza. Ma, scavando nelle storie dei suoi abitanti, si scoprono realtà impensabili. Quando conducevo La bellezza contro le mafie, proprio a Scampia mi sono imbattuta in un boss che è finito in carcere per ben 27 volte. L’ultima di queste, ha trovato una Bibbia e ha deciso di convertirsi. Gli ho chiesto come si sentisse, mi ha risposto che il passo più difficile è stato convincere sua moglie a cambiare radicalmente stile di vita, assecondando una decisione tanto coraggiosa. Anche questa è bellezza. Un progetto rivoluzionario, un cambio di prospettive. Una racconto carico di vissuto. Un’identità.

La bellezza nelle storie raccontate in una confezione giornalistica e divulgativa ha colore politico?

No, anche se personalmente mi hanno affibbiato contiguità un po’ da ogni parte politica, a seconda dell’inchiesta condotta.

Voterà il 4 marzo?

Sto decidendo.

Scriverà ancora?

Certo. Scrivere ha un valore catartico, senza pose particolari. Mi piace farlo quando ho qualche idea, anche in luoghi affollati, se capita. Quando leggo, invece, scelgo soprattutto le grandi storie familiari degli autori sudamericani. I primi che hanno suscitato in me lo stupore di cui parlavo.

Gabriele Gambini

(nella foto, Francesca Barra)