Pubblicato il 17/12/2017, 19:30 | Scritto da Gabriele Gambini

Chef Rubio: Il mio sporco Natale, lontano dalla retorica dell’impiattamento

Chef Rubio: “L’anno prossimo tornerò ad affrontare la tematica del viaggio e del vivere la strada”

Immaginatelo, un Babbo Natale con le sembianze di Chef Rubio. All’intercalare lappone sostituisce l’accento da romanaccio, e però del Santa Claus originale conserva l’indole di apolide errante cittadino del mondo, un mondo che così com’è non gli piace granché, e che prova a cambiare ingaggiando battaglie donchisciottesche con mulini a vento molto terreni. Abbracciando cause che val la pena raccontare.

Succede in È uno sporco Natale (prodotto da Dry Media, in onda su Dmax, canale 52 del DTT, lunedì 18 dicembre alle ore 21.25), spin off natalizio di È uno sporco lavoro, mantenendo intatte le prerogative del format: immergersi in prima persona nei mestieri faticosi, difficilmente illuminati dai riflettori della gloria, che fanno funzionare la complessa macchina mercatista natalizia. Dall’accudire le renne nelle stalle di Courmayeur, alla catena di montaggio del confezionamento dei panettoni, dall’allestimento notturno di un albero in un centro commerciale, fino all’aiuto ai volontari del Progetto Arca, onlus che si occupa di assistenza agli indigenti.

Dal 2013 a oggi, il trentaquattrenne Gabriele Rubini da Frascati è stato l’alfiere unto e bisunto dello street food, il rugbysta de Il cacciatore di tifosi, il viaggiatore de Il ricco e il povero. Un filo conduttore c’è: la maieutica della vita popolare abbracciata come strumento dialettico controcorrente.

Chef Rubio, che regalo le piacerebbe ricevere sotto l’albero?

Una Mini Alexa per documentare al meglio i miei viaggi.

E che cosa sogna per il 2018?

Mi piacerebbe che la gente si aiutasse di più, ma in modo disinteressato, come accade talvolta tra sconosciuti. Tra sconosciuti ci si tradisce meno, soprattutto quando non c’è il filtro dell’interesse.

A chi regalerebbe il carbone?

Facile. Ai corrotti. In tutti i settori. A partire dalla politica.

Troppo facile. Almeno facciamo i nomi.

Non serve. Chi segue ciò che faccio, capisce che cosa intendo: provo a servirmi del mezzo televisivo per dar voce alle persone e ai settori che di solito sono ignorati dalle regole dello showbiz. Dico ciò che penso e non faccio calcoli di convenienza.

Con la tv è diventato ricco?

Al netto delle tasse pagate, guadagno un po’ di più di un comune dipendente d’azienda, e va bene così.

Però è diventato un volto popolare. La fama cambia le persone?

Quando mi riconoscono per strada, apprezzo i fan cortesi e rapidi (ride, ndr). Ma non mi vedrete mai ostentare la popolarità acquisita per raccontare in giro quanto sia bello e bravo. Dieci anni fa non sopportavo l’ostentazione sterile della ricchezza da parte dei vip. Succede ancora oggi. Non è una posa: semplicemente non amo lo sfoggio degli orpelli e dell’estetica perché creano condizionamenti sbagliati, modelli di vita che non mi appartengono.

Per esempio, quale modello non le appartiene?

Non sono un accumulatore di beni. I soldi, quando muori, non li porti nella tomba. Meglio investirli in progetti che coinvolgano propositivamente la collettività.

Le è capitato di dire qualche “no” per difendere un principio?

Non ho mai fatto pubblicità per il settore agroalimentare delle multinazionali, nonostante mi siano giunte parecchie offerte, e non lo farò in futuro.

In passato, sui social, ha avuto qualche battibecco con i vegani oltranzisti, proprio nel periodo natalizio.

Qualsiasi forma di estremismo è sbagliata. Nell’ambito alimentare soprattutto. Lo dice la scienza, lo testimonia l’evoluzione. Ciò che conta davvero sono l’equilibrio, l’etica nella produzione e nella salvaguardia dei prodotti locali, una gestione equa dei profitti. Ben vengano i dibattiti sull’impatto ambientale, ma se una multinazionale compra terreni e produce cibo vegano distruggendo ecosistemi preesistenti, crea comunque un danno. Dunque il discorso è complesso.

Veniamo a È uno sporco natale.

Il Natale è una situazione anomala per definizione. Mi sono confrontato con quei mestieri che rendono le festività possibili, ma che pochi conoscono davvero nei dettagli.

Il mestiere con cui si è confrontato più volentieri?

Cucinare per i senzatetto è stato bello e facile. Lì, la retorica dell’impiattamento non esiste, le chiacchiere stanno a zero. E si coglie il punto focale del mestiere di cuoco: darsi a qualcuno, assecondando una vocazione. Cucinare è una vocazione, se non lo senti dentro, non fai strada.

Sul sito chefrubio.it sono in vendita gadget autografati e personalizzati: è diventato un autentico negozio online.

L’ho aggiornato con idee nuove, mi è costato tanto sia in termini economici, sia di tempo. Ci tengo, perché attraverso la vendita di gadget, provo a veicolare messaggi. L’eshop si caratterizza per le sue collaborazioni a scopo sociale: le sartorie delle carceri, le produzioni gestite da disabili e altre categorie simili. L’acquisto di un grembiule autografato come idea regalo natalizia si traduce in progetto reinvestito per la comunità.

A dicembre termina anche l’iniziativa #nonsaicheteperdi, la vendita di pasta fresca realizzata assieme all’azienda Scoiattolo e la Scuola professionale Galdus, che ha coinvolto la catena della grande distribuzione.

Parte dei proventi andranno a finanziare corsi di formazione per nuovi cuochi professionisti presso la Scuola Galdus di Milano, spero si inneschi un circolo virtuoso.

Dopo Natale andrà in vacanza?

Non so quando, ma la parte di mondo che mi piacerebbe visitare nel prossimo futuro è il centro-sud America.

L’anno scorso, aprendo il suo zaino, aveva confidato di portare con sé libri di Haruki Murakami.

Stavolta porterò con me libri che trattino temi scientifici, in particolar modo la medicina forense nei suoi aspetti meno noti. Voglio scrivere un cortometraggio sull’argomento, da presentare nei festival. Come salvare le vite umane attraverso la conoscenza dell’anatomia: trovo sia molto interessante.

Confessò anche di voler assistere a un concerto di Richard Benson.

Stavolta invece, di Corey Taylor degli Slipknot. In mezzo alla folla, davanti al palco.

Progetti televisivi in cantiere?

Tornare al tema del viaggio e alla strada. Stiamo lavorando per voi.

I viaggi, le culture diverse, gli incontri tra i popoli. Se non fosse nato nel Lazio, dove le sarebbe piaciuto nascere?

Forse in Friuli o in Veneto. Mi piace il loro spirito pragmatico.

Gabriele Gambini

(nella foto, Chef Rubio davanti all’albero allestito a Roma, addobbato con i materiali e le attrezzature utilizzate in È uno sporco lavoro)