Pubblicato il 30/11/2017, 19:03 | Scritto da Gabriele Gambini

Sandro su Dplay: Francesco Mandelli e il Terzo Segreto di Satira

Sandro è una serie scritta e interpretata da Il terzo segreto di satira, in otto episodi da cinque minuti l’uno, disponibili su Dplay

Francesco Mandelli si traveste da Tyler Durden, quello di Fight Club, e diventa l’alter ego dello sfigato Sandro Verzetti (interpretato da Massimiliano Loizzi), trentacinquenne in piena deriva fantozziana. Aiutandolo a diventare un self made man che non lesina sul darwinismo sociale per sgomitare in una personale scalata esistenziale.

È la tematica portante di Sandro, serie disponibile su Dplay prodotta da NIENTE tv, realizzata da Ramaya Productions con la supervisione di Zerostories per Discovery Italia, scritta, diretta e interpretata dai ragazzacci de Il Terzo Segreto di Satira, collettivo di videomaker costituito da Pietro Belfiore, Davide Bonacina, Davide Rossi, Andrea Fadenti e Andrea Mazzarella.

Tutto si gioca sul dualismo comico tra i due attori che rappresentano due anime di uno stesso soggetto: uno per come è, l’altro per come (non) vorrebbe essere. Nella mattina in cui il protagonista, Sandro – ordinario nel look, timido nei rapporti umani, sospinto da un’etica da medio-man che lo rende insoddisfatto – scopre di essere stato lasciato dalla moglie, che lo abbandona per una donna, e di essere a due passi dal tracollo lavorativo nell’ufficio in cui svolge il ruolo di responsabile delle risorse umane (diventato l’archetipo del lavoratore sfigato da terziario avanzato, un po’ il kafkiano impiegato del catasto di una volta), ecco che Mandelli bussa alla sua porta.

Elegante, smargiasso e baraccone, si presenta come suo Storyteller personale, perculando il video, altrettanto comico, in cui Matteo Renzi sdogana il termine in Italia con un inglese intoscanito.

Ci vuol poco a capire che Mandelli non esiste, è l’alter ego del buon Sandro. Tra gag e paradossi, di puntata in puntata, gli spiana la strada alla trasformazione in figlio di buonadonna: arrivista, mentitore all’occorrenza, affascinante al punto da farsi l’avvenente vicina di casa. Uno storyteller. Dunque un uomo adatto alla carriera politica.

La provocazione si incastona in una serie godibile, zeppa di citazioni pop rielaborate ad arte, che si beve d’un fiato, coi suoi otto episodi da cinque minuti l’uno, confezionati secondo i crismi della rete. E però nel suo essere divertente, nel prendersi gioco delle miserie comportamentali individualiste ahinoi diventate titoli di merito universali, corre un solo rischio: intrattiene, strappa risate, ma accondiscende alla necessità dello spettatore di rispecchiarsi in essa.

Il trentenne che cerca il suo posto nel mondo, la tecnica per concupire l’altro sesso, l’individualismo esasperato della società competitiva che se ne frega del plusvalore rappresentato dal talento. È la cifra di parte della serialità italiana, ma anche della letteratura: fare satira col filtro della contingenza sociale, in un’era in cui gli orizzonti progettuali sono tanti e diversi. I ragazzi del Terzo Segreto di Satira sono bravi, e che sono bravi lo si sapeva, appunto per questo, nella seconda stagione, potrebbero osare con carte nuove, saggiare territori argomentativi inesplorati, dimostrarsi non solo bravi e cattivi, ma bravi e cattivi e colpevoli di esserlo. Ché non vorremmo giammai scoprire che Tyler Durden alla fine ti racconta cose che ti ha già raccontato bene Fabio Volo.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Massimiliano Loizzi e Francesco Mandelli)