Pubblicato il 05/11/2017, 16:01 | Scritto da La Redazione
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Lynch: Il cinema di oggi? Preferisco le fiction tv

Il regista ha ricevuto il premio alla carriera da Paolo Sorrentino e parlando di cinema e tv, ha spiegato come per gli autori ci sia più spazio nelle serie tv che nelle sale

 

 

Rassegna Stampa: Corriere della Sera, pagina 37, di Valerio Cappelli

 

Premiato da Sorrentino Lynch: «Il cinema di oggi? Preferisco le fiction tv»

Su Kafka

Ho ormai abbandonato il progetto di un film su Kafka, è meglio lasciarlo alle sue parole

 

David Lynch schiude la porta dell’inconscio e ci accompagna per mano nel suo cinema fitto di misteri, ossessioni, incubi. Paolo Sorrentino consegna il premio alla carriera al regista che con Twin Peaks ha dato il primo timbro d’autore alla serialità in tv e dice: «Sono onorato, ho la febbre ma sarei venuto anche in barella. Lei ci ha dimostrato che l’ignoto e l’inconoscibile sono dentro di noi». Il popolo di David Lynch è agguerrito e si mette in marcia dal mattino, gli chiede lumi sull’episodio otto della terza serie, sul suo mondo che mescola reale e surreale, infedele alle regole, nutrito dalla meditazione trascendentale. Si esprime in modo laconico, quasi sottovoce, dando corpo alle sue ombre. E’ considerato il maestro dell’inconscio: la fa sorridere? «Se si tratta dell’inconscio non posso rispondere». Non gira un film da 11 anni e non ha progetti se non uno su Kafka, «ma è meglio lasciarlo alle sue parole», non si riconosce in quello che si fa negli Studios: «Il cinema si basa sui soldi, oggi si fanno film d’azione e gli autori faticano. Io non vedo storie di supereroi. Preferisco serie tv come Mad Men e Breaking Bad. Creare per il cinema e la tv è la stessa cosa». E a proposito di Hollywood ha un guizzo formidabile quando gli chiedono se teme di essere coinvolto negai scandali sessuali: «Stay tuned, restate sintonizzati». I suoi miti: Kafka, Jacques Tati, Kubrick, Billy Wilder, Herzog («adoro chi è preda di ossessioni») e Fellini («lo incontrai in ospedale due settimane prima che morisse, era sconsolato, diceva che i giovani guardavano la tv e lo ignoravano». Lei a Cannes apostrofò Nanni Moretti (eravate entrambi in attesa di un premio) così: «Un giorno ti ammazzerò». Sorride: «E’ vero, volevo ucciderlo da subito, chissà perché provai quell’impulso». Anatomia di un genio allo specchio che a 71 anni si racconta mandando in frantumi il vetro. Viene dalla pittura, ama Bacon e la sua distorsione delle figure umane. Si è inventato il neologismo lynchiano: «I medici mi proibiscono di pensare a queste cose. Mi sono sempre divertito, con l’eccezione di Dune». La sua carriera è un’altalena di successi e insuccessi. Non ha rimpianti. Il gioco si fa duro, l’asticella sale quando parla di come la fisica quantistica nutra il suo inquieto immaginario: «Spazio e tempo sono categorie che non esistono, nascono dal campo unificato, alla base della relatività, che crea tutto ciò che esiste». La creatività si nutre di meditazione o di sofferenza? «E’ una romantica idea francese quella dell’artista che deve essere sofferente. Un artista deve capire il dolore, non viverlo. In molti temono che se si trovano in uno stato di calma perdono tensione. Io dico che accade il contrario. La meditazione mette in ordine le idee, in un mondo schiacciato dalla negatività, dalla depressione, dallo stress. Dovremmo essere felici e pieni di energia». Maestro, ma il cinema in due parole cos’è? «Crea un mondo in cui possiamo entrare e avere un’esperienza».

 

(Nella foto, David Lynch)