Pubblicato il 30/10/2017, 19:31 | Scritto da Tiziana Leone

Alla presentazione della serie tv Camorriste finisce male

Alla presentazione della serie tv Camorriste finisce male
L'incontro con gli studenti era nato per mostrare la serie in onda il 17 novembre su Crime + Investigation e per raccontare non solo la vita delle giornaliste costrette a vivere sotto scorta per i loro articoli sulla mafia, ma anche quella delle ex donne di camorra. E' andata diversamente.

All’incontro alla Festa del Cinema di Roma della seconda serie di Camorriste erano presenti un’ex signora di camorra e cinque giornaliste costrette a vivere sotto scorta

Gli studenti in sala, l’ex donna di camorra seduta nel parterre, cinque giornaliste costrette a vivere sotto scorta per i loro articoli scomodi, l’attenta moderatrice, il regista, i convenevoli, i saluti, i ringraziamenti. La proiezione di Camorriste, la serie che torna con la seconda stagione dal prossimo 17 novembre alle 22.55 su Crime+Investigation, sembra una delle tante organizzate nell’ambito della Festa del Cinema di Roma, una delle solite in cui il bene vince sul male, la realtà supera la fantasia, la donna è sottomessa, l’uomo il carnefice e tutto l’armamentario di luoghi comuni.

Sembra. Perché quando Paolo Colangeli, il regista della serie, sei puntate dedicate ad altrettante ex camorriste che hanno accettato di raccontarsi davanti alle telecamere, se ne esce con una frase equivoca, tutte le buone premesse, puf, evaporano in un secondo. «Questo non è un mondo diviso a metà, da una parte i cattivi e dall’altra i buoni, ma è pieno di sfumature». Le cinque giornaliste si passano il microfono, loro che da anni raccontano i cattivi e per questo sono costrette a vivere come i latitanti che loro stesse denunciano, non accettano queste sfumature di grigio di cui parla il regista. «Nel mio lavoro io vado avanti decidendo qual è il buono e quale il cattivo», attacca Marilù Mastrogiovanni, minacciata persino dal sindaco del suo comune calabrese.

«Nella vita c’è il bianco o il nero, lasciamo a squallidi racconti erotici, le sfumature di grigio», aggiunge la campana Marilena Natale. Una sola frase. E già il clima è incandescente. Ma è quando prende la parola Cristina Pinto, una “dissociata” di camorra, che ha scontato in carcere vent’anni di pena, senza essersi pentita, e oggi fa “la pescatora” che la situazione precipita. «Io non sono pentita, mi sono dissociata e dopo anni di carcere mi sono reinserita». La moderatrice azzarda una domanda: «Non si è pentita del suo percorso?». «Il senno di poi io non lo faccio, quello che ho fatto è stato fatto, è inutile tornare indietro, io ricomincio daccapo – attacca la donna -. Non credo nemmeno nei collaboratori, sono una madre e vivo sotto scorta, ho pagato il mio debito con la giustizia».

Altro che donna Imma. Qua si tocca con mano la convinzione di una donna, nata e cresciuta in una società di camorra, dove la parola pentimento non si pronuncia mai. Nemmeno di fronte ai ragazzi, invitati apposta e già istruiti su tutto il sistema camorristico, visto che da mesi i produttori della serie e il regista girano per le scuole a spiegare e raccontare con testimonianze dirette cosa significa essere affiliate di un clan. «Io vorrei capire come è arrivata a questa collaborazione», insistono le giornaliste. «Io non ho collaborato», risponde la Pinto. Le giornaliste non ci stanno a star lì accanto a una donna che non si è mai pentita, una che anzi ha contribuito a rendere la loro vita un inferno, così una dopo l’altra si alzano e se ne vanno. La Pinto alza lo sguardo. «Non mi fate neanche parlare». Magari avrebbe dovuto farlo anni prima.

«Qui non si prendono posizioni – cerca di smorzare i toni la mediatrice –. Siamo qui per parlare a una platea di ragazzi». «Lo dica ai ragazzi se si è pentita, lo faccia per loro», chiede la Mastrogiovanni rivolta alla ex camorrista. «Io ho sbagliato, ho pagato e sto pagando, ma la coscienza è personale. A che serve dirlo? Io ho dimostrato di aver pagato, io faccio la pescatora, vado a mare alle otto e mezza di sera e torno la mattina alle cinque. Io sono venuta qui per i ragazzi e mi dispiace che le signore se ne siano andate». È la parola “pentita” che la Pinto non può proprio pronunciare. Semplicemente non le esce. Non la sa dire. «Il pentimento non lo concepisco, è un fatto e lo devi sapere solo tu, non sto qua a dirlo a voi, ma credo che si veda o no? Per me il collaboratore è un fallo, un errore. Chi sbaglia paga. Come posso pensare in modo diverso io che sono stata accusata da cinque pentiti?».

La piega del dibattito è ormai evidente. È scivolato via così, più realista del re, di fronte a una platea di giovani forse rimasti un po’ confusi, divisi, incerti se tifare comunque per Gomorra o applaudire la realtà che non è poi così lontana dalla finzione. «Noi siamo dalla parte di chi combatte la criminalità e siamo molto scrupolosi nel raccontare i fatti, sappiamo bene quel che facciamo», conclude Sherin Salvetti, responsabile di A+E Networks, di cui Crime+Investigation fa parte.I cattivi come i buoni in tv si riconoscono facilmente. È nella realtà a quanto pare che la questione si fa più complessa.

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto una scena di Camorriste)