Pubblicato il 20/10/2017, 19:30 | Scritto da Gabriele Gambini

Natalio Simionato: Frigo su Rai 2, la cucina e l’incontro con Papa Francesco

Natalio Simionato: Frigo su Rai 2, la cucina e l’incontro con Papa Francesco
Lo trovate al sabato mattina, su Rai2, nel programma "Frigo". In Francia è diventato popolare grazie alla sua attività di chef a domicilio. Ha una storia incredibile alle spalle e la racconta a TvZoom.

Natalio Simionato: “In famiglia eravamo dieci figli, ho imparato a cucinare aiutando la mamma. In tv non amo gli chef scurrili, preferisco trasmettere serenità coi miei piatti”

A volte, la deriva revanscista delle manifestazioni del caso conduce verso strade imperscrutabili. C’è chi la chiama Provvidenza, se si associa la vita a significati trascendenti. Di sicuro, a proposito dello chef Natalio Simionato – new entry alla conduzione del contenitore di entertainment gastronomico Frigo con il già rodato Nicola “Tinto” Prudente, ogni sabato alle 10.30 su Rai 2 – il “caso” e la supposta trascendenza, un qualche ruolo l’hanno esercitato.

La sua vita sembra uscita da un romanzo di formazione: nasce in Argentina da padre veneto e madre spagnola, cresce in un ambiente tradizionale, molto cattolico. In casa, i figli, con relative bocche da sfamare, sono dieci. Aiuta nel ristorante di famiglia innamorandosi dei fornelli, ma il padre lo vuole avvocato, e lui si iscrive a Giurisprudenza, pur coltivando il seme della ribellione post-adolescenziale che lo porterà a scontrarsi col genitore fino a una riconciliazione fuori tempo massimo: «Me n’ero andato di casa, quando seppi che mio papà era morto in un incidente stradale. Ironia della sorte, pochi giorni prima della tragedia, mi aveva scritto una lettera, esortandomi a farmi strada nella vita. Così, dopo il diploma all’Istituto Argentino di Gastronomia, sono partito per l’Europa, alla ricerca delle mie origini». Il resto è storia di oggi.

Oggi lei è titolare di chefaparis.com, un’attività di chef a domicilio molto florida a Parigi. Si dice cucini per personalità importanti della cultura, della politica, della società.

Fare lo chef a domicilio mi consente di esprimere in totale libertà la mia visione della cucina, instaurando un rapporto delicato e confidenziale con i clienti. Loro mi contattano, descrivendo nei dettagli il tipo di serata che si aspettano. Assieme ai miei assistenti, predispongo gli ingredienti e cerco di far gustare loro una cena indimenticabile. Ma emergere in Francia non è stato facile.

Quali sono stati gli ostacoli più evidenti?

La tradizionale diffidenza francese verso un sudamericano di origini italiane. E poi la classica gavetta, molto formativa, fatta nei ristoranti. Ci sono stati episodi divertenti che mi hanno aiutato.

Per esempio?

Un giorno mi hanno contattato per sostituire a domicilio un grande chef parigino. La cliente era convinta di parlare proprio con quel grande chef, non con me. Su consiglio di una mia amica, Julienne, che ha finto di farmi da assistente, ho retto il gioco. Mi sono trovato a preparare un menù francese fatto di dieci portate complicatissime nella casa dei proprietari della catena Carrefour. Ero emozionatissimo, temevo di combinare un disastro. Alla fine tutto è andato alla grande, loro sono diventati miei clienti e io ho cominciato a credere che avrei potuto combinare qualcosa di davvero soddisfacente.

Come identificherebbe la sua cucina?

Qualità italiana, raffinatezza francese, cuore sudamericano. Da sempre cerco di unire questi elementi al meglio delle mie possibilità.

La qualità italiana deriva dalle sue origini, la raffinatezza francese dalla sua esperienza in Francia. La sua avventura però inizia in Argentina.

In famiglia eravamo in 12. I miei genitori e dieci figli. Educazione cattolica, attenta alle tradizioni. Avevamo un ristorante chiamato Il Veneto, in tributo alle origini di mio padre. Andavo a fare la spesa con la mamma e spesso la osservavo cucinare. Sentivo profumi, odori, imparavo dai suoi movimenti. Germogliava in me la coscienza di ciò che avrei voluto fare nella vita.

Ma suo padre la voleva avvocato.

C’era da capirlo. Desiderava per me una carriera sicura, un prestigio sociale subito riconoscibile. Io, fin da piccolo, in famiglia ero considerato una pecora nera. Cercavo di sottrarmi alle regole tradizionali, l’ambiente chiuso e rigido di casa mi andava stretto.

La classica ribellione dell’adolescente.

Sa che le dico, col senno di poi? Se non ci fossero state quelle regole, se non avessi avvertito una certa incombenza dell’educazione, non avrei coltivato il desiderio di osare. Non sarei quello che sono oggi.

Ma l’educazione ricevuta, la rinnega o la caldeggia?

Conservo con grande orgoglio le buone maniere imparate, l’approccio formale con cui sono stato educato. Mi piace definirmi galantuomo in stile anni ’40, con princìpi sani. Mi sono liberato però della tendenza al senso di colpa tipica di un certo tradizionalismo.

Torniamo a suo padre.

A vent’anni sono scappato di casa. Per tre mesi. Fino a quando ho saputo del suo incidente stradale e della sua morte tragica. Sono rientrato subito. E ho scoperto che, pochi giorni prima, mi aveva scritto una lettera bellissima, in cui mi spiegava che me per sognava un grande avvenire.

Così ha iniziato a viaggiare.

Dopo il diploma all’ Istituto Argentino di Gastronomia, un’eccellenza del mio Paese, ho deciso di andare in Veneto, in provincia di Verona, alla ricerca delle mie origini. Di secondo nome faccio Joaquin, come mio nonno, agricoltore veronese che ha combattuto nella Seconda Guerra Mondiale.

Non solo viaggi in Italia, però.

Messico, Spagna, Cina, tanto per citarne alcuni. In ogni viaggio, lavoravo per mantenermi e nel contempo imparavo qualcosa sulle tradizioni gastronomiche di quei luoghi.

È vero che, durante un’udienza in Vaticano, Papa Francesco si è ricordato di lei quando era piccolo? O è una leggenda metropolitana?

È vero (ride, ndr). Questo perché, in Argentina, ho un fratello sacerdote e una sorella suora. È stato molto emozionante. Vorrei ricominciare a cucinare anche per i senza tetto, come mi è capitato di fare al mio Paese.

Che cosa ha imparato dai suoi viaggi?

Che la cucina è come l’amore. O le dai tutto te stesso, abbandonandoti completamente a essa, o è meglio lasciar perdere. E poi, che le buone maniere vincono sulle sfuriate. Vorrei essere ricordato come uno chef che trasmette serenità, non amo i programmi tv in cui i cuochi urlano e insultano i concorrenti.

A Frigo, su Rai2, lei è una new entry.

Interagisco con l’ospite vip della puntata. In studio, mi viene proposto un piatto della memoria e io cerco di rielaborarlo aggiungendo dei dettagli che possano renderlo originale e indimenticabile. Nella puntata di domani, per esempio, ci sarà Lillo, di Lillo&Greg, insieme vi mostreremo la “Spadellata alla Lillo”, un metodo nuovo e divertente di utilizzare la padella.

Se le proponessero di fare il giudice in un talent show?

Accetterei, perché no. Senza rinunciare alle mie prerogative: serenità, approccio costruttivo e laborioso verso i fornelli. Niente urla o insulti.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto di Roberto Chiovitti Natalio Simionato)