Le Tv contro il Governo: troppi cavilli e sanzioni alte
La protesta delle tv: aumenti eccessivi e sanzioni sproporzionate
Rassegna stampa: Il Sole 24 Ore, di Andrea Biondi.
I maggiori oneri, ma anche l’ingessamento che le nuove norme secondo i broadcaster produrranno nell’attività. Le emittenti tv si sono schierate, e in maniera plateale, contro il decreto legislativo di modifica delle quote di investimento obbligatorio dei broadcaster in opere europee di produttori indipendenti. Quello che in questi giorni è stato citato come decreto quote tv e contro il quale anche acerrimi nemici in un mercato concorrenziale come quello delle tv hanno dato vita a una santa alleanza per protestare contro un provvedimento, giudicato iniquo e discriminatorio.
Soprattutto su quest’ultimo punto, quello della “discriminazione” il termine di paragone è con gli Ott, ai quali alcune delle prescrizioni previste dal decreto non dovrebbero essere applicate.
Nella loro lettera al ministro Franceschini le tv hanno esposto la loro protesta molto schematicamente:
(I) «Determina una grave limitazione dell’autonomia editoriale e della libertà imprenditoriale delle aziende radiotelevisive (anche private)». In questo caso si protesta contro il fatto che viene mantenuta una specifica quota di programmazione per il prime time (18-23).
(II) «Aumenta in maniera esponenziale le quote di investimento e di programmazione, anche con improponibili e ingestibili privilegi in favore di una categoria dei produttori indipendenti di cinema italiano rispetto ad altri, con possibili violazione anche del diritto europeo». Sul versante quote, la versione entrata in Consiglio dei ministri prevedeva per l’a Rai l’innalzamento – della quota di introiti netti da riservare a produzioni indipendenti – dal 15% al 18% nel 2019 arrivando a un 20% nel 2020. Per le emittenti commerciali, ferma restando la moratoria per il 2018 che tiene ferme le quote, gli investimenti chiesti salgono dal 10% al 12,5% degli introiti netti annui nel 2019, per arrivare al 15% nel 2020. Le critiche delle tv sono però anche rivolte al ripristino delle sottoquote esistenti per il cinema italiano ripristinata la sottoquota in favore delle opere cinematografiche italiane (3,5% per salire al 4% nel 2019 e al 4,5% degli introiti netti nel 2020) che i broadcaster considerano un elemento discriminatorio rispetto a tutti gli altri generi televisivi, con aumento ritenuto sproporzionato rispetto alle attuali esigenze del mercato.
(III) «Prevede una forte asimmetria a favore di operatori stranieri, come dimostra ad esempio l’introduzione della nuova quota relativa al prime time (non applicabile a competitor quali Netflix)».
(IV) «Elimina la previsione di una flessibilità triennale (espressamente auspicata dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – Allegato A alla Delibera n. 582/15/CONS) e prevista nel sistema francese».
(V) «Viene introdotto un sistema sanzionatorio abnorme, palesemente incostituzionale che prevede di innalzare la sanzione al 3% del fatturato. Il tutto in assenza di ogni contraddittorio o gradualità come previsto nel sistema francese». Con questa versione del decreto vengono quantificate in una forbice da 100mila euro a 5 milioni (e fino al 3% del fatturato per le aziende televisive che fatturino oltre 5 milioni). Oggi la sanzione era di 258mila eure. Molto di meno rispetto ai 50/60 milioni cui si potrebbe arrivare. Peraltro, hanno rimarcato le tv, le violazioni previste dal Tusmar per le norme a tutela dei minori sono di 350mila euro. Molto di meno.
(Nella foto Dario Franceschini)