Pubblicato il 24/09/2017, 14:01 | Scritto da La Redazione

Donna Gomorra, intervista a Francesca Comencini

Donna Gomorra, intervista a Francesca Comencini
La regista racconta la terza stagione della serie che andrà in onda su Sky Atlantic dal 17 novembre. Un lungo colloquio su L'Espresso.

Patrizia e Scianèl crescono e la camorra contagia il cantro di Napoli

 

 

Rassegna Stampa: L’Espresso, pagina 109, di Emanuele Coen

 

Donna Gomorra

colloquio con Francesca Comencini

Patrizia e Scianèl crescono

E la camorra contagia il cantro di Napoli

La regista racconta la terza stagione

 

«O sang nun s’sceglie,’e cumpagn sì», dice Patrizia all’uscita del carcere, dove è andata a prendere Scianèl. Si intravede l’alleanza tra le due donne forti di “Gomorra” nel teaser della terza stagione, in onda su Sky Atlantic dal 17 novembre. Un evento planetario, visto che sarà distribuita in 200 Paesi la serie tv nata da un’idea di Roberto Saviano e prodotta da Sky Atlantic, Cattleya e Fandango. Mentre cresce l’attesa e si fanno strada nuovi personaggi, le ipotesi sugli scenari possibili si moltiplicano, ora che la morte di Pietro Savastano – interpretato da Fortunato Cerlino – costringe a ridisegnare la geografia del mondo criminale, prima che la prossima mattanza rimescoli le carte. Adesso che l’attenzione si concentra sulle due figure femminili la parola passa a Francesca Comencini, la regista che ha diretto sei dei dodici episodi della terza stagione (l’altro regista è Claudio Cupellini) e ha plasmato le donne di “Gomorra” a partire dalla “sua” Imma (Maria Pia Calzone), uccisa nella prima stagione. «La sua esperienza ha lasciato una traccia importante, è stata una pioniera e ha aperto la strada ad altri personaggi femminili», dice Comencini in un ristorante nel quartiere Prati, a Roma, in una pausa durante il montaggio. Sguardo aperto e sorridente, jeans blu e t-shirt grigio antracite, la regista si entusiasma quando parla di Patrizia (Cristiana Dell’Anna) e Scianèl (Cristina Donadio). «Due protagoniste che amo profondamente, due attrici molto forti che nella terza stagione crescono ancora: Scianèl ha perso il figlio, Patrizia il compagno, sono le ultime donne rimaste in un mondo di uomini. Hanno un rapporto ambiguo e molto potente», riflette Comencini in questa chiacchierata in esclusiva con L’Espresso. II regista Stefano Sollima fin dall’inizio aveva dato a “Gomorra” un’impronta inconfondibile. Le atmosfere cupe, l’ineluttabilità del male, II realismo estremo. La terza stagione, Invece, è stata girata solo da lel e da Cupellini, perché Sollima è impegnato In altri progetti. È un’eredità difficile? «Stefano mi manca, è un amico. Ha dato a “Gomorra” alcuni codici stilistici che poi abbiamo fatto nostri, è stato un direttore artistico che definirei maieutico per la sua capacità di vedere il talento degli altri e farlo esprimere al meglio. Già nella prima stagione aveva avuto l’intuizione di cambiare il punto di vista e affidare a me la regia delle due puntate in cui emergeva donna Imma». Non crede che sia morta troppo presto? «La risposta può apparire scontata: Imma è il mio personaggio. Sullo schermo non si era mai vista una donna così crudele, spietata, cattiva e al tempo stesso estremamente femminile. È straordinaria, ha segnato una svolta nella storia. Del resto il protagonismo femminile è uno degli elementi all’avanguardia in “Gomorra”, sia davanti sia dietro la macchina da presa». Si riferisce al suo stile di regia? «In venticinque anni di esperienza ho imparato a fare questo mestiere in modo diverso dagli uomini: sul set non grido mai, non comando. Non dico che i maschi lo fanno sempre, ma una cosa è certa: è raro vedere una donna alla regia di una serie tv. Ho letto che nel mondo, su quattromila puntate, solo 183 sono girate da registe. Alla base c’è un pregiudizio: che le donne siano in grado di raccontare solo figure femminili. E invece hanno un punto di vista sul potere, sulla violenza, sui personaggi maschili. Conoscono bene i meccanismi della violenza e della brutalità perché li subiscono da millenni». A proposito dl uomini, nella terza stagione oltre a Ciro Di Marzio e Genny Savastano emergono due nuovi personaggi: Valerlo (Loris De Luna) e Enzo (Arturo Muselli). II primo è un giovane della Napoli bene; l’altro guida la nuova fazione, I “talebani”. Che ruolo hanno? «Come spesso accade in “Gomorra”, si scelgono attori alle prime armi. Il nostro compito è accompagnarli, spronarli, scuoterli e condurli a un grado di recitazione molto alto. Anche se sono orribili, questi personaggi sono esseri umani che vengono raccontati e non giudicati: provano sentimenti, hanno una psicologia complessa, un groviglio di emozioni. I personaggi della terza stagione sono più emotivi, vivono in un meccanismo infernale, che lo comandino o lo subiscano, in un sistema che li soverchia. Dal punto di vista psicologico è molto intrigante: il cinema è fatto di sguardi, di emozioni, di questo rumore silenzioso che bisogna creare dietro alle immagini». Dobbiamo aspettarci più psicologia e meno scene di azione, dunque. «Niente affatto. Non nasco come regista di azione, ma ho imparato con grande passione. Quando giriamo “Gomorra” ogni giorno è un exploit: una, due, tre location, dieci personaggi. Vai a dormire pensando di aver fatto tanto, il giorno dopo devi fare il doppio. Tutto questo per mesi. Le scene action, poi, sono molto complicate. Ricordo un inseguimento all’americana nella seconda stagione: Ciro cerca di raggiungere Patrizia a ogni costo, finché lei si butta con l’auto in contromano. Sono una secchiona: per simulare la scena avevo comprato tante macchinine giocattolo. Prima delle riprese, io e l’aiuto-regista stavamo facendo le prove quando qualcuno entrò in piena notte nel nostro ufficio dicendo: “Ma lo sapete che siete matti?”». Come mostrano le inchieste della magistratura, la camorra non è più confinata alle piazze di spaccio ma entra nell’economia, nel mondo del colletti bianchi e della politica. Come si sviluppa questo contagio in “Gomorra 3”? «Il contagio, già presente nella prima stagione, nella terza si allarga e cambia forma. Ad esempio, Valerio è un giovane della Napoli bene affascinato dal male. La periferia contagia il centro: è un fenomeno attuale, interessante e piuttosto misterioso, insondabile. Non sono una sociologa, ma cerco di spiegarlo così: è come se le nostre grandi città, le nostre democrazie piene di valori positivi nei quali credo profondamente, portassero dentro di sé sacche gigantesche come la criminalità organizzata, che divorano il resto». In “Gomorra 3” avete girato gran parte delle puntate nel centro storico di Napoli: Decumani, quartiere Forcella, rione Sanità. Non solo le vele di Scampia e i palazzoni-alveare di Secondigliano. «Per la prima volta il cuore antico di Napoli entra con prepotenza nel racconto visivo di “Gomorra’: Gli scontri, le faide, si sono spostate dalla periferia al centro». Come al solito “Gomorra” mostra una realtà a senso unico, dominata dal male e da personaggi abietti. Un mondo senza via di scampo che secondo alcuni danneggia l’immagine della città. «Il danno per Napoli non è narrare la realtà, ma rimuoverla, far finta di nulla. Credo profondamente che raccontare sia molto importante. Senza giudicare. È un atto politico, in un certo senso. Non possono esistere né la bellezza né il bene senza la narrazione della verità e del male. Lo penso in generale: rispetto all’Italia, a Roma come a Napoli. Per questo in “Gomorra” non giriamo mai una scena in interni che non sia realmente nel luogo in cui si girano gli esterni. Dalla finestra devi vedere la realtà, non bariamo mai. È un impegno da parte della produzione, di tutti noi. Un atto di rigore cinematografico. Detto questo, mi sembra che Napoli negli ultimi tempi sia molto migliorata, piena di turisti, più pulita. Ma questo non è in contraddizione con i fatti di cronaca. È tutto mescolato, non ci sono i cattivi da una parte e i buoni dall’altra». La serie tv viene accusata di creare modelli negativi, di esaltare i boss della criminalità organizzata. Con II rischio emulazione da parte dei giovani. «Non condivido questa critica, la trovo superficiale. “Gomorra” non giudica ma mostra l’inferno in cui le persone vivono. Lo racconta da dentro, è questa la sua straordinaria operazione. Abbiamo fatto un prodotto bellissimo su un fenomeno orribile: nessuno ha voglia di assomigliare ai personaggi di “Gomorra”, sono dei mostri dipinti come tali. Magari a Napoli il problema fosse “Gomorra – La serie”, in realtà sono le famiglie e i quartieri in cui la criminalità è radicata da generazioni».

 

(Nella foto, Francesca Comencini)