Pubblicato il 21/09/2017, 17:34 | Scritto da Tiziana Leone
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Lino Banfi: Ecco come Totò mi cambiò il cognome

Lino Banfi: Ecco come Totò mi cambiò il cognome
Lino Banfi racconta come andò quando si presentò al cospetto di Totò, Maurizio Costanzo gli imbecilli che in vita lo criticarono, i fratelli Vanzina le battute vissute in anticipo per via del padre Steno. Il documentario racconta la vita del Principe De Curtis senza inutili fronzoli.

In onda sabato alle 18 su Rai 3 il documentario Totò 50 svela particolari inediti sulla vita del Principe della risata

Di tributi a Totò la televisione è piena. Gronda di ricordi e immagini, spezzoni di film e racconti personali, tutti per celebrare i 50 anni dalla scomparsa del principe della risata. Ma in Totò 50, il documentario realizzato da Pesci Combattenti, in onda sabato alle 18 su Rai 3, si respira aria di casa, c’è il Totò della gente di Napoli , non osannato, ma raccontato da chi l’ha conosciuto, frequentato, ospitato a casa. Senza fronzoli, uno dietro l’altro Lino Banfi, Isa Barzizza, Maurizio Costanzo, Gigi D’Alessio, Flavio Insinna, Teresa Mannino, Rita Pavone, Teddy Reno, Vincenzo Salemme, Carlo ed Enrico Vanzina raccontano il proprio Totò.

Salemme: «Totò sembra un nome che non dice niente, come dire bubù e invece era Totò. Ha riempito un nome di giocattolo con cultura, applausi e risate. Era amato dalla gente, prendeva in giro chi si prendeva sul serio, non i potenti, ma i presuntuosi». Lino Banfi: «Ricordo un giorno quando un impresario mi mandò a casa di Totò ai Parioli a Roma. Arrivai fradicio di pioggia Totò mi accolse elegante, con una vestaglia bordeaux, e mi disse: “Mi dicono che sei bravo. Come ti chiami?” Risposi Lino Zaga, il diminutivo di Zagaria. E lui: “Cambialo, i diminutivi dei cognomi portano male”. Nella mia prima compagnia teatrale c’era anche un maestro elementare, doveva preparare il manifesto, così gli dissi di non mettere Lino Zaga, ma di usare un cognome a caso, quello che gli pareva. Aprì il registro dei suoi alunni e il primo nome che capitò fu Aurelio Banfi, che ho cercato per anni. Se è merito del grande Totò non lo so, però mi ha aiutato a meritare questo cognome».

Isa Barzizza: «Venivamo dalla guerra e portare in teatro una rivista teatrale significava vita, gioventù, luce, paillettes, piume. Il gran finale di Totò era particolarmente divertente. Quando entrava in scena sembrava un cataclisma». Maurizio Costanzo: «Era molto malinconico come tutti i comici, per colpa delle luci del teatro cominciò ad avere un problema alla vista sempre più serio fino ad arrivare alla cecità: credo di averlo incontrato una volta sola quando ormai non vedeva più, con lui giocavo a dirgli le scene dei suoi film. Una volta lo chiamai mentre girava Uccellacci e uccellini, gli chiesi come si trovava e lui mi rispose: “Siamo come i tassisti, andiamo dove il cliente vuole”, senza rendersi conto che aveva fatto un capolavoro. Purtroppo molti critici imbecilli lo strapazzavano, credo abbia sofferto per questo, ma Totò resta Totò, quelli saranno stramorti, ma non li ricordano nemmeno i familiari».

I Vanzina: «Nostro padre ha fatto quindici film con Totò, abbiamo avuto il privilegio di sentire le sue battute in anteprima. Era scisso, nella vita era il principe De Curtis e nello schermo Totò. Era molto serio, abbiamo un ricordo preciso di casa sua, molto tradizionale, sembrava uscita da un film degli anni ’40. Vedeva poco, un giorno mi toccò la testa perché mi cercava, ero bambino, ed ebbi la sensazione di un uomo che non voleva rompermi».

Nei vicoli del suo rione la sanità Totò non è mai morto «è un dio, è ancora vivo», uomo generoso che in vita ha saputo dare agli altri in silenzio, senza clamore. «Un uomo che ha saputo amare – dice Gigi D’Alessio – Perché un testo come quello di Malafemmena può scriverlo solo chi ha sofferto tantissimo per una donna».

 

Tiziana Leone

 

(Nella foto la locandina di Totò Story)