Pubblicato il 08/09/2017, 18:33 | Scritto da Gabriele Gambini

Gianluigi Nuzzi: Quarto Grado non è solo un programma, ma un metodo di lavoro

Gianluigi Nuzzi: Quarto Grado non è solo un programma, ma un metodo di lavoro
Il giornalista ritorna con Alessandra Viero ogni venerdì in prima serata su Rete4 con l'approfondimento sui casi più rappresentativi di cronaca nera italiani e spiega che cosa dobbiamo aspettarci da questa stagione.

Gianluigi Nuzzi: “Tengo a mente la lezione di Enzo Tortora e del suo Giallo: mettersi al servizio dei fatti narrati ed esserne un tramite col pubblico, senza protagonismi”

La nera raccontata partendo da dati fattuali capaci anche di modificare l’iter delle inchieste giudiziarie in corso, con un’interazione costante con gli spettatori. Quarto Grado, giunto alla nona edizione (da venerdì 8 settembre in prima serata su Rete 4) prosegue nel solco di una tradizione d’approfondimento sui fatti di cronaca, diventata nel tempo identitaria per la linea editoriale del canale. A cura di Siria Magri, condotto da Gianluigi Nuzzi e Alessandra Viero, il contenitore riparte analizzando cold case, procedimenti giudiziari discussi dall’opinione pubblica, casi irrisolti, sviscerando le inchieste sul doppio binario della ricostruzione e del dibattito in studio, con ospiti fissi come l’ex comandante dei RIS Luciano Garofano, lo psichiatra Alessandro Meluzzi, il criminologo Massimo Picozzi, i giornalisti Carmelo Abbate, Grazia Longo e Sabrina Scampini. Proseguendo con la campagna, ben ripagata dall’attenzione dei social, contro la violenza alle donne.

Nuzzi, ripartite da dove vi eravate interrotti. Che cosa vi ha reso più soddisfatti della scorsa stagione e su quali basi imposterete quella che sta per cominciare?

La soddisfazione è innanzitutto numerica: una media di 1.400.000 spettatori e una share del 7.1% in un contesto televisivo sempre più competitivo. Ciò consente di inserire pochi aggiustamenti, insistendo su una dorsale solida e ben riconoscibile dal pubblico. Significa ricostruzione dei fatti da un punto di vista scientifico, portando alla luce anche l’aspetto emotivo dei drammi narrati, ma senza sussulti di convenienza. Ci rende orgogliosi la consapevolezza di lavorare con una squadra ben preparata a gestire la contingenza. Penso alla tragedia del Bataclan, e alla capacità dimostrata da Quarto Grado di stravolgere l’iter dei contenuti in corso d’opera, per garantire una copertura completa su una vicenda che ha riguardato l’opinione pubblica tutta, e ha modificato la percezione dei cittadini sulla sicurezza.

La questione della sicurezza dei cittadini è spesso al centro di dibattiti che riguardano proprio la linea editoriale di Rete 4. C’è chi accusa la rete di distillare consapevolmente certe forme di allarmismo che soffiano sul fuoco delle discriminazioni.

Rispedisco le osservazioni al mittente. Innanzitutto è bene sottolineare come Rete 4 fornisca una copertura sull’approfondimento e sull’informazione che pochi altri canali generalisti riescono a garantire. Nel merito delle critiche, mi sento di rispondere che spesso nascono da soggetti sprovvisti della percezione reale sulle condizioni di vita di molti cittadini in certe zone d’Italia. Pontificare seduti su una sedia comoda è facile, altra cosa è, invece, dar voce a un disagio e cercare di comprenderne la portata, senza discriminazioni di sorta, ma con attenzione verso le fasce più fragili.

A Quarto Grado sta aumentando la portata del dibattito in studio, significa che il racconto della nera si sta incanalando verso il formato talk show?

Quarto Grado non è un talk show e non intende esserlo. Ma sono lieto di poter avere in studio ospiti come l’ex comandante dei RIS Luciano Garofano: pareri circostanziati di esperti ci consentono di focalizzare al meglio gli aspetti più tecnici dei fatti narrati, ma anche la psicologia delle persone coinvolte. Nell’ultima parte del programma, poi, daremo spazio alle grandi inchieste, analizzando dettagli che nella prima parte non sarebbero adatti, considerata la fascia oraria.

Lo spacchettamento dei programmi con la suddivisione argomentativa per fasce orarie è tipico oggi di molti contenitori. Basti pensare al diMartedì di Floris.

Considero Floris un professionista eccellente. Si sta confrontando con una certa crisi dei talk politici, è inevitabile per lui aggiungere un concorso di argomenti che possano tener desta l’attenzione di target magari distinti. Ma, ripeto, il nostro non è un talk politico. Le nostre scelte sono orientate verso una coerenza argomentativa che, attraverso i fatti di cronaca più rappresentativi, racconta un pezzo d’Italia.

Non lesinate sull’interazione diretta col vostro pubblico.

Ci arrivano ogni giorno centinaia di email e segnalazioni da parte degli spettatori, molte delle quali confluiscono nei nostri servizi fornendo spunti propositivi. Prestare attenzione al pubblico è fondamentale, è ciò che gli spettatori si attendono da noi.

Molte reti, soprattutto le native digitali, impostano un racconto sulla nera di chiaro stampo factual, con ricostruzioni documentaristiche rapide e incisive che ricordano i meccanismi narrativi delle serie tv. Si tratta di una direzione auspicabile?

Lo è per quanto riguarda programmi come Il terzo indizio, che ha una portata di coinvolgimento notevole proprio grazie a queste caratteristiche. Penso possa essere un terreno da esplorare e arare ancora a lungo.

Per impostare il suo lavoro, tiene a mente esempi del passato?

Ho un vivo ricordo di Enzo Tortora e del suo Giallo. Mostrava appieno le peculiarità del mestiere di cronista: mettersi completamente a disposizione dei fatti narrati, esserne un tramite con il pubblico, senza spazio per il protagonismo sterile.

In passato, le era capitato di osservare come Quarto Grado, in alcuni suoi aspetti, fosse stato preso a modello da programmi concorrenti.

Ogni settimana vado in edicola e acquisto la Settimana Enigmistica, non presto molta attenzione alle imitazioni. C’è una cosa però che mi sento di dire: stagione dopo stagione, Quarto Grado non è diventato solo un programma riconoscibile, ma un autentico metodo di lavoro, una sorta di regola benedettina, per dirla in termini ecclesiastici, da autore di libri inchiesta sul Vaticano. Il mio auspicio è poter affinare sempre di più questi aspetti e magari lavorare in futuro ad altri formati nel solco di quanto fatto fino a oggi.

A proposito di libri inchiesta…

Parlare di libri in itinere è sempre prematuro. Se ne parla nel momento in cui escono in libreria.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Gianluigi Nuzzi)