Pubblicato il 03/08/2017, 13:31 | Scritto da La Redazione

Dopo Mediaset anche Telecom: i grattacapi italiani di Bolloré

Istruttoria su Vivendi-Tim, si complica la campagna d’Italia di Bolloré

Rassegna stampa: Il Sole 24 Ore, di Antonella Olivieri.

La campagna d’Italia di Vivendi si complica. Il gruppo controllato e presieduto da Vincent Bolloré è riuscito nell’impresa di mettersi contro tutti (o quasi). Non solo sul fronte Mediaset, dove dopo essersi rimangiato il contratto già firmato su Premium ed essere salito alla soglia dell’Opa col blitz di dicembre, ha ottenuto il risultato di far chiudere a riccio il Biscione col suo azionista Fininvest, che nel frattempo si è blindato. Ma ora anche sul fronte Telecom dove, come primo socio, non aveva antagonisti nell’azionariato.

Consob, dopo aver spedito la Guardia di Finanza a sequestrare faldoni, non ha fermato le indagini anche dopo che Vivendi ha dichiarato volontariamente la direzione e il coordinamento sull’incumbent tricolore. L’Antitrust ha aperto un’istruttoria con l’ipotesi di abuso di posizione dominante in relazione ai bandi Infratel e ai piani di copertura delle aree a supposto fallimento di mercato. Agcom, con l’unanimità del consiglio, ha minacciato una multa fino a mezzo miliardo abbondante se Vivendi non rispetterà la delibera che le impone di sciogliere il triangolo con Telecom e Mediaset. E ora il Governo avvia un’istruttoria per valutare la sussistenza dell’obbligo di notifica del nuovo status di Telecom, franco-diretta e coordinata, alla luce anche della normativa in materia di golden power. L’uscita del manager dalla lingua tagliente, Flavio Cattaneo – come si è visto – non ha contribuito a migliorare granché il clima con le istituzioni.

Ora il dato di fatto è che Vivendi non ha notificato a Palazzo Chigi l’avvio dell’attività di direzione e coordinamento su Telecom/Tim, ritenendo che l’esercizio di prerogative di natura “gestionale” non modificasse la titolarità del controllo o della disponibilità degli attivi definiti strategici e tutelati dal golden power. Così almeno l’opinione dei legali di parte. Che però non considerano la proprietà transitiva secondo cui se A (Vivendi) controlla B (Tim) e B controlla C (la rete e anche Sparkle), allora A controlla C.

Alla dichiarazione di avvio dell’attività di direzione e controllo, di cui ha preso atto il consiglio del 27 luglio scorso, sono seguiti i fatti. In azienda è arrivato il chief convergence officer di Vivendi, l’israeliano Amos Genish che gode della piena fiducia di Bolloré e peraltro ha un’ottima reputazione manageriale. Una nomina che non è passata dal consiglio, visto che gli è stata assegnata la qualifica di chief operation officer. In Telecom si dice però che il suo ruolo sia in effetti ben più incisivo di quello di un “semplice” direttore operativo, come si traduce in italiano. Ma soprattutto l’accento è subito caduto sulla joint con Canal Plus – la pay-tv di Vivendi, in rosso per 400 milioni nel 2016 – che vedrebbe la partecipazione di Tim all’80%. In sostanza – e qui la proprietà transitiva si complica – Tim che non ha né competenze né produce contenuti si alleerebbe con la società del controllante che ha contenuti e competenze, per acquistare diritti tv e produrre o coprodurre contenuti. Di fatto dai 30-40 milioni che oggi Tim dedica a questa attività si arriverebbe facilmente a spenderne 200 o 300. Il che non è necessariamente un male, se la strategia si dimostrasse utile a far moltiplicare i ricavi. Altrimenti – è questa una delle preoccupazioni espresse dal presidente Pd Matteo Orfini nell’interpellanza che il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda non ha lasciato cadere – il rischio è che si distolgano fondi dagli investimenti nella rete, che il Governo ha a cuore, per dirottarli. La direzione e coordinamento implica- come risulta sia stato già illustrato – che Vivendi possa mettere a fattor comune i suoi fornitori per ottenere risparmi di gruppo.

Tutti discorsi che mai porterebbero alla “pena capitale” della nazionalizzazione, ma che forse suggeriscono l’opportunità di rafforzare i presidi, considerato che in diritto l’interesse pubblico non può in alcun caso essere subordinato alle convenienze private, per quanto legittime. Occupazione, investimenti, stato di salute dell’indotto sono tutte tematiche di interesse generale che non possono essere ignorate dalla politica.

Nel contesto potrebbe entrare in gioco il ruolo dell’Agcom, che come Autorità preposta al settore delle comunicazioni ha il potere di disporre “rimedi” conseguenti alle analisi di mercato. In corso ce ne è già una che si deve concludere entro l’anno prossimo, a valere fino al 2020. Ma nulla vieta che, se il tema si impone, l’Authority non possa aprire una nuova consultazione per verificare se basti il modello di separazione della rete di accesso, che Telecom sta rafforzando in OpenAccess, o se non sia opportuno invece spingersi oltre nei presidi per assicurare indipendenza e neutralità alla struttura portante delle telecomunicazioni nazionali. All’interno dell’Authority qualcuno ci sta ragionando.

(Nella foto Vincent Bolloré)