Pubblicato il 23/07/2017, 15:01 | Scritto da La Redazione

Internet succhia spettatori alla tv giorno per giorno

Internet succhia spettatori alla tv giorno per giorno
Qual è lo stato di salute della televisione? Rimane ancora, dopo più di cinquant’anni, il mezzo di comunicazione più diffuso, ma perde quote di mercato al punto da far supporre che il suo declino sia un processo, seppur lento, ineludibile. Così Francesco Devescovi su “Il Fatto Quotidiano”

Tv, dove sono finiti gli spettatori? Su Internet. E andrà sempre peggio

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, di Francesco Devescovi.

Quale è lo stato di salute della tv? Rimane ancora, dopo più di cinquant’anni, il mezzo di comunicazione più diffuso, ma perde quote di mercato al punto da far supporre che il suo declino sia un processo, seppur lento, ineludibile. I due principali indicatori, il numero degli ascoltatori e le risorse, confermano questo trend.

Nei primi sei mesi dell’anno, la televisione ha perso, rispetto all’anno precedente, circa 981mila ascoltatori in prima serata (-4%). Una perdita maggiore è registrata nella fascia più giovane, gli individui compresi fra 25-54 anni scendono di -6%. Una perdita consistente, che solo in parte si giustifica con la presenza lo scorso anno dei Campionati Europei di calcio. La densità degli ascoltatori medi giornalieri, sempre nel prime time, in rapporto alla popolazione (con più di 4 anni, come il campione Auditel) era pari al 45% nel 2010, è scesa al 42% nel 2016 e se si confermeranno i dati del primo semestre potrebbe scendere quest’anno sotto il 40%. Pur in questa situazione, l’Italia è il Paese europeo con il più alto consumo di televisione.

La “crisi” degli ascolti non deriva sicuramente dal numero delle emittenti, dove, anche in questo caso, deteniamo il primato in Europa. In Italia vi sono 361 canali nazionali, mentre quelli gratuiti sono 96 (più un numero indefinito di canali presenti sul web). L’abbondanza dell’offerta potrebbe contribuire forse alla fuga dei telespettatori, poiché la qualità media scema, abbassandosi l’entità degli investimenti sui singoli programmi.

La Tv rimane comunque ancora il mezzo più diffuso: sono 24,6 milioni le persone che guardano in media ogni sera la Tv (anno 2016), mentre sono 45,6 milioni gli spettatori di almeno un minuto nel giorno medio. Audiweb ci dice invece che nel giorno medio gli italiani online sono circa 23 milioni. Questo il motivo della “crisi” della Tv, la concorrenza di Internet!

La Tv avrà sempre il predominio sui grandi eventi, sulle persone più anziane e nelle fasce serali, il web, che ha il vantaggio di essere anche uno strumento di lavoro, ha un consumo spalmato sull’intera giornata ed è diffuso su tutte le fasce, eccetto i più anziani. Spesso sono in concorrenza e in altri casi sono complementari; ma il giorno in cui il web si rafforzerà, grazie alla diffusione capillare della banda larga e a un sistema di rilevazione delle audience più preciso e utile per la pianificazione pubblicitaria, subentrerà alla Tv come mezzo egemone del sistema delle comunicazioni.

Vediamo i dati economici. Le risorse televisive sono diminuite dal 2010 di -7%, anche se nell’ultimo anno c’è stata una crescita di +7%. Interessante verificare l’andamento delle singole risorse. La pubblicità passa dal 50 al 41% di quota. Il suo valore è diminuito dal 2010 di -17%, ed è inferiore rispetto al 2000. Anche se c’è qualche segnale di ripresa, stimolato dai consumi, la Tv perderà il predominio che ha sempre avuto sulla pubblicità a vantaggio del web (vedi post precedente). La pay ha rallentato di molto la crescita, come conferma il calo della sua quota. L’unica risorsa in crescita è il canone: qualche interrogativo va posto sul fatto che sia lo Stato, il sistema dei partiti politici, uno dei principali “azionisti” della Tv.

Ultime considerazioni finali. Non tutti sono consapevoli che il periodo d’oro della Tv sia finito. Non è più il tempo delle spese folli, per esempio, per qualche conduttore, come accade in Rai, o per i diritti del calcio. Sostenere queste spese comporterà rischi di tagli del personale e di riduzione degli investimenti tecnici sulla produzione, senza avere la certezza di raggiungere i traguardi preventivati.