Pubblicato il 22/07/2017, 16:00 | Scritto da La Redazione

Tim: Flavio Cattaneo lascia. In arrivo Bernabè, Recchi e Genish

Le dimissioni di Flavio Cattaneo, gli scontri continui con Vivendi e l’ipotesi del triumvirato

Rassegna stampa: Corriere della sera, di Federico De Rosa.

Bernabè e Recchi garanti. Il ruolo di de Puyfontaine e le voci sul manager israeliano Genish. Il nodo del controllo della rete.

Lo scontro con il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda sulla banda larga potrebbe essere stato solo un pretesto, alla luce dell’accelerazione impressa all’uscita di Flavio Cattaneo da Tim. Il manager si era presentato da solo il 28 giugno in audizione alla Camera e aveva attaccato frontalmente il piano del governo per la banda larga, i bandi Infratel, il ruolo di OpenFiber. «Parole gravi e inaccettabili» aveva risposto a stretto giro il ministro, auspicando per il futuro l’utilizzo «nei rapporti con il governo, un linguaggio consono». Considerando che, da quando è diventata azionista del gruppo telefonico, Vivendi non ha mai trovato un particolare feeling con Palazzo Chigi, non c’era certo bisogno di alzare altra polvere.

Il socio francese Per quale ragione lo ha fatto? Già da diversi giorni circolavano sul mercato voci di un possibile addio di Cattaneo alla Tim – subito smentite dal diretto interessato –, e lo scontro con il governo aveva rafforzato questa sensazione, facendo emergere agli occhi di alcuni osservatori la volontà del manager di lasciare, forte di un contratto che in caso di licenziamento gli garantiva, al raggiungimento degli obiettivi previsti dal primo bilancio, di portarsi a casa il bonus per l’intero mandato, ovvero oltre 40 milioni di euro. L’accordo trovato ieri pomeriggio con Vivendi gli riconoscerebbe una buonuscita da circa 30 milioni. Con il senno di poi, c’erano già i presupposti per un mandato breve.

La banda larga Quando è scoppiato il caso della banda larga da diverse almeno due settimane tra Roma e Parigi era in corso un ragionamento sul futuro del gruppo telefonico. Qualcuno dice che, più che un ragionamento, era iniziata una trattativa per trovare una soluzione che consentisse il divorzio consensuale, senza dover sborsare i 40 milioni previsti dal contratto che Cattaneo aveva firmato poco più di un anno fa, quando aveva accettato di gestire il turnaround di Tim prendendo il posto di Marco Patuano, entrato in rotta di collisione con i nuovi soci francesi. Fama di ristrutturatore, Cattaneo era sembrato a Vincent Bolloré la persona giusta per rimettere in ordine i conti della compagnia e impostare un percorso di rilancio. Dalla sua il manager aveva anche altre due caratteristiche: era già in consiglio di Tim e aveva fatto esperienza nei media come direttore generale della Rai. Competenza assai utile a Bolloré, alle prese con l’alleanza con Mediaset e con il piano per creare una media company europea. Il primo obiettivo Cattaneo lo ha raggiunto consegnando alla fine dell’anno scorso un bilancio con 1,5 miliardi di efficienze, 8 miliardi di margine operativo e 1,8 miliardi di utile netto. Missione compiuta dunque, come gli ha riconosciuto anche Bolloré. Ma il compito più difficile era riuscire a combinare l’alleanza tra Vivendi, Tim e Mediaset, a cui il manager ha lavorato con una certa intensità, cercando anche di riavvicinare i contendenti dopo la rottura. Potrebbe essere uno dei motivi che ha inciso sui rapporti con Bolloré, il quale avrebbe anche voluto che Tim chiudesse l’accordo con Mediaset per l’asta dei diritti tv del calcio, per cercare in questo modo di riaprire il dialogo con Cologno. Ma nonostante l’impegno, il manager ha trovato resistenze dall’altra parte e l’alleanza è saltata.

Stretta sul board Alcuni osservatori segnalano che quando a maggio è stato rinnovato il consiglio di Tim, Cattaneo, pur confermato nel ruolo di ceo, avrebbe accolto non freddezza la notizia del ritorno nel board di Franco Bernabè, grande conoscitore del gruppo telefonico che ha guidato per due volte da amministratore delegato e una da presidente. Di certo in quell’occasione Bolloré ha dato una decisa stretta al board, indicandone la maggioranza dei componenti e assegnando, dopo qualche settimana, la presidenza al ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine con deleghe operative. Un segnale inequivocabile sull’avvio della «fase due» della strategia su Tim. Strategia che però non è ancora del tutto chiara. Intanto ora è necessario ricostruire i rapporti con il governo, anche se pochi giorni fa Calenda ha detto che lo scontro è stato superato. E decidere se continuare a puntare sulla convergenza tra Telecom e media anche senza Mediaset. La quale resta «off-limits» per i francesi dopo il dietrofront su Premium e le cause intentate dal Biscione.

Ancora di più adesso che Silvio Berlusconi è tornato centrale nei giochi della politica. Ora si parla di un possibile triumvirato, con la redistribuzione delle deleghe di Cattaneo tra de Puyfontaine, il vicepresidente Giuseppe Recchi e, si dice, il manager israeliano Amos Genish, attuale responsabile della strategia di convergenza di Vivendi, dato da molti come prossimo direttore generale della compagnia telefonica. Raccontano che anche l’ipotesi dell’arrivo di Genish avrebbe contribuito a far precipitare la situazione. Comprensibile: con un presidente esecutivo e un direttore generale, il ruolo dell’amministratore delegato sarebbe stato ridimensionato. In questo caso senza ragione, visti i risultati raggiunti da Cattaneo.

La sicurezza Un vertice a tre sarebbe insolito, anche se in passato ci sono stati momenti in cui Tim aveva tre direttori generali. Ma mai un presidente francese e, se succederà, un direttore generale israeliano, che potrebbe diventare amministratore delegato di Tim. È come se Orange in Francia nominasse un presidente americano e un ceo inglese o tedesco. Impensabile. Dunque il nuovo assetto di vertice è tutto da decidere e Genish potrebbe anche non arrivare mai a Roma, sebbene l’esperienza che il manager ha accumulato in Brasile nella banda larga, come capo di Gvt, potrebbe comunque tornare utile al consiglio di Tim per sviluppare la propria strategia. Ma la rete è l’asset più «sensibile» che ha Tim. Quello a cui il governo guarda con grande attenzione, per via dell’infrastruttura di Sparkle, strategica per la difesa per via dei cavi telefonici che passano per Israele, Egitto e altre zone sensibili del Medio Oriente. Affidarne la supervisione a un manager israeliano non è una cosa banale. Tanto più che da qualche tempo ha ripreso quota l’idea di creare una società unica per la rete mettendo insieme quella di Tim e di OpenFiber. Per dire, prima di de Puyfontaine era Recchi ad avere le deleghe su Sparkle e dopo il passaggio a vicepresidente sono state trasferite a Cattaneo, non al nuovo numero uno francese. E ora è probabile che tornino a Recchi. Almeno fino a quando non verrà deciso l’assetto definitivo.

 

(Nella foto Flavio Cattaneo)