Pubblicato il 05/07/2017, 19:30 | Scritto da Gabriele Gambini

Saverio Raimondo: CCN demitizza la satira impegnata e punta a crescere

Saverio Raimondo: CCN demitizza la satira impegnata e punta a crescere
Saverio Raimondo racconta l'ultima puntata della stagione di CCN, in onda mercoledì 5 luglio alle 22 su Comedy Central (canale 124 Sky) e non nasconde auspici per il futuro del programma.

Saverio Raimondo: “Fare satira sulla generalista non è semplice, perché la satira per sua natura segmenta, e sulla generalista sono diminuite le seconde serate”

Saverio Raimondo somiglia a un diavoletto della tradizione popolare fiabesca. Appare, irride le maschere comiche della commedia dell’arte all’italiana, le straccia, si disinteressa della contingenza strapaesana, e fa satira su temi universali: il cancro, l’aborto, il suffragio universale. Argomenti che – guai! – sulla tv generalista sarebbero intoccabili, pena l’esilio su un’isola deserta, non quella dei famosi. Invece col suo CCN (oggi, mercoledì 5 luglio alle 22 su Comedy Central l’ultima puntata della stagione), famoso lo è diventato davvero. Si è costruito un gruppo di fan abituati all’uso della rete e alla contaminazione di generi, soprattutto gli under 40, rielaborando lo stile della satira anglosassone. Significa opporsi al linguaggio utilitaristico rimanendo pop e scemi all’occorrenza, giocando con l’alto e col basso. Ai tempi del DopoFestival del 2015, quando in Rai lo chiamarono per approfondire a suo modo la liturgia sanremese, fu un jolly destabilizzante tenuto nascosto per paura di chissà quale incursione. Lui ha incassato il colpo tirando dritto, e con CCN si è cucito addosso un programma, ampliato nei segmenti e nelle rubriche, ispirato ai late show americani. «L’unico vero late show italiano, assieme a quello di Cattelan su Sky», dice. Nell’ultima puntata verrà trattato il tema della libertà d’espressione, l’ospite in studio sarà l’attivista e blogger Iacopo Mello.

La libertà d’espressione come argomento dell’ultima puntata chiude il cerchio con una delle caratteristiche portanti di CCN.

La libertà d’espressione è una delle caratteristiche principali della satira, a CCN quest’anno ci siamo permessi di parlare di qualunque cosa, alzando la posta. Uno studio più grande, una durata di puntata maggiore, tanti segmenti e rubriche. Dimostrando che la satira non è un parlarsi addosso, non è uno slang, ma è uno strumento che può permettersi anche di giocare col lato pop dell’entertainment.

Sta già pensando a novità da inserire per la prossima stagione?

Mi piacerebbe esplorare più a fondo alcuni elementi di spettacolo. Interviste a ospiti, aumentare il numero delle esterne, contaminare i generi giocando con diversi registri. La satira è qualcosa di fluido, mai legato a idee monolitiche e talebane, soprattutto non è un genere impegnato. La sua regola sta proprio in quello: nel demitizzarne l’idea dell’impegno, bilanciando il mix tra trovate comiche anche politicamente scorrettissime e entertainment puro.

A proposito di ospiti. Chi l’ha divertita di più in questa stagione?

Penso all’intervista a Cicciolina o quella a Giulia Salemi. Le rivedrete tutte nei best of estivi. Ma se devo pensare a un ospite davvero identitario di CCN, mi viene in mente la puntata in cui abbiamo raccontato la geopolitica con il campione nazionale di Risiko. Lì c’è tutto quanto detto fino a ora: la satira e lo spettacolo televisivo.

Giocare con l’ospite è una prerogativa un po’ di tutti i contenitori.

Infatti non è tanto avere l’ospite in studio, quello ce l’hanno in molti. A me e al mio gruppo di lavoro interessa l’idea che c’è dietro la presenza dell’ospite. Prima penso all’idea di intervista, a un tema da trattare e approfondire e al modo in cui farlo, poi all’ospite.

Quando le è capitato di trattare temi di vicinanza con la politica, come è andata? Un giorno si è definito “il sosia di Di Maio”.

(ride, ndr). Quando mi capita di espormi sul Movimento Cinque Stelle le reazioni sul web sono sempre piuttosto aggressive. Diciamo che il grillino medio non ha un gran senso dell’umorismo.

A proposito di satira e di luoghi dove farla. Quando fu chiamato a condurre il DopoFestival, probabilmente fu cercato per fare quel che ci si aspetta da lei: il Saverio Raimondo. Ci fu qualche problema di esposizione?

L’esperimento dal mio punto di vista andò bene, ci furono problemi di trasmissione che non furono mai esplicitati davvero. Lo stesso Nicola Savino, l’anno dopo, quando condusse il suo DopoFestival, disse che era un contenitore che tornava dopo 10 anni, rimuovendo quasi freudianamente il mio dell’anno prima. Il mio intento, però, era creare una sorta di celebrazione irriverente del Festival, usando un linguaggio contemporaneo per il 2015. Nessuno all’apparenza tirò le orecchie a me o al mio gruppo di lavoro, però ci nascosero.

Eppure, forse grazie anche al suo lavoro, la stand up pura su modello anglosassone si sta facendo strada in Italia. Soprattutto sul web, con le nuove leve, oppure negli appuntamenti milanesi del Santeria Comedy Club.

C’è una new wave italiana che si ispira alla stand up e mi fa piacere se sono riuscito a dare il mio contributo alla diffusione di questo genere comico. In CCN, ampliando i panel, abbiamo dato spazio a tanti giovani, ciò mi rende felice. Cerchiamo di condividere un punto di vista preciso con persone affini.

Spesso colpendo un target under 40. Significa che la diffusione di una comicità diversa dalla tradizione è una questione generazionale?

Il target medio di pubblico di CCN è composto da 25-35enni. Noto anche sui social un ringiovanimento progressivo del mio pubblico. Non significa però colpire solo quella fascia, ma, in generale, chi ha confidenza con la rete, cerca contaminazione di generi e ha curiosità verso i modelli internazionali.

Il suo modello dichiarato sono i late night.

Prima da noi il late night non esisteva, veniva addirittura genericamente chiamato “Il Lettermann”. Oggi si ha meno paura a sperimentare un linguaggio da desk satirico più o meno comico. Accade anche grazie a programmi come E poi c’è Cattelan, che ha contribuito a far crescere il genere. E grazie alla rete. La tv, ultimamente, sta perdendo il primato unico sull’immaginario collettivo.

Sarebbe ipotizzabile un CCN su una generalista?

Il problema della generalista sta nel suo essere generalista. Dunque nel cercare di arrivare al più ampio numero di persone possibile, faticando talvolta a definire un target di riferimento preciso. Oggi capita che un programma che va in onda alle 23 abbia lo stesso linguaggio di uno che va in onda alle 20. Questo è un problema. La satira, per sua natura, segmenta.

Eppure la generalista degli anni ’90 aveva i Mai dire gol, i Luttazzi.

In quell’epoca la generalista sperimentava di più, è vero. C’era una ricchezza maggiore, oggi dispersa con la scomparsa della seconda serata.

I late night americani, con l’elezione di Donald Trump, si sono scatenati. C’è il rischio di una polarizzazione argomentativa simile a quella verificatasi in Italia nell’epoca d’oro di Berlusconi, quindi di una perdita di ricchezza tematica?

Gli americani hanno corso questo rischio anche ai tempi di Bush. E il rischio è concreto. Da un punto di vista economico, quest’anno, Stephen Colbert ha battutto Jimmy Fallon perché ha puntato tutto sulla satira politica. Il pubblico ha gradito. Ma spesso un macrotema può contenere tanti microargomenti che riescono a vivere di vita propria: parlando di Trump, per esempio, ci si può riferire al discorso sul clima, sulla geopolitica, sul femminismo, eccetera.

I comici come lei hanno una data di scadenza? Nel senso: c’è un climax di freschezza anagrafica dopo il quale si rischia di ripetersi diventando macchietta stereotipata?

Il rischio c’è sempre, soprattutto quando si porta avanti qualcosa che colpisce il pubblico e che il pubblico continua a richiedere. Ma il comico è un osservatore. Deve, per poter sopravvivere, tenere il polso sull’immaginario collettivo. Significa non smettere mai di aggiornarsi, portando avanti un discorso coerente con una progettualità di pensiero.

Gabriele Gambini
(nella foto, Saverio Raimondo)

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