Pubblicato il 01/07/2017, 16:01 | Scritto da La Redazione
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Il “caso Fazio” e lo scandalo della tv pubblica

Il “caso Fazio” e lo scandalo della tv pubblica
Il "caso Fazio" non è tanto uno scandalo per gli 11,2 milioni di euro in quattro anni... quanto per il fatto che nega l'essenza stessa del servizio pubblico, la sua ragion d'essere e la sua legittimazione. Così Gianni Valentini su Il Fatto Quotidiano.

“Non c’è più rapporto fra un compenso così abnorme e la funzione propria della tv di Stato”.

 

 

Rassegna Stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 13, di Giovanni Valentini

 

Il “caso Fazio” e lo scandalo della tv pubblica

 

In questi mesi abbiamo assistito a un’intrusione della politica nella gestione della Rai che non ha precedenti” (da un’intervista di Fabio Fazio a Repubblica – 31 marzo 2017). Il “caso Fazio” non è tanto uno scandalo per gli 11,2 milioni di euro in quattro anni accordati al conduttore, circa 2,8 all’anno: un insulto a tutti i telespettatori obbligati a pagare il canone Rai nella bolletta elettrica. Quanto per il fatto che nega l’essenza stessa del servizio pubblico, la sua ragion d’essere e la sua legittimazione. Non c’è più rapporto fra un compenso così abnorme e la funzione propria della tv di Stato. E ha ragione allora il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, il grillino Roberto Fico, a dire che questo è un atto “vergognoso” compiuto sotto la nuova direzione generale di Mario Orfeo. Non ha sbagliato perciò il deputato del Pd Michele Anzaldi a presentare un esposto alla Corte dei conti e all’Anac né il consigliere d’amministrazione Carlo Freccero, in quota al M5S, che ha abbandonato la riunione del Cda in segno di protesta. Qual è, in realtà, la “causale” di un’elargizione talmente sproporzionata? L’audience, la caccia all’audience, in funzione della raccolta pubblicitaria. In genere, le trasmissioni di Fazio hanno successo, fanno ascolti e perciò sono infarcite di spot. Da qui, la motivazione commerciale del maxi-compenso. Tant’è che il consigliere d’amministrazione Arturo Diaconale ammette: “Siamo stati costretti a dire sì, se no Fazio andava a La7”. Sarebbe la logica della concorrenza, insomma, la ragione fondamentale di questa decisione, proprio quella concorrenza da cui la tv pubblica dovrebbe essere affrancata per rispettare la sua funzione istituzionale e il “contratto di servizio” con lo Stato. MA QUANDO la presidente della Rai, Monica Maggioni, arriva addirittura a dichiarare davanti alla Vigilanza di non sapere se “l’azienda avrebbe retto all’uscita di Fazio”, non fa che certificarne la messa in liquidazione. Questa è una testimonianza decisiva per dimostrare la degenerazione della tv di Stato. E così Fazio diventa, malgré soi, il testimonial del disservizio pubblico radiotelevisivo; l’incarnazione del suo snaturamento; un monumento alla crisi istituzionale dell’azienda di viale Mazzini. La Rai – l’abbiamo già detto e ripetuto tante volte – non può essere, come Arlecchino, serva di due padroni: il canone d’abbonamento e la raccolta pubblicitaria. Altrimenti, non fa bene né la televisione pubblica né quella commerciale. Sotto la schiavitù dell’audience e dietro l’alibi degli spot, si consuma quotidianamente uno scempio che la sottomette al controllo della politica: oggi più che mai, come dichiarava lo stesso Fazio qualche mese fa nella citazione riportata all’inizio di questa rubrica. Se oggi la situazione è cambiata, è cambiata in peggio e per un minimo di coerenza un conduttore rispettabile, per di più ex giornalista, non può mettere la testa sotto la sabbia né tantomeno farsi sponsorizzare dalla pubblicità. Sommo interprete di quel genere ibrido e nefando che viene chiamato infotainment, un mix ambiguo di informazione e intrattenimento, Fazio è senz’altro un professionista della televisione. Ma i suoi programmi, da Che tempo che fa al Festival di Sanremo, dalle denunce di Roberto Saviano contro la camorra alle ironiche impertinenze di Luciana Littizzetto, tra il serio e il faceto sono in grado di influire più o meno subdolamente sulla popolarità di un leader politico come sul successo di un libro o di un film. Nella tv del servizio pubblico, non può essere la pubblicità il paravento di un tale potere mediatico.

 

(Nella foto, la statua equestre di Viale Mazzini)