Pubblicato il 17/06/2017, 16:01 | Scritto da La Redazione

Il falso problema dei maxi compensi alle star della Rai

Il falso problema dei maxi compensi alle star della Rai
«Sta di fatto.. che mentre tutti o quasi tutti sono costretti a "tirare la cinghia", dai top-manager agli impiegati, dagli operai ai pensionati, per non parlare qui dei disoccupati e dei precari, gli unici esenti sono i divi della tv, quelli del cinema e quelli del pallone». Così Giovanni Valentini su Il Fatto.

È la metafora di una società della comunicazione e dello spettacolo in cui valori vengono stabiliti dalle leggi del mercato e della pubblicità, più che da quelle del Parlamento

 

 

Rassegna Stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 13, di Giovanni Valentini

 

IL SABATO DEL VILLAGGIO

Il falso problema dei maxi compensi alle star della Rai

 

Sarà pure un “falso problema” – come dice Michele Santoro – il caso dei maxi compensi alle star e ai conduttori della Rai, richiamando l’attenzione piuttosto sui costi strutturali dei programmi e su quelli “occulti” dei grandi produttori televisivi o dei grandi agenti che operano nei corridoi di Viale Mazzini e di Saxa Rubra. E sarà anche vero – come reclamano Bruno Vespa e Fabio Fazio – che i loro munifici contratti milionari, di gran lunga superiori al “tetto” fissato dalla legge per i dipendenti pubblici, sono ampiamente ripagati dagli sponsor, per cui alla fine la tv di Stato comunque ci guadagna. Sta di fatto, però, che mentre tutti o quasi tutti sono costretti a “tirare la cinghia”, dai top-manager agli impiegati, dagli operai ai pensionati, per non parlare qui dei disoccupati e dei precari, gli unici esenti sono i divi della tv, quelli del cinema e quelli del pallone. È la metafora di una società della comunicazione e dello spettacolo in cui valori vengono stabiliti dalle leggi del mercato e della pubblicità, più che da quelle del Parlamento: e paradossalmente, proprio in base ai gusti e alle preferenze di quel popolo di telespettatori che in realtà alimentano un tale mercato e ne sostengono i costi. È il cane dell’audience, insomma, che si morde la coda. La popolarità e la visibilità, assicurate dall’esposizione mediatica, decretano la quotazione professionale e quindi la retribuzione dei divi di questo Olimpo governato dal “dio denaro”. NON CI SAREBBE da scandalizzarsi più di tanto se non fosse che tutto ciò avviene all’interno di una società fortemente squilibrata, dove le disuguaglianze tendono drammaticamente ad aumentare invece che ridursi. E per quanto riguarda comunque in particolare la Rai, la “più grande azienda culturale del Paese” di cui è proprietario lo Stato o meglio il governo, avviene in un contesto dell’amministrazione pubblica dove si taglia, si riduce e si licenzia come e anche più che nel settore privato. Ma il peggio è che spesso a queste tele-quotazioni non corrispondono effettivi valori professionali, determinati piuttosto da appartenenze o dipendenze politiche, rapporti personali, sodalizi più o meno legittimi. O anche solo dalla stessa “anzianità di permanenza” in video che impedisce o rallenta un ricambio generazionale, di idee, di mentalità, di nomi e di volti. E il potere contrattuale conquistato attraverso la televisione, dunque, che viene speso poi nella vertenza economica con la medesima azienda. Non sorprende che il “via libera” ai maxi-stipendi delle star della Rai coincida con l’esordio della nuova direzione generale, affidata a un capitano di lungo corso come Mario Orfeo. Il suo sarà verosimilmente un mandato da “normalizzatore”, all’insegna della continuità rispetto a tutti i pregi e difetti della televisione di Stato. Un mostro a due teste; un ibrido – appunto – fra pubblico e privato; un’azienda che incassa il canone e rastrella pubblicità; un eterno carrozzone subalterno alla politica e alla schiavitù dell’audience. Con buona pace di Matteo Renzi che un tempo voleva liberarla dai partiti, questa Rai è ancora ben lontana purtroppo dal modello di un servizio pubblico autonomo, indipendente, pluralista. L’informazione dovrebbe essere il suo “core business”. Ma, sotto il regime dell’infotainment, è fatale che sia popolata più di “comunicattori” (con due “t”) che di giornalisti.

 

(Nella foto, Fabio Fazio e Luciana Littizzetto)