Pubblicato il 16/06/2017, 19:30 | Scritto da Gabriele Gambini

Emanuele Corazzi, FoxSports: Ritmo e contemporaneità, così raccontiamo lo sport

Emanuele Corazzi, FoxSports: Ritmo e contemporaneità, così raccontiamo lo sport
Coordinatore della redazione di FoxSports, il giornalista spiega i tratti distintivi del canale e, da appassionato di calcio inglese, racconta qualche aneddoto d'oltremanica.

Emanuele Corazzi: “Nel calcio inglese, la sorpresa della prossima stagione potrebbe essere Benitez. Mi sarebbe piaciuto raccontare la carriera di Tony Adams”

«Puoi vestirti come Steve Jobs, oppure puoi provare a produrre i contenuti di Steve Jobs», dice Emanuele Corazzi, coordinatore della redazione di FoxSports Italia (canale 204 Sky), dove l’età media si aggira sui 27 anni. L’accostamento iperbolico ha un significato chiaro: quando sceglieva il suo look, Jobs era innovativo come un 4-4-2 e pedalare su un campo di Champions League, ma quando si trattava di sviluppare creatività per la sua impresa, faceva vedere i sorci verdi a tutti.

«È quel che proviamo a fare noi: non potendo competere per grandezza con colossi dell’informazione sportiva come Sky e Mediaset, solletichiamo la curiosità del pubblico con un linguaggio giovane e fresco, contenuti inediti, punti di vista laterali, e il racconto di sport anche di nicchia». Sul piano calcistico, il canale racconta in esclusiva la Bundesliga tedesca, la Liga spagnola, l’Eredivisie olandese, la FA Cup e la Coppa di Lega inglese. Ma mantiene l’occhio vigile sul baseball, con l’MLB, sul campionato WRC di rally, sulla Diamond League di atletica leggera, sul Campionato italiano di Beach Volley 2017. Discipline con un seguito leale di ammiratori, compendio misurato dell’italico fanatismo pallonaro. Corazzi ha poi una predilezione per il calcio inglese: ha seguito da vicino il miracolo Leicester, una di quelle leggende, monumentali e bizzarre, di cui gli almanacchi d’oltremanica si nutrono per alimentare miti controtendenza.

Raccontare almeno una parte dell’impresa del Leicester, lascia dentro qualcosa di forte a chi fa il suo mestiere.

L’aspetto più coinvolgente è la storia della cittadina di Leicester. Somiglia alla Springfield dei Simpson. Non c’è il clamore glamour della Londra del Chelsea. C’è una popolazione genuina in cui ogni abitante, dal parroco del quartiere al garzone del lattaio, si è inventato qualcosa per celebrare l’evento. Una tensione emotiva da romanzo popolare.

Quel Leicester significava Ranieri, così come il Chelsea di oggi significa Conte. L’Italia contribuisce ad alimentare la storia del calcio inglese.

Gli italiani, nel calcio, possiedono due qualità: la maniacalità arricchita dalla fantasia. Qualcosa che ti consente di interrompere una linea di pensiero, sparigliando le carte. Quando nella semifinale di FA Cup, Conte mette fuori Diego Costa e Hazard, compie un azzardo nettissimo. Poi arriva in conferenza stampa, sorride, e dice, candido: “Sto sorridendo perché mi è andata bene”.

Un nome sul quale scommetterebbe per la prossima stagione di Premier.

Benitez. Personaggio affascinante. Ha idee integraliste, non è tra i primissimi allenatori del mondo. Ma se trova un ambiente a lui congeniale, e il Newcastle può esserlo, garantisce sorprese.

Il calcio inglese crea anche miti e leggende alla George Best. Un nome che le sarebbe piaciuto raccontare da cronista.

Tony Adams. L’essenza di quei calciatori considerati in Inghilterra alla stregua delle rockstar. Un po’ come Best. Anche se oggi le cose sono molto cambiate. Sono lontani i tempi in cui Gianluca Vialli approdava in Premier e, negli spogliatoi, trovava compagni di squadra con la pancetta da birra.

La differenza tra il calcio inglese e quello italiano, oggi?

Noi siamo più creativi. Ma gli inglesi non mettono cerotti alle loro ferite, sanno proprio trovare la cura. La svolta innescata da Disorder Act della Tatcher è un esempio. Ha cambiato la cultura degli stadi. E, in Inghilterra, la pressione su giocatori e allenatori è notevolmente inferiore, anche da parte della stampa. Vige un patto non scritto tra tifosi e calciatori: se dai tutto fino in fondo, io non ti contesto. Di conseguenza, lo show è vissuto con maggior rilassatezza. I prodotti che funzionano sono così, liberati da isterismi. Come la NFL, l’NBA o la MotoGp.

A FoxSports raccontate molti aspetti di discipline meno note, contribuendo a diffondere questo tipo di cultura sportiva. Qual è il vostro tratto distintivo umano e professionale?

Sono stato protagonista attivo della start up fin dall’estate 2013. Un particolare non da poco. Quando parti da zero nella creazione di un progetto, crei cultura dalle basi. A FoxSports abbiamo seguito un ragionamento: non potendo permetterci un team forte come a Mediaset o a Sky, abbiamo selezionato ragazzi con due caratteristiche fondamentali. L’occhio originale sul mondo esterno, sviluppato tramite spirito critico. E, particolare non trascurabile, la predisposizione a lavorare in gruppo senza arrivismo. Lo dico senza retorica. Qui puntiamo sulla coesione della redazione mettendo da parte i piccoli vantaggi individuali.

Lei come è approdato a FoxSports?

Premessa. Da bambino sognavo di fare il cronista sportivo. Inventavo minitelecronache, scrivevo abbozzi di articoli. Ho seguito un percorso universitario che mi portasse ad approfondire la comunicazione televisiva, col professor Simonelli all’Università Cattolica di Milano. Sky mi sembrava la nazionale del giornalismo sportivo, ho iniziato uno stage nel 2006. Era l’estate del Mondiale in Germania, molti giornalisti erano impegnati nella manifestazione. Ho avuto spazio e mi sono buttato. Devo molto a Marco Cattaneo, che ha creduto in me da subito, a Sandro Sabatini e a Marco Foroni.

La passione per il calcio inglese è arrivata dopo?

No, c’era già. Un giorno chiesi a Sandro Sabatini il permesso di raccontare un aneddoto su John Terry, capitano della nazionale inglese. Lui mi rispose: “Chiedi a Foroni, è lui l’esperto in materia”.

Oggi ha un ruolo di coordinamento di redazione, qualcosa di diverso rispetto al racconto attivo dello sport giocato.

Massimo Corcione mi ha insegnato, quando ero a SkySport24, a unire l’aspetto ludico e appassionante del racconto alla bellezza del lavoro gestionale. Gestire un gruppo insegna a sviluppare idee, consente di attingere da confronti proficui. Ha delle prerogative che completano il mestiere in modo decisivo.

Quali sono le doti che dovrebbe possedere un cronista?

Ritmo, entusiasmo, capacità di rielaborare le informazioni acquisite sull’evento da commentare e di renderle vicine al battito di polso del pubblico. Non andare mai col pilota automatico, vivere la contingenza e il presente con spirito critico. Dopodiché, essere conscio delle proprie caratteristiche e metterle in mostra con naturalezza.

Un nome su tutti che rappresenta per lei tutto questo?

Flavio Tranquillo.

Quali sono i progetti che vorrebbe veder realizzati su FoxSports?

Come gruppo, cercare sempre di innovare, proponendo forme di racconto che solletichino la curiosità di chi ci guarda. Portando gli occhi degli spettatori tra gli aspetti collaterali e meno noti degli sport. Penso ai documentari, i Fox Files. Oppure, per esempio, andare a L’Aia e mostrare nel dettaglio come si allenano i giovani dell’Ajax. Personalmente, poi, non smetto di collaborare con l’Università Cattolica: il rapporto con i giovani permette di mantenersi aggiornati sui linguaggi contemporanei.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Emanuele Corazzi)