Pubblicato il 18/04/2017, 11:33 | Scritto da La Redazione

Barbara Boncompagni: Papà ci ha insegnato l’amore e l’ironia

Barbara Boncompagni: Papà ha cresciuto tre figlie con amore e ironia

Rassegna stampa: Corriere della sera, di Emilia Costantini.

Un padre e tre figlie. Così si ritrovò Gianni Boncompagni quando la moglie svedese lo lasciò. Ma lui si fece affidare Barbara, Paola e Claudia. «Quando i miei si separarono avevo un anno – racconta Barbara -. Le mie sorelle, 3 e 6 anni. Papà era giovanissimo, all’inizio della carriera. Avrebbe potuto metterci in collegio o affidarci ai nonni paterni. Invece ha voluto occuparsi lui della nostra crescita, giorno per giorno». Martedì 18 aprile ore 12, a via Asiago 10, sede storica di RadioRai, la camera ardente e una cerimonia laica per ricordare l’autore di tanti successi.

Primi anni ‘60, un lavoro ancora tutto da inventare, tre bambine da accudire: un compito non facile.
«Non era severo, ma autoritario sì: le regole sono necessarie per allevare i figli. Inoltre lui doveva assumere i ruoli di padre e madre, confrontarsi con i nostri problemi femminili, di cui in una famiglia normale si occupa la moglie».

Qualche aiuto dai parenti?
«Dai nonni che vivevano ad Arezzo: adoravo mio nonno che, per altro, era molto critico con papà, diceva che col suo lavoro guadagnava troppi soldi. Uno scandalo per lui, abituato al lavoro della terra e non agli show e alle paillettes».

Voi figlie intanto crescevate…
«Facevamo le donnine di casa. Quando avevo circa 12 anni, mi accorsi che la nostra governante rubava. Orgogliosa della scoperta, lo riferii a papà. E lui, che alla governante non poteva rinunciare data la situazione, mi rispose ridendo: “Bè è divertente, no? Una ladra in casa, un diversivo!”».

Sdrammatizzava?
«Se gli confidavo che il mio ragazzo mi aveva mollato, lui replicava “ne trovi un altro più carino”. Una filosofia leggera, mai banale, che attingeva a radici antiche, una saggezza contadina. Era un dissacratore, con tanta ironia. Non un educatore tradizionale. Non ci rimproverava mai, preferiva essere un esempio di comportamento. Non gli ho mai sentito dire cattiverie sui colleghi».

Un esempio e per lei, Barbara, anche un modello per intraprendere la strada dello spettacolo?
«A 17 anni, appena diplomata, mi iscrissi all’università a Parigi. Lui mi disse lascia perdere, torna a Roma e lavora con me in tv. Mi ritrovai scaraventata su Rai2 in “Drim”, con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia»

L’inizio della sua carriera?
«Sì, ma per me era come stare a casa, ho sempre vissuto tra le telecamere».

E a casa arriva Raffaella Carrà.
«Per noi è stata un po’ una mamma, quella che ci era mancata. Un forte legame con lei, che dura tuttora. Io le stavo sempre alle costole. Seguivo le prove dei suoi spettacoli. Assistevo ammirata al suo trucco e parrucco, la tallonavo quando andava in tournée… casa nostra era un laboratorio di idee».

E l’avventura spettinata di «Non è la Rai»?
«Quella trasmissione affollata di ragazzine era, per papà, un modo di non voler invecchiare. Quando io rimasi incinta del mio primo figlio, Mattia, lui restò attonito: l’idea di diventare nonno lo atterriva, poi è stato un nonno amorevole e davvero speciale. Tanto speciale che una volta Mattia mi riferì indispettito: “Nonno si è mangiato tutta la mia Nutella!”».

Avete sempre abitato nello stesso palazzo?
«Papà nell’appartamento al piano superiore, noi sotto. La sua camera da letto stava sopra a quella di Brando, il mio secondogenito. La mattina vedevo mio figlio sempre stanco. E lui un giorno sbuffa: “Nonno tutta la notte gioca alla playstation e fa casino!”».

Un padre speciale. Consigli preziosi? 
«L’umiltà. Mi ripeteva: “Ricorda che chi guarda la tv, magari sta pelando le cipolle!”».

Il ricordo degli ultimi giorni? 
«Tanta ironia. Non si parlava di morte, ha chiuso gli occhi serenamente. Papà sei stato pazzesco!».

(Nella foto Gianni Boncompagni)