Pubblicato il 01/04/2017, 16:01 | Scritto da La Redazione
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La verità sullo scontro tra Fazio e la Rai

La verità sullo scontro tra Fazio e la Rai
Il conduttore contro il tetto agli stipendi invoca il libero mercato. Giusto, ma allora non fateci più pagare il canone. Così Francesco Specchia su Libero

Qualcuno si spinge, perfino, a paventar «l’incostituzionalità» del tetto… ma il tetto riguarda le persone fisiche e le case di produzione sono persone giuridiche e possono pagare quanto vogliono le loro star.

 

Rassegna Stampa: Libero, pagina 13, di Francesco Specchia

 

La rivolta dell’ «artista-giornalista»

La verità sullo scontro tra Fazio e la Rai

Il conduttore contro il tetto agli stipendi invoca il libero mercato. Giusto, ma allora non fateci più pagare il canone

 

Certo, per l’ottimo – davvero – Fabio Fazio con cachet di 1.8 milioni di stipendio annui, passare al tetto di 240mila è seccante. Sicché, quando l’artista/giornalista (ossimoro fiscalmente inesistente in natura) chez Repubblica, si strazia, e dichiara che «in questi mesi abbiamo assistito a un’intrusione della politica nella gestione della Rai che non ha precedenti. La politica si è intromessa nella gestione ordinaria di un’azienda»; e aggiunge che «in una tv che cambia, bisogna assumersi responsabilità e nuovi rischi» e minaccia di diventare auto-produttore e di andarsene (dopo, forse); insomma, quando la costernazione di Fazio produce tutto questo, be’, ha tutta la nostra comprensione. Idem per Massimo Giletti che si lamenta sul Corriere, e per Bruno Vespa i cui legali stanno scavando nella Finanziaria addirittura del 2008 per estrarre un’apposita deroga-salvapresentatore. Di contro, il Pd Anzaldi e il Ms5 fanno notare che Fazio si lamenta della lottizzazione «solo ora, quando gli toccano il portafoglio»; e giustamente aggiungono che lavorare per la Rai è privilegio e chi se ne vuole andare, vada pure. Ora, l’eccezione di star e agenti delle star, la categoria che in questi giorni vive più in apnea è la solita: «Se c’è il tetto, la Rai esce fuori mercato e le star passano alla concorrenza…». Il che sarebbe un ragionamento inappuntabile di libero mercato. Ma non tiene conto di due elementi. Il primo: la Rai ha una natura giuridica transgender: è ente di diritto pubblico quando si tratta di avere la concessione di servizio pubblico e di riscuotere il conseguente canone; ed è ente di diritto privato quando si parla di cachet e di responsabilità penale di contrattualizzati e dipendenti. Il tutto a seconda della propria convenienza: oggi la Rai si prende i soldi pubblici dalla bolletta elettrica, ma per il resto agisce come un libero e spregiudicato player del mercato. Ergo, banalmente, occorre mettersi d’accordo. Se viale Mazzini risulta servizio pubblico, non è etico che la Clerici e Insinna guadagnino quasi il triplo del Presidente della Repubblica. Se la Rai, invece, non è servizio pubblico, allora via i tetti anche per i pacchi o le stragi degli innocenti dei bimbi canterini. Ma in questo caso via, però, anche la concessione e i dineri del canone; che potrebbero essere ripartiti equamente tra chi servizio pubblico lo fa a tutto tondo (ne hanno ventilato richiesta, finora, La7, Radio24 e Reteconomy). Un’altra idea, qui, potrebbe essere anche quella di parametrare i cachet alla prestazione, libero mercato puro. Però, ovviamente, a parlare di privatizzazione viene l’itterizia, la Rai privilegia lo status quo. In questi giorni ho udito prefiche e previsioni terrificanti. Qualcuno si spinge, perfino, a paventar «l’incostituzionalità» del tetto, anche se l’interpretazione del dettato costituzionale all’art. 3 è l’esatto opposto. Qualcun altro si affanna a telefonare ai giornalisti evocando l’apocalisse: il taglio del Commissario Montalbano e delle grandi fiction; ma il tetto riguarda le persone fisiche e le case di produzione sono persone giuridiche e possono pagare quanto vogliono le loro star (come nel caso di Fazio). Il secondo elemento che smonta gli allarmisti è che il mercato di oggi è dominato da una corsa al ribasso. Una sorta di cartello inconsapevole tra televisioni. Mediaset tigna perfino sui costi dei taxi; Sky taglia al punto di trasferire la sede romana e Milano; Cairo tratta con i fornitori sforbiciate del 30%; Discovery cerca low budget e alta qualità, e un Crozza gli è bastato. L’esempio di Bonolis, che, a scadenza di contratto, non ha alimentato il solito mercato delle vacche tv rimanendo a Mediaset allo stesso costo e lavorando di più, dimostra, per paradosso che il calmieramento funziona. Parliamone…

 

(Nella foto, Fabio Fazio)