Pubblicato il 05/03/2017, 14:01 | Scritto da La Redazione

Paolo Sorrentino: «Siamo tutti soli. Il cinema è fatto per consolarci»

Oggi il serial ha sostituito il cinema? «No. Corre parallelamente…»

 

 

Rassegna Stampa: La Stampa, pagina 24, di Alan Elkan

 

Parla Paolo Sorrentino – Regista e scrittore

“Siamo tutti soli Il cinema è fatto per consolarci”

 

 

Sorrentino, lei per la prima volta si è cimentato con un serial tv The Young Pope prodotto da Sky, Canal plus e HBO e ha avuto un grande successo. Che differenza c’è tra girare un film come II divo o La grande bellezza e un serial? «La differenza sta nella fatica fisica e nella tenuta psicologica. Vuol dire lavorare sette mesi anziché due e tenere in mano un filo narrativo lunghissimo e dieci personaggi diversi. La tv ha un respiro più ampio come un grande romanzo ottocentesco, il film è come un racconto medio, bisogna raccontare per sintesi». Oggi il serial ha sostituito il cinema? «No. Corre parallelamente. Il serial è la possibilità di fare un lavoro di autore che il cinema oggi non consente più. Io considero cinema tutto, anche quando si guarda un film con il computer, anzi con il computer l’emotività è maggiore. L’unica differenza è quella del rito collettivo della sala». La sala cinematografica è finita? «E’ finito il luogo ostile e scomodo dove vedere i film, adesso la sala è il luogo comodo di grande aggregazione e sopravvive se è un po’ come lo stadio di calcio odierno. Deve essere concorrenziale alla casa, comoda come una casa con in più uno scambio piacevole con gli altri». Lei ha girato vari film che hanno avuto molti premi, dal festival di Cannes all’Oscar. C’è un filo rosso nel suo lavoro? «C’è un filo rosso e alcuni sentimenti dominanti, la malinconia, la nostalgia e il rapporto con la solitudine». Il Papa come le è venuto in mente? «II Vaticano e la vita del Papa mi hanno sempre affascinato. Mi affascina la strana contraddizione tra uno Stato minuscolo e il fatto che sei la guida spirituale di un miliardo di anime. Fare il Papa è un lavoro faticosissimo e volevo raccontare un Pontefice sotto la tonaca, un uomo come gli altri uomini». E la Chiesa come ha reagito? «Non ha reagito, è sceso il silenzio. Non saprei ma, secondo me, vuol dire che in Vaticano sono persone intelligenti che non cercano polemica e quindi hanno lasciato passare il film». Lei è amico di Nanni Moretti? «Ci conosciamo bene, Nanni ha fatto un grandissimo film su un argomento opposto, cioè un Papa che fa un passo indietro, non riesce a svolgere il suo ruolo. Il mio Papa è attivo, vuole a tutti i costi provare questa responsabilità». Jude Law ha recitato bene? «Moltissimo, lui dice che è il miglior ruolo della sua vita. Ora stiamo lavorando alla seconda stagione». Lei ha anche una carriera parallela di scrittore e ha da poco pubblicato Gli aspetti irrilevanti (Mondadori), 23 racconti illustrati da Jacopo Benassi. «Io sono più scrittore che regista, dai venti ai trent’anni ho solo scritto sceneggiature. Mi piace il cinema, è una bellissima attività, ma quando ho tempo scrivo anche libri. Il libro mi consente una sfrenata libertà. Tutto quello che vedo accadere è sulla pagina. Mentre invece quando lavori per il cinema sai che quello che scrivi avrà a che fare con altre realtà e altre persone. La scrittura cinematografica si muove tra barriere e ostacoli. II romanzo finisce quando l’editore lo pubblica, il copione è solo il primo passo». Come nasce un’idea? «II parto di un’idea è assolutamente simile nel cinema e nel romanzo. Di solito la miccia che mi accende sono i personaggi: è un’ossessione il protagonista de La grande bellezza, un personaggio che ha sempre convissuto con me, un certo tipo di napoletano che oscilla tra il dandy e il nullafacente. Che fa dell’osservazione cinica e disincantata la sua specialità». Perché ha scelto Toni Servillo? «Toni Servillo è un grande attore, una sorta di fratello maggiore, un uomo intelligente capace di raccontare e aggiungere qualcosa a ogni film. E una felice convergenza, un matrimonio felice, per questo è l’attore di molti miei film». Un po’ come Mastroianni per Fellini? «Molti registi affidano spesso allo stesso attore i ruoli, non possono farne a meno, l’attore diventa perfetta incarnazione dei loro pensieri e sogni». Ci sono degli attori che avrebbe voluto dirigere? «Sì, ce ne sono tanti, passati e presenti. Avrei amato lavorare con Ugo Tognazzi, un tipo di uomo che mi affascina per la sua fisicità e per il modo di comportarsi» . Le piace lavorare con gli attori? «Non sono un regista particolarmente legato agli attori, per questo cerco sempre degli attori intelligenti. La mia priorità, la mia fascinazione particolare è per l’immagine, lascio cadere gli attori dentro le immagini. Una parte dell’immagine la creo in fase di scrittura poi c’è la scenografia, i costumi: dirigere un film è come comporre una sinfonia. II mestiere di regista è simile a quello del direttore d’orchestra, devi far suonare tutti gli strumenti. Gli attori, le luci il suono, i dialoghi… ». E’ un mestiere difficile? «Molto difficile ma divertentissimo. Devi faticare a lungo, aspettare molto tempo e quindi ci vuole pazienza. Se si riesce però a fare il film che si vuole è spumeggiante, gratificante. Dal nulla riuscire a comporre una macchina complessa dà una grandissima gioia». Quali sono le qualità indispensabili per un regista? «Essere dotati di un buon istinto. II cinema si fa in fretta, si gira in fretta, le discussioni sono veloci e devi prendere decisioni basandoti sulla tua fiducia, sull’intuito. Un’altra qualità è la dedizione totale. Non si possono fare dei buoni film lavorando a metà». Com’è la sua vita? «Mi immergo dalle sette di mattina alle sette di sera e poi mi regalo una cena con i miei figli, mia moglie e gli amici». Roma è una città che va bene per lei? «Benissimo, nella sua indolenza regale ritrovo la calma dello spirito. Essendo una città moribonda è priva di tentazioni, mentre Londra e New York mi porterebbero a stare in strada più di quanto devo». II successo le ha cambiato la vita? «II successo non mi ha cambiato sono sposato con la stessa donna, vivo nella stessa casa, sono una persona riservata, leggo pochissimo le cose che mi riguardano. Faccio la stessa vita di vent’anni fa, è un modo di arginare le tentazioni, ho lo stesso sogno che avevo da ragazzo: fare film. Da ragazzo temevo che il sogno non si realizzasse, adesso so che lo posso realizzare. Queste sono le condizioni di calma necessarie per scrivere un romanzo e fare un film». Vorrebbe diventare anche un grande romanziere? «Devo ancora diventare un grande regista, mi sento uno che ha imparato il mestiere. I grandi registi sono altri, Fellini, Scorsese, Bergman. Ma io sono giovane, sono felice perché penso che il grande film lo devo ancora realizzare. Una condizione che mi stimola per il futuro». Quando esce un suo film ha paura? «Non ho paura. L’importante nel lavoro è avere coraggio. Non mi dimentico mai che ho il privilegio di avere a che fare con un grande gioco». Di che cosa ha bisogno oggi la gente? «La gente ha una grande necessità di essere consolata nella propria solitudine e il cinema aiuta. Tutti ci sentiamo soli e il cinema, per convergenze misteriose, allevia il dolore della solitudine che alberga in ognuno di noi». Lei va al cinema? «Ci andavo tantissimo da ragazzo. Oggi meno. Guardo i film in tv, leggo molto, romanzi, saggi e spesso anche cose per il mio lavoro. II romanzo della vita è il viaggio al termine della notte di Celine. L’ho letto a 22 anni e sono rimasto folgorato». Cos’altro l’ha folgorata? «Mia moglie, innanzitutto, e poi l’impressionismo tedesco, New York quando vi andai da ragazzo e il calcio». Lei si considera un bravo padre? «Mi occupo più che posso dei miei figli e quando loro non hanno impegni scolastici mi seguono dovunque io vada. Sono diventato orfano giovanissimo e ho riversato la mia mancanza sugli affetti famigliari».

 

(Nella foto, Paolo Sorrentino)