Pubblicato il 24/02/2017, 11:30 | Scritto da Francesco Sarchi

Vivendi: Bolloré indagato per aggiotaggio per la scalata a Mediaset

Scalata di Vivendi a Mediaset, Bolloré indagato per aggiotaggio

Rassegna stampa: Corriere della Sera, di Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella.

Il 64enne finanziere bretone Vincent Bolloré, primo azionista del colosso multimediale francese Vivendi, secondo azionista di Mediobanca con l’8% e primo di Telecom Italia con il 24,68%, è indagato dalla Procura di Milano per l’ipotesi di reato di aggiotaggio nell’operazione con la quale Vivendi ha comprato azioni Mediaset salendo nel dicembre scorso sino al 28,8% (diritti di voto al 29,94%) del capitale del principale gruppo televisivo privato italiano che è controllato al 40% dalla Fininvest. E proprio la cassaforte della famiglia Berlusconi, come reazione, si era rivolta non solo alla Consob e all’Agcom, ma anche alla Procura con un esposto nel quale accusava il gruppo francese di «aver creato le condizioni» (attraverso la disdetta nel luglio 2016 del contratto d’acquisto di Mediaset Premium pattuito in aprile insieme allo scambio azionario del 3,5% tra Vivendi e Mediaset) «per far scendere artificiosamente il valore del titolo Mediaset» e poi lanciare la scalata «a prezzi a sconto».

Coincidenza in procura

Berlusconi, che negli anni scorsi ha avuto proverbiali conflitti con la Procura di Milano, ora nella stessa Procura trova una sponda alle proprie prospettazioni: sempre ieri, infatti, neanche a farlo apposta, nello stesso corridoio del Palazzo di giustizia, mentre il pm Fabio De Pasquale ascoltava come teste nell’inchiesta Vivendi-Mediaset il capo degli affari legali del Biscione, Pasquale Straziota, i carabinieri tenevano lontani i cronisti dall’ufficio dove Berlusconi stava testimoniando di fronte ai pm Tiziana Siciliano e Luca Gaglio come «parte offesa», cioè potenziale vittima di un’estorsione tentata da una ragazza che ha testimoniato nei processi Ruby, indagine scaturita da una denuncia del suo avvocato, il parlamentare Niccolò Ghedini.

Lo scontro

«Ci hanno fatto un ricatto, un’estorsione: di fronte a questa scalata ostile pensiamo di resistere, e crediamo che la magistratura debba dare seguito alle nostre cause, i giudici devono darci ragione», aveva detto Berlusconi il 22 dicembre. È prematuro immaginare se questo si realizzerà alla fine dell’inchiesta su Bolloré, ma di certo ora anche la variabile penale si aggiunge alle altre già in gioco nel durissimo scontro Vivendi-Mediaset. Le variabili C’è quella strategica, perché i due gruppi sono di fatto immobilizzati in quanto sia Vivendi con il proprio 28,8%, sia Fininvest con il 40% sono al limite delle quote oltre le quali sarebbero costretti all’Opa obbligatoria che svenerebbe entrambe. C’è quella finanziaria, perché tanto Bolloré quanto Berlusconi hanno speso moltissimo per conquistare trincee di Borsa: per salire dal 3% al 28,8 % di Mediaset i francesi (che per ora hanno sospeso gli acquisti e sinora non hanno chiesto un rappresentante in cda) hanno pagato 1,2 miliardi di euro, mentre Fininvest ha speso 154 milioni per difendersi dalla scalata francese puntellando sino a quasi il 40% la propria quota di controllo, con il risultato che, nei nove giorni di fuoco in Borsa dal 12 dicembre 2016, il valore del titolo è quasi raddoppiato da 2,71 euro a 4,57. C’è poi la variabile giudiziaria ma in sede civile, visto che Mediaset ha fatto causa a Vivendi chiedendo 1,5 miliardi di danni. E c’è soprattutto la variabile normativa: l’Agcom, l’Autorità garante per le comunicazioni, sta infatti svolgendo un’istruttoria per verificare se siano state violate le regole del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, che impediscono il collegamento tra un operatore che abbia più del 40% di quota nel mercato delle comunicazioni elettroniche e un operatore che abbia più del 10% di quota nei media.

«Imbrogliati»

Le posizioni pubbliche dei due contendenti sono in apparenza inconciliabili. «Fininvest e Mediaset ci hanno fatto causa per aver rotto il contratto su Premium, ma noi — ha sostenuto Arnaud de Puyfontaine, amministratore delegato di Vivendi — ci siamo tirati indietro perché abbiamo scoperto di aver firmato un’intesa diversa da quanto ci era stato detto. È come se ci avessero invitato a cena in un ristorante a tre stelle e poi ci siamo ritrovati in un McDonald’s. Abbiamo provato a trovare un accordo alternativo, invece ci hanno offeso e maltrattato pubblicamente. Abbiamo reagito per superare l’ impasse. L’obiettivo finale è arrivare a un’alleanza per creare una media company europea di dimensioni mondiali». «Solo un pretesto» «Il pretesto per dire “siamo stati imbrogliati”, o dire qualcosa che ci somiglia molto, è un pretesto veramente campato per aria», ha ribattuto il presidente Mediaset, Fedele Confalonieri: «Poi, quando tu fai una scalata ostile, avendo comprato il 20%, dopo che hai abbassato il titolo, perché alla fine il titolo è stato abbassato da 4 euro a meno di 2 e mezzo, e hai rastrellato, beh, tutto questo adesso è giustamente nelle mani della magistratura, degli organismi di controllo che faranno il loro dovere». Bolloré, 248esimo uomo più ricco del mondo (4,6 miliardi di dollari secondo Forbes nel dicembre 2016) alla guida una holding da 33mila dipendenti, tramite Vivendi controlla anche Universal Music, Canal+ e Daily Motion. Amico personale dell’ex presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy (con annesse polemiche 10 anni fa per le vacanze su un suo yacht da 60 metri), condivide proprio con Berlusconi l’amicizia con Tarak Ben Ammar, il finanziere che siede nei cda di Vivendi, Telecom e Mediobanca. Per il patron di Vivendi non è il primo impatto con la giustizia italiana. Nel 2014 la Procura di Milano ricevette dalla Consob una relazione che, se non produsse mai conseguenze penali, produsse però effetti sul piano amministrativo: una sanzione Consob (confermata in Appello) a 3 milioni di euro e alla «perdita temporanea dei requisiti di onorabilità» con interdizione per 18 mesi dai consigli di amministrazione di società italiane quotate, a causa di una operatività giudicata anomala nel 2010 sul 5% di Premafin, l’allora holding della famiglia Ligresti che controllava Fondiaria-Sai e che era nel mirino dei francesi di Groupama.

(Nella foto Vincent Bolloré)