Pubblicato il 23/11/2016, 14:33 | Scritto da La Redazione
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Gerry Scotti racconta i suoi 30 anni di carriera: da Cecchetto ai Berlusconi

Gerry Scotti racconta i suoi 30 anni di carriera: da Cecchetto ai Berlusconi
Dalle notti delle radio libere all’arrivo in Parlamento, dalla nascita di Radio Deejay ai tempi pionieristici della tv provata, il conduttore apre per il mensile “GQ” il suo album dei ricordi.

Gerry Scotti: “Se vi sembro uno normale”

Rassegna stampa: GQ, pagina 112, di Andrea Amato.

Quando l’ha visto per la prima volta, Silvio Berlusconi ha pensato che, con quell’aria da “ragioniere brianzolo”, non avrebbe mai bucato il video. 600 prime serate più tardi, appena compiuti 60 anni, Gerry Scotti è un simbolo della tv italiana. Dalle notti delle radio libere all’arrivo in Parlamento, dalla nascita di Radio Deejay ai tempi pionieristici della tv provata, qui apre per “GQ” il suo album dei ricordi.

«La prima volta che lo incontro, Berlusconi mi squadra da capo a piedi e dice a Cecchetto: “Ma questo è uno molto normale, sembra un ragioniere brianzolo”. Trent’anni dopo, al funerale di Vianello, mi abbraccia: “Quando accendo la tv e vedo la tua faccia mi sento a casa”. Piccole rivincite». Virtù di un uomo normale: Virginio “Gerry” Scotti ha appena compiuto sessant’anni, 600 prime serate e 6 mila puntate di day time. Seduto nel suo camerino a Mediaset, subito dopo una puntata di Caduta Libera, il programma preserale di Canale 5 che conduce da 2 anni, ricorda: «A Nova Radio rimettevo a posto i dischi usati dai dj. L’ultima ruota del carro». Da lì, l’approdo a Milano International, madre di tutte le radio private, o “libere” come si chiamavano allora (da poco tornata in vita sul web), insieme ai pionieri dell’FM: Gigio D’Ambrosio, i fratelli Cozzi, i Borra, Leonardo Leopardo e tanti altri.

Nel 1982 arriva la prima sliding door della sua vita: «Una sera mi chiama Cecchetto e mi convince a lasciare la McCann, dove facevo il pubblicitario, e tutti i benefit che mi davano, compreso un master a New York già programmato. Insieme, forte della mia esperienza in agenzia, abbiamo studiato slogan, loghi e jingle di Radio Deejay. Avevamo una prateria davanti a noi e ce la siamo conquistata». Dopo qualche anno arriva la seconda sliding door: «Claudio s’inventa Deejay Television e mi convince a diventare il primo veejay d’Italia: “È come fare la radio, però invece di mettere i dischi lanci i video”, mi diceva, anticipando Mtv di un decennio».

Eravate giovanissimi.

Ma con Claudio si faceva sul serio, è stato il primo in Italia a fare il salto di qualità. Ai tempi di Radio Milano International, invece, ne combinavamo di tutti i colori.

Per esempio?

La radio era collegata anche a TeleMilano, famosa tra i libidinosi notturni perché trasmetteva i primi film softcore. Una notte abbiamo deciso di abbassare gradualmente il volume dell’emissione audio, da 6 a 2, immaginandoci i tanti mariti rimasti davanti alla tv con le mogli a letto, che alzavano al massimo il volume del loro apparecchio. A metà del film abbiamo sparato il livello a 10. Chissà quanti litigi nelle case dei milanesi.

Poi nel 1988 lascia Radio Deejay e la tv diventa il suo lavoro nell’allora Fininvest. Chi c’era, a quell’epoca, a Cologno Monzese?

Anche lì era tutto pionieristico: la mensa era dentro un container, i camerini minuscoli prefabbricati, i vialetti non ancora asfaltati. Però in giro incontravo Renato Pozzetto, Johnny Dorelli, Sandra Mondaini, Raimondo Vianello, Mike Bongiorno.

Mai pensato di cambiare azienda?

In trent’anni di Mediaset ho avuto inevitabilmente anche momenti brutti, e lì arrivavano con un foglio bianco a dirmi: “Scrivi quante prime serate vuoi fare, quante puntate di preserale e quanti soldi vuoi”. A un editore così è difficile dire addio.

Non se ne andrebbe neanche per fare Sanremo?

Non è tra i miei sogni nel cassetto, ma se ce ne fosse la possibilità mi piacerebbe presentarlo con Piero Chiambretti e Virginia Raffaele. Oppure una reunion con Fiorello e Jovanotti.

Dal 1987 al 1992 è stato deputato del Psi.

Non avrei mai pensato di essere eletto. Quando arrivò il telegramma ministeriale, in cui mi convocavano a Montecitorio dopo tre giorni per la cerimonia d’insediamento, ero a Riccione a fare Deejay Beach e non avevo con me un abito blu. Andai in via Ceccarini a comprarlo, ma la commessa insisteva per vendermene uno beige o cachi. Per non spiegarle a cosa mi serviva, dissi che dovevo andare a un funerale.

Ha un ricordo legato a Bettino Craxi?

L’ho visto poche volte, avevo più rapporti con suo figlio Bobo, perché ero stato candidato dalla Gioventù Socialista milanese. Ricordo però che a una cena elettorale mi tempestò di domande sul mondo delle radio. Era molto curioso.

Ha presentato in totale, nel suo mandato, 33 progetti di legge, di cui 26 solo nel 1987 e firmato 24 atti di indirizzo e controllo. Quali erano le tematiche principali?

Legate alle politiche giovanili, alla discografia, all’arte. I primi due anni mi sono impegnato molto, ci credevo, ma con il tempo sono stato stritolato da logiche politiche che non mi appartenevano e così è arrivata la disillusione. Dovevo andare alla Commissione d’inchiesta sulla condizione giovanile, un incarico nelle mie corde e che trovavo molto utile. Poi, invece, al momento del voto i miei stessi compagni di partito hanno eletto un altro e finii alla Commissione Difesa, dove ero davvero un pesce fuor d’acqua. Non mi permisero nemmeno di rassegnare le dimissioni.

Recentemente ha chiesto a Matteo Renzi di cancellare il suo vitalizio.

Sì, ma la legge non lo permette. Quindi fra sette anni dovrei iniziare a percepire la pensione, cosa che mi mette molto a disagio. Spero che cambino le regole prima di allora, altrimenti devolverò il vitalizio alle famiglie delle vittime delle forze dell’ordine.

Quindi il fatto che lei sia tirchio è una leggenda metropolitana?

Non sono uno che ostenta ricchezza, vivo una vita lontano dalla mondanità, dagli eccessi, ed è così da sempre. Per questo pensano che sia tirchio. Capita anche a Fiorello e Bonolis.

Qualche anno fa ha scritto una lettera al Corriere della Sera, prendendo posizione contro la scomunica della Chiesa verso i divorziati.

Sostenevo che la fine di un rapporto è già lacerante, per cui la Chiesa dovrebbe accogliere e “curare” queste ferite, non emarginare o respingere. Un giorno nella parrocchia del mio paese ho sentito l’istinto naturale di fare la comunione. Mentre ero in fila verso l’altare vedevo le signore del paese che si davano di gomito scandalizzate. Quando sono arrivato davanti al mio parroco, lui mi ha dato l’ostia e mi ha fatto un sorriso, come a dire: a noi di queste cose non importa nulla. (Gli si bagnano gli occhi di commozione, ndr).

È favorevole alle unioni civili?

Sono favorevole a tutte le evoluzioni sociali che l’uomo ha saputo decodificare. Per esempio, credo che la prossima conquista della Chiesa dovrebbe essere l’abolizione del celibato per i preti. Si risolverebbero molte cose.

Mai un gossip sentimentale su di lei.

Ho avuto una fidanzata al liceo, una all’università, una alla radio, vent’anni con la mia ex moglie e poi la mia compagna attuale. Sono fermamente monogamo.

Però ha lavorato con molte donne.

Le più belle del mondo dello spettacolo, con cui ho sempre avuto un rapporto di amicizia. Ma ho evitato il cliché di quello che scappa con la valletta.

La più bella di tutte?

Non me ne vogliano le altre, ma credo che la più bella tra le belle con cui ho lavorato sia Martina Colombari.

Si parla da tempo di un suo ritorno a Radio Deejay e lo stesso Linus su GQ non lo ha negato.

Ho grande rispetto per la radio. Per farla bene, però, bisogna farla in diretta, e io ho troppi impegni televisivi. Tutte le volte che abbiamo provato a incastrare i nostri impegni non ci siamo riusciti. Con la vecchia banda di Deejay continuiamo a vederci, a cena, non con nostalgia, anzi, sempre parlando di progetti futuri.

Aveva annunciato a Vanity Fair che a 60 anni avrebbe smesso di fare tv.

Le mie parole sono state un po’ travisate. Avevo detto che dai 60 anni in poi avrei potuto iniziare a godermi il tempo, cosa che per trent’anni non ho fatto. Ritagliarne un po’ per me stesso, per le mie passioni. Ho appena firmato un contratto triennale, poi inizierò a pensare anche a me stesso. Che non vuol dire smettere, ma gestirsi in maniera diversa. Però vi chiedo una cosa: se a 80 anni mi lamenterò perché non mi fanno più lavorare, intervenite. Fate in modo che non accada.

 

(Nella foto Gerry Scotti)