Pubblicato il 13/11/2016, 14:01 | Scritto da La Redazione

Manuel Agnelli: «Ho fatto il coach in Bocconi e sono stato 5 anni senza tv. Però X Factor lo vinco io»

Tra le frasi ormai cult: «Vorrei che facessi qualcosa di meno circense»; «Non vi si può guardare».

 

Rassegna Stampa: Corriere della Sera, pagina 23, di Elvira Serra

 

«Ho fatto il coach in Bocconi e sono stato 5 anni senza tv

Però X Factor lo vinco io»

 

Il giudice-rivelazione del talent: cantare con Mina? È stato facile

 

 

Mirella, sua madre, ha fatto l’Accademia delle belle arti. «Era una pittrice di talento, poi scelse di fare la maestra». Il padre, Italo, era «una stella nel mondo del lavoro»: «Era presidente dell’Associazione commercio e turismo di Abbiategrasso. Quando avevo cinque, sei, sette anni mi portava con lui a Roma, ai convegni. Ricordo tante riunioni fatte a casa nostra, mi mettevo in un angolino e ascoltavo in silenzio». Forse è anche per questo che a dieci anni, mentre i compagni di classe si scambiavano le figurine, lui parlava di politica con Mauro, il compagno di banco: «Mio padre era un democristiano anarcoide, lui invece era figlio di un capostazione, ovvio che ne sapesse molto più di me». Quando rapirono Aldo Moro aveva 12 anni: «Ci sembrava impossibile e destabilizzante che neppure il presidente della Dc fosse al sicuro. Non c’era un bel clima, pensavo che non sarei mai stato felice». Dopo svariati anni a studiare il pianoforte senza troppo profitto («Non ero un genio»), la rivelazione arriva all’Istituto agrario «G. Bonfantini» di Novara: «Iscrivermi li è stata la cosa più coerente che ho fatto. Mi ero innamorato di una ragazza che lo frequentava. Se ci siamo fidanzati? Mai stati insieme, mi ero innamorato io e basta, lei no». La scelta, comunque, non fu inutile: «Devo a quei compagni conosciuti in prima superiore la sincerità creativa. Erano tutti figli di proletari che ascoltavano punk, mi hanno sconvolto la vita».

Giudice-rivelazione di X Factor La storia recente la conosciamo: Manuel Agnelli è il giudice rivelazione di X Factor 2016. Un ruolo che sembra tagliato su misura per lui, ma la verità è che la realtà ha superato la fantasia degli autori. Suoi sono i commenti più tranchant, sue le formule che lasciano pochi margini di speranza: «Sei antica»; «Tu non hai talento»; «Forse questo non è il tuo lavoro»; «Halloween è finito, questo pezzo è un orrore»; «Vorrei che facessi qualcosa di meno circense»; «Non vi si può guardare». Ma è anche capace di slanci sinceri: «E stato poetico, forte, originale. Siete stati eccezionali». Soprattutto, nei toni sempre asciutti, non c’è mai l’ombra della cattiveria. «E vorrei vedere! Quei ragazzi neanche li conosco. Bisogna saper scindere la persona dalla sua rappresentazione. E comunque sono qui per farli crescere. È il mio primo talent, ma non è la prima volta che faccio il coach: ho avuto esperienze nel mondo del marketing e della scrittura creativa, ho fatto stage alla Bocconi. Qui non vince chi arriva primo, ma chi dopo riesce a fare il mestiere del cantante». Seduto sul divanetto del suo camerino nell’X Factor Arena di Milano, Manuel Agnelli risponde a tutte le domande (tranne quella sul referendum), pure quando la cronista gli chiede incautamente se tinge i capelli («A David Bowie l’avresti mai chiesto? Comunque sì, da che avevo 17 anni, e lo faccio per gusto!»). Il risultato, condito da un pollo ai ferri e un riso in bianco mangiato non proprio in orario da pranzo, è una conversazione generosa e ricca che conferma l’ipotesi di partenza: Manuel Agnelli è vero, non fa finta. E ci mette il cuore. Collaborazioni illustri Stivali d’ordinanza, giacca beige, camicia nera, cinquant’anni (ben portati) di cui trenta da frontman degli Afterhours, chiarisce subito che il soprannome «Severus Piton», l’antieroe cinematografico di Harry Potter, lo annoia un po’. «Non è una novità, me lo diedero i Subsonica già nel 2004. La mia vecchia email aveva Piton nell’indirizzo. In certe foto io, Renato Zero, Piton e il cantante dei Nine Inch Nails sembriamo la stessa persona». Restano agli atti i premi ricevuti come autore e produttore, quelli come ideatore e organizzatore dei festival «Tora! Tora!» e «Hai Paura del Buio?», i dodici album più un disco live con gli Afterhours, il tour da 120 date all’estero del 2006, un Sanremo con Premio della Critica «Mia Martini» nel 2009 («Sono felice di essermi fidato di Paolo Bonolis») e collaborazioni raffinate. La più alta, forse, è quella con Mina, per due brani: Tre volte dentro di me e Adesso è facile. «Quando fece la cover del primo brano, nel 1997, mi propose di scrivere una canzone per lei, ma io avevo nei suoi confronti il blocco dello scrittore, temevo che la rifiutasse, ero insicuro. Sono dovuti passare dodici anni. Poi, un giorno, ai primi accordi ho pensato subito a lei: ho scritto musica e testi in due ore, e in genere sono uno lento. Quando sono andato a Lugano a portarle la versione per chitarra e voce, mi ha spiazzato chiedendomi di fare un duetto con l’arrangiamento degli Afterhours. Ero emozionato: “No, non voglio rovinare la canzone”. Ma lei mi ha galvanizzato e alla fine ho ceduto». Riassume quell’esperienza con una parola: «Facile». Di Mina ricorda la «grande semplicità»: «È una donna affascinante, molto in forma, sia fisicamente che per attitudine e curiosità, come se non si fosse ancora sfamata. Si capisce che la scelta di vita in Svizzera non è estetica. Gliela invidio molto, ma non me la potrei permettere: l’assenza può creare magia, immaginare ciò che non conosciamo è un atto di grande poesia». Vita privata Da quindici anni convive con Francesca, la compagna conosciuta in una vineria di Milano dove lei lavorava. «È appassionata di letteratura e io andavo li a leggere i libri. A un certo punto cominciai a tornare solo per rivederla. Pensava fossi un architetto, non mi conosceva, non era nel mondo della musica, e questo mi piaceva, anche se ci sta che la gente ti avvicini per quello che fai. Era gelosa, certo, e credo lo sia ancora. Però ha avuto l’intelligenza di capire che le persone sono fatte in un certo modo e di non volerle cambiare. Adesso fa la mamma e la casalinga ed è la mia stylist, ha un gusto pazzesco anche come arredatrice». Undici anni fa è nata Emma. «Fa disegni bellissimi, frequenta la scuola di fumetto e le medie musicali, suona il pianoforte e vorrebbe entrare nel coro. Ha molto talento per la parola, scrive poesie bellissime, merito della madre. La aiuto nei compiti, la interrogo: mi piace mettere le cose fuori ordine per vedere se ha assorbito davvero la materia o se ha imparato da scimmietta. A X Factor la porto volentieri: non voglio essere troppo protettivo, questo atteggiamento ha creato una generazione di arroganti e di falliti. Emma è diventata un po’ la mascotte del gruppo, ma capisce che c’è una separazione tra questo mondo e quello reale. Tenerla lontana le avrebbe fatto immaginare chissà quale regno dorato da raggiungere e invece adesso è consapevole che si tratta di un lavoro durissimo, con ritmi serrati e che richiede tanta professionalità». Nella loro casa di Abbiategrasso c’è pure Amir, levriero persiano di neanche due anni color champagne scuro, che «all’aperto fa 6o chilometri all’ora, ma poi dentro casa è un pensionato: non rosicchia i mobili, non ha odore, se ne sta buono». Suo è il latrato che si sente quando squilla il telefonino («È la mia fidanzata»). Con Amir guarda la tivù sul divano: «Per cinque anni siamo stati senza televisione, per non inebetirci davanti allo schermo. Ora, naturalmente, ho anche Sky. Mi piacciono gli approfondimenti sociali, per esempio Report: sono un fan della Gabanelli, ma spero di non incontrarla mai; significherebbe che sono finito in una delle sue inchieste. Non sopporto i programmi politici in cui ci si urla addosso. Mi piacciono i documentari e le serie tivù, su tutte Dexter e The Young Pope». La scoperta di sé ll nuovo album si intitola Folfiri o Folfox, i trattamenti antitumorali seguiti dal padre, scomparso due anni fa. «Ci ho fatto un disco apposta, per rendermi indipendente dal dolore. In certe comunità davanti a un lutto piangono e si strappano i capelli finché non sono di nuovo liberi. Noi musicisti riusciamo a sublimare i nostri stati d’animo. Credo però che si debba cominciare a chiamare le cose con Moro nome: cancro, per esempio; è idiota avere questi pudori, e non fa bene neppure ai malati». Ultima domanda: chi vince X Factor 2016? «Io». E ride davvero, con le labbra e con gli occhi. Perché il fattore X lo ha scoperto dentro di sé in queste settimane di prove, registrazioni e dirette tivù. «Il fatto di essere qui è per me una liberazione interiore, a livello personale, e mi sorprendo io per primo perché non credevo che mi sarei trovato così bene. Pensavo di essere un disadattato e invece mi sto divertendo tantissimo, sto stupendo me e chi mi guarda, do finalmente voce a un me stesso che prima non conoscevo tanto, più ludico. Del resto, ora ho l’età e la consapevolezza per sapere che le cose bisogna godersele».

 

(Nella foto, Manuel Agnelli)