Pubblicato il 11/11/2016, 15:35 | Scritto da Gabriele Gambini

Marco Cubeddu degli #estranei: Rifarei Pechino Express nonostante Silvia Farina

Marco Cubeddu degli #estranei: Rifarei Pechino Express nonostante Silvia Farina
Lo scrittore racconta a TvZoom l'esperienza vissuta nell'adventure game di Magnolia in onda su Rai2 ogni lunedì in prima serata. Parla della sua compagna di viaggio e del rapporto tra letteratura e televisione.

Marco Cubeddu: “Pechino Express somiglia a Cuore di Tenebra, romanzo di Conrad: c’è la parte incantevole del percorso e c’è la discesa negli abissi rappresentata dall’adrenalina della gara”

Hemingway diceva che si impara a scrivere scrivendo. Ma si può anche imparare a scrivere vivendo. Superando la narcisistica ritrosia di chi fa della narrazione delle vite altrui un mestiere, a imbrigliarsi nei meccanismi pop di un game show televisivo. Inserendosi tra autenticità del vissuto e finzione scenica, per scoprire che sono due facce della stessa medaglia perfettamente sovrapponibili. «Abituato a gestire i fili della narrazione di un personaggio dalle pagine dei miei libri, a Pechino Express sono stato costretto a interpretare me stesso come se fossi il protagonista di una storia su carta che si anima davanti alle telecamere di un reality», ridacchia lo scrittore Marco Cubeddu degli #estranei, caporedattore della rivista letteraria Nuovi Argomenti e autore di Con una bomba a mano sul cuore e PornoKiller (Mondadori)Il testo che si fa persona, la sua, e si confronta con «Un’esperienza di vita potentissima, disseminata di sorprese e di una trappola in carne ed ossa: la mia compagna di viaggio Silvia Farina, una divertente fregatura che mi hanno rifilato gli autori del programma. Con lei ho convissuto forzatamente, accettando di buon grado le regole d’ingaggio di un rapporto ingestibile».

Silvia Farina è davvero così ingestibile?

Mi hanno rifilato una sòla ma me l’aspettavo (ride, ndr). È stata l’unica parte fastidiosa di un viaggio che rifarei domani mattina. Ogni aspetto umano con lei è stato terribile. Un conto è interagire per qualche ora con un estraneo con cui non si ha nulla a che spartire. Un altro è conviverci ventiquattr’ore su ventiquattro per settimane. Gli autori di Pechino sono sadici. E fanno benissimo ad esserlo. Televisivamente la nostra coppia ha funzionato alla grande. Al loro posto avrei fatto la stessa cosa.

Come ha gestito il rapporto con lei?

Sono una persona dall’indole interiore conflittuale. Non sono un santo. Con Silvia ho imparato ad esserlo, perché la ricompensa data dal percorso è così ricca che vale la pena mettere da parte le tentazioni battagliere. Lei è stata l‘orrore di Kurtz, se Pechino Express fosse Cuore di tenebra, romanzo di Conrad.

Ecco. Stavo giusto per chiederle: se Pechino Express fosse un romanzo, quale sarebbe?

Cuore di tenebra si presta al raffronto. C’è la parte incantevole del percorso e la discesa negli abissi rappresentata dall’adrenalina della gara. C’è la generosità delle persone che ti ospitano lungo le tappe, la possibilità di guardarsi dentro. La scoperta che messinscena televisiva e autenticità del vissuto sono tutt’uno col racconto a disposizione del pubblico a casa. E poi, c’è il narcisismo di stare davanti alla telecamera. Adesso, alla mattina, la telecamera mi manca. Era come scrivere un diario senza bisogno di impugnare la penna.

Lei abitualmente scrive un diario quotidiano?

Scriverlo, o, più banalmente, prendere appunti sulla realtà circostante, è un modo per fissare le idee e per esorcizzare la paura della morte. La telecamera invece somiglia a una diretta Facebook: ti libera dall’incombenza di doverlo fare e ti fornisce comunque un racconto costante e dettagliato di te stesso. È bello e consolante a un tempo.

Rivedendosi di puntata in puntata, ha avuto qualcosa da eccepire sulla resa del montaggio, componente fondamentale di qualsiasi adventure game?

Ho scoperto che il montaggio non modifica la realtà di ciò che si vive nel gioco. C’è una verità di fondo in cui mi sono riconosciuto in tutto e per tutto. Il montaggio somiglia all’editing di un romanzo, ha un valore maieutico, ne alimenta la portata di fiction e allo stesso tempo ne puntella la verità emozionale. Pechino Express è sia spettacolo, sia autenticità. La vita è racconto della vita, il privato esiste solo nel pubblico, nella maniera più o meno riuscita che si ha disposizione per mostrarlo.

Che cosa ha scoperto, dopo aver partecipato a quest’avventura?

Che stare davanti alle telecamere solletica la mia parte narcisista. Ma starci dietro è ancora meglio. Nel senso che ho sviluppato una morbosa curiosità nei confronti del lavoro degli autori del programma. Confrontarmi con quel tipo di scrittura autoriale sarebbe stimolante.

Da caporedattore della rivista Nuovi Argomenti ha accettato subito di partecipare o temeva le reazioni negative di alcuni suoi colleghi?

Quando me l’hanno proposto ci ho pensato un po’ su. Non tanto per Nuovi Argomenti, in cui collaborano scrittori molto formati e di grande acume. Nomi come Dacia Maraini, Raffaele Manica, Giorgio van Straten, Alessandro Piperno, Emanuele Trevi, Leonardo Colombati, Elisa Casseri, Mario Desiati, Chiara Valerio, Sandro Veronesi, Edoardo Albinati. In generale, pensavo alle reazioni di un demi-monde intellettuale romano che darebbe un rene per apparire in televisione, poi però finge di snobbarla per giustificare la propria marginalità travestita da finto pensiero critico militante.

E alla fine ha accettato.

Sa che cosa ho pensato davvero? Che amo i miei libri più di qualunque altra cosa al mondo e farei di tutto per farli conoscere al più ampio numero di persone possibile. Grazie a Pechino ho iniziato a conoscere molte più persone di quante ne potrei incontrare alla presentazione di un romanzo. I libri, oggi, una volta pubblicati, godono di una vita brevissima. Andare in tv ti rende riconoscibile e, magari come effetto collaterale, può aiutare a rendere riconoscibile il tuo mestiere. Me ne sono accorto sui social.

Che è successo sui social?

Un mucchio di persone ha iniziato a cercarmi. Prima non era mai capitato in modo così costante. La tv ha creato un rapporto diretto con un’umanità che non conoscevo. Beninteso, un’umanità varia. C’è chi mi scrive per farmi i complimenti, chi per dire che acquisterà un mio libro. Chi per denigrarmi, addirittura qualcuno mi ha inviato delle foto del suo pisello, insultandomi perché non avevo risposto subito a un suo messaggio (ride, ndr). Mi sto rapportando con l’urgenza di comunicare delle persone.

Parliamo di qualche concorrente. I #coniugi hanno avuto qualche battibecco con gli altri.

Clizia ne ha avuti con le altre ragazze del programma. A lei e a Francesco voglio molto bene. Sono stato a cena a casa loro pochi giorni fa. Sono persone splendide. Ho legato molto anche con Lory Del Santo e con Marco. Farò un cameo in The Lady, la webserie di Lory. Il 19 novembre, a BookCity, presenterò il libro di quei due pazzi dei The Show.

Partecipare a The Lady è apologia del trash?

Me lo ha chiesto Lory Del Santo in persona. Icona del Drive In. Donna a cui, nella mia adolescenza, ho dedicato più di un pensiero. Perché avrei dovuto rifiutare? Per snobismo? In virtù di che cosa?

Qualche momento di Pechino che si porta dentro.

L’alba sul lago Atitlan, in Guatemala. Vissuta senza telecamere al seguito. 40 minuti mastodontici. Il cibo raccattato alla bell’e meglio. Per me l’idea di viaggio è quella. Spartana, non troppo confortevole. Già prima di partecipare al programma, mi hanno beccato in un paio di occasioni a Roma mentre mangiavo polpette di montone seduto sul marciapiede. Mi piace sperimentare.

Il momento peggiore?

Quando mi sono ritrovato immerso nel traffico delle città. Il traffico mi fa letteralmente impazzire. Ho urlato come se mi fossi trovato sulla Tiburtina all’ora di punta. Che, come ingorgo, è anche peggio.

Dunque le sarà dispiaciuto non essere arrivato fino in fondo.

C’è mancato poco, ma va bene così. Pechino non è solo competizione. Altrimenti i protagonisti sarebbero degli atleti.

Chi meriterebbe la vittoria?

I #socialisti e i #contribuenti. Sono competitivi, ma sanno divertirsi e godersi gli aspetti irripetibili dell’esperienza. Lory e Marco sono meravigliosi, ma sanno cogliere lo spirito del viaggio con un pizzico di efficacia in meno. Non me ne vogliano per questo commento.

Pechino rappresenta per lei una svolta?

Non credo sia un nuovo inizio. Rappresenta però una continuità con quanto già stavo facendo. Sto lavorando a un romanzo in cui il protagonista è uno youtuber che racconta ciò che fa. Ha una storia d’amore con un’inviata di guerra e il loro rapporto si intreccia con la messinscena di se stessi come figure di rilevanza mediatica. Pechino mi ha aiutato a trovare suggestioni impreviste. Poi c’è Nuovi Argomenti, di cui sono un umile portavoce. La cosa più seria che mi sia mai capitata nella vita.

Tornerebbe in tv con un altro ruolo?

Qualche giorno fa, un mio amico mi ha detto che cercano tronisti per Uomini e Donne. Vorrebbe fare il mio nome (ride, ndr). Gli ho risposto che ci andrei solo per una valanga di soldi, consapevole del fatto che non me li darebbero mai. Dunque farei tv per due sole ragioni: o per una cifra irragionevole, ma siamo nel campo del paradosso, o per rifare un’esperienza figa come Pechino Express.

E ci andrebbe perché è un narcisista.

Chi di mestiere prova a scrivere è un grande voyeur, interessato a carpire esperienze. Prendiamo Flaubert: a lui interessava il gossip delle Madame Bovary di turno, è indubbio. Ma chi scrive è anche esibizionista ed arrogante. Vuole mettersi in mostra. Altrimenti non scriverebbe. E per arrivare a pubblicare, di solito, compie un percorso faticosissimo. Io ho passato anni alla Fiera del Libro di Torino, cercando di sottoporre i miei manoscritti ad addetti ai lavori che fingevano interesse, ma sui loro occhi era dipinto il terrore.

Quindi lo scrittore è anche paraculo.

Si può essere paraculi raccontando comunque qualcosa di vero, non crede?

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Marco Cubeddu)