Pubblicato il 07/11/2016, 17:35 | Scritto da Gabriele Gambini
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Alberto Rossini, Yam112003: Stiamo pensando a format sulla vita di coppia e su quella familiare

Alberto Rossini, Yam112003: Stiamo pensando a format sulla vita di coppia e su quella familiare
L'head of content della casa di produzione racconta lo sviluppo di "Mothers-mamme allo specchio", format in onda su LA5 al mercoledì sera. E anticipa qualche progetto per il futuro.

Alberto Rossini: “Dopo Mothers-Mamme allo specchio, branded content realizzato con Ferrero, sarebbe interessante realizzare Fathers, trattando lo stesso argomento dal punto di vista maschile”


TvZoom
ha incontrato Alberto Rossini, head of content di YAM112003, società del Gruppo Endemol Shine che fa da ponte tra la vecchia tradizione televisiva e la comunicazione della nuova era digitale, dando un’identità e un linguaggio riconoscibili alle proprie produzioni. In particolar modo, puntellando l’efficacia dei branded content. L’ultimo realizzato in ordine di tempo, con Ferrero-Kinder Cereali, ha portato al docu-talk Mothers – mamme allo specchio (su La5 ogni mercoledì in prima serata). Adattamento di un format israeliano, racconta il vissuto di quattro donne che si ritrovano in uno studio per rivedersi e confrontarsi sulle rispettive esperienze di madri e lavoratrici, dopo essere state filmate nel loro quotidiano domestico e professionale.

Il punto di partenza è il format israeliano di cui Mothers è l’adattamento.

Il programma italiano non è lontanissimo da quello israeliano. Qui le mamme raccontate sono quattro, lì sono sei. La durata standard italiana delle puntate è inferiore rispetto a quella del format originale, ma ci sono parecchie analogie nel trattare i contenuti.

Secondo punto. La ricerca condotta da Ferrero sulla condizione delle madri-lavoratrici, al centro dello sviluppo del branded content.

Il tema della ricerca condotta da Ferrero sulla condizione femminile ha prodotto dati che presentano corrispondenze inequivocabili col programma. Ne è emerso un ritratto molto sincero. Di solito noi lavoriamo su format originali, in questo caso lo stimolo è invece arrivato da un altro aspetto: è un docureality con un’interazione costante tra le protagoniste. Spesso, in questi format, i singoli racconti rimangono delle monadi a se stanti. Qui c’è un confronto articolato, ma senza forzature.

Da dove siete partiti, per strutturare il programma?

Poca scrittura, tanto lavoro di casting, durato circa tre mesi. Abbiamo cercato quattro storie diverse tra loro. Madri con vissuti differenti per professione, numero di figli, contesto di provenienza. È stato interessante inserire anche una persona lontana dallo stereotipo della mamma italiana, Sunjin. Ha contribuito a costruire ritratti universali partendo dal particolare.

In cosa Mothers si discosta dal classico branded content in cui il marchio è solo un supporto?

Ci sono vari tipi di operazioni di branded content. Alcune buone, altre più superficiali. Questa è organica al format, perché inserita in una progettualità ampia, che parte da una ricerca sociologica e arriva a una narrazione riconoscibile. Ci sono la vicinanza tra il brand e le mamme, l’operazione di girato e montato, in cui ciascuna madre è stata filmata da una troupe leggera per tre giorni, e la totale corrispondenza tra girato e messa in onda.

Questo tipo di prodotti possono inserirsi nel solco del servizio pubblico?

Di certo si può osservare come il format contribuisca a creare un senso di immedesimazione tra spettatori e protagoniste. Raccontando dinamiche quotidiane in cui molti possano riconoscersi.

Siete intervenuti in sede di montaggio o di scrittura per evitare cadute nel cliché o per rimpolpare eventuali nodi della narrazione?

A noi interessava soltanto mettere in scena la vita delle quattro donne con massima aderenza all’autenticità. Dunque non abbiamo insistito su nessun tasto particolare. Tanto meno abbiamo forzato i comportamenti. La presenza delle telecamera era leggera, dopo qualche ora diventava impercettibile. In più, l’eventuale lato edonistico delle protagoniste era assente, perché non è stato il desiderio di visibilità ad averle convinte a partecipare ai casting.

Che cosa avete riscontrato nel momento del confronto tra le protagoniste nella white room?

Tanta solidarietà. Nessun confronto aspro. Nonostante scelte individuali diverse, è emersa la volontà di fornire un supporto vicendevole.

I mariti, in Mothers, sono stati una componente essenziale?

In alcuni casi hanno fornito un supporto decisivo. In altri meno. Sarebbe interessante pensare a un format intitolato Fathers, trattando lo stesso argomento dal punto di vista maschile. Ci sarebbero molti stereotipi da saggiare e verificare sull’universo degli uomini.

Pensa che Fathers incontrerebbe più resistenze da parte dei protagonisti?

Non credo che il casting sarebbe più impegnativo. Gli uomini forse sono più protettivi verso le loro verità ma lavorare su una docu fornisce il vantaggio di una costruzione dell’autenticità che sfrutti un progressivo abbassamento degli scudi da parte dei protagonisti.

Su questo versante, state elaborando altre idee?

Stiamo lavorando a uno speciale per Rai2, facendo leva sul filone dei docu legati alla realtà di coppia e a quella familiare.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Alberto Rossini)