Pubblicato il 03/11/2016, 13:34 | Scritto da La Redazione
Argomenti:

Giancarlo Leone: Rimpiango Giovanni Floris in Rai

Giancarlo Leone: “Flop a chi? Conosco la Rai e per cambiarla ci vuole tempo”

Rassegna stampa: Panorama, pagina 67, di Antonella Piperno.

Con un terzo dei palinsesti rivoluzionati “ci sta che cinque programmi non rendano”. Il direttore Giancarlo Leone contrattacca. Annuncia nuove mosse. Ma rimpiange Floris.

Ogni settimana, in Rai, il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto convoca le venti persone (direttori di reti, responsabili della fiction, del cinema, della produzione, dei palinsesti…) che compongono il «comitato editoriale». Insieme esaminano i dati di ascolto, commentano, pianificano e non c’è volta che il dg non ripeta, come un mantra: «Ora pensiamo a innovare, non dovete preoccuparvi dei cali di share». Analizzando gli ascolti e la loro controversa centralità nel servizio pubblico («Mica lo accontentiamo sempre, il dg…», scherza) questo racconta a Panorama Giancarlo Leone, dirigente di lungo corso (è in azienda da 33 anni), che ha diretto di tutto e oggi è a capo del coordinamento editoriale dei palinsesti. Nel suo ufficio in viale Mazzini, proprio nello stesso giorno del lancio da parte del forzista Maurizio Gasparri del comitato Difendiamo la Rai che punta a salvarla «da Campo Dall’Orto e dal tracollo», Leone puntualizza: «Ora siamo attenti soprattutto all’innovazione, ma questo non significa che lo share basso sia la nostra tendenza. Anzi».

Sta minimizzando gli ultimi flop?

Quando si cambia il 30 per cento dei palinsesti di settembre-maggio, con 60 nuovi titoli, ci sta che quattro o cinque non funzionino. È il prezzo che si paga a un rinnovamento mai visto in Rai, ed è sbagliato focalizzarsi sui programmi che soffrono e non sull’offerta editoriale nel suo insieme. E comunque quest’anno noi chiuderemo con una crescita.

Davvero?

I telespettatori ci sono, tanto che le stime relative al «prime time» del 2016 segnalano una crescita dello 0,5 per cento rispetto al 2015. Un risultato importante, vista la trasformazione radicale del consumo tv negli ultimi dieci anni, con le tv non generaliste che prima assorbivano il 12 per cento degli ascolti e ora il 39.

Il flop del nuovo Dieci cose, nel sabato sera di Rai 1, pesa però come un macigno. Dopo la messa in onda dell’ultima delle quattro puntate registrate che cosa succederà?

Immagino che la rete non lo riproporrà. Ma Dieci cose rappresenta l’unico vero neo di Rai 1. Domanda: perché si parla solo di quello e non dei successi delle «serate evento», a partire da quella con Roberto Bolle e Renato Zero e dei tanti nuovi prossimi format da cui ci aspettiamo molto, come Nemiche amatissime con Lorella Cuccarini e Heather Parisi?

Forse perché Dieci cose è un’idea di Walter Veltroni. Il mondo politico preme per conoscere il suo compenso.

È sbagliato chiederlo a noi. La domanda va girata a Magnolia, la società che produce il format e cui noi versiamo un compenso. Comunque non vedo proprio il vulnus. Se un politico diventa regista e scrittore, non capisco perché si debba criticare lui e le tv per cui lavora.

Visti gli ascolti, l’azienda rinuncerà anche a Nemo nessuno escluso di Rai 2?

Nemo non si tocca. Rappresenta un nuovo modo di fare informazione, con i suoi video e il suo linguaggio, segna un cambiamento profondo rispetto al talk classico. Sta viaggiando sotto i risultati di rete, ma analisi di marketing prevedono che ci darà grandi soddisfazioni. E comunque Rai 2 è protagonista di un profondo cambiamento del campo del docu-entertainment-reality.

Cioè?

Ancora dobbiamo vedere il meglio. Stanno per partire Il collegio, Mika show, un nuovo programma sul bullismo. E il venerdì, con l’esordio di Rocco Schiavone, diventa il giorno della fiction. Le somme vanno tirate più in là, le critiche di oggi sono pretestuose.

Però Rai 2 deve vedersela con il flop di Sunday tabloid. Che ne sarà del rotocalco domenicale delle 19?

Il programma di Annalisa Bruchi sconta il fatto di essere nato da un progetto diverso, più politico che economico, pensato per Nicola Porro, che se ne è andato a Mediaset. Ilaria Dallatana (da febbraio direttore di Raie, ndr) lo porterà presto in seconda serata.

E a Politics, il nuovo ma deludente talk-show di Rai3, che cosa accadrà?

Il direttore di rete Daria Bignardi ha detto che andrà sicuramente in onda per tutto il periodo della campagna referendaria. Non ha anticipato né chiusure, né prosecuzioni.

Eppure vi aspettavate molto, tanto da rottamare Ballarò e il suo conduttore Massimo Giannini. Che cosa è andato storto?

Le nuove formule possono essere di successo o meno. Secondo me la madre di tutti i problemi è aver perso due anni fa Giovanni Floris, e con lui Maurizio Crozza. Ballarò era il primo format di Rai3, quello su cui aveva investito tutto. Il mio rimpianto è lui, il problema nasce da lì. E comunque Rai3 ci sta dando altre grandi soddisfazioni.

Quali?

Rischiatutto, innanzitutto. Non era scontato che andasse su Rai 3 anziché su Rai 1 e nella prima puntata ha raddoppiato il dato di ascolto del giovedì, e senza incidere sulle altre reti Rai. La rete della Bignardi, quella che partecipa più delle altre al cambiamento, aspetta anche l’esordio dei programmi con Virginia Raffaele e Filippo Timi e sta meritoriamente dedicando il venerdì sera al cinema italiano. Con titoli coraggiosi come Anime nere.

Ma non è un errore sperimentare nelle fasce orarie di maggiore ascolto?

Non innovare nel prime time significherebbe ingessare i palinsesti. Il vecchio sabato sera di Rai 1 (Ti lascio una canzone) si era consumato: il pubblico a lungo andare si satura, come è successo con Affari tuoi che da marzo si riposerà a favore di un altro programma. Perfino un format di successo come Tale e quale show tra qualche anno andrà rinnovato.

 

(Nella foto Giancarlo Leone)