Pubblicato il 08/09/2016, 19:32 | Scritto da Gabriele Gambini
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Antonello Colonna: visito hotel da incubo, ma l’Italia ha i mezzi per realizzare sogni

Antonello Colonna: “Ho incontrato titolari di hotel che, quando il cliente si lamentava, gli rispondevano: ‘Che pretendi per 50 euro?’. Li ho presi per le orecchie e strigliati”.

La crisi? L’euro che fotte la nostra economia? «Balle. O, al massimo, scuse. La Grecia si sta rimboccando le maniche dopo aver imparato la lezione di ospitalità della storia alberghiera italiana. Risultato: oggi Santorini e Mykonos attirano turisti come faceva Rimini anni fa». I nostri giovani, volonterosi ma schiacciati dalle poche possibilità? «Le nuove generazioni devono smetterla di dormire sugli allori, devono inventare idee, prendendo schiaffi dai pesi massimi, se necessario. Ho incontrato giovani albergatori che si sono letteralmente mangiati l’eredità dei loro genitori. L’Italia ha fondato l’imprenditoria turistica nel mondo, non teme nessuno. Bisogna stare al passo coi tempi, non scordando il passato». L’ospite da sogno, da invitare nel suo Resort a cinque stelle a Labico, nei pressi di Roma? «Se fosse vivo, Hemingway. Gli cucinerei il piatto più popolare del pianeta: l’amatriciana».

Chef Antonello Colonna è tornato a raddrizzare le sorti degli italici hotel scalcagnati. Con la sua carica di sapienza aristo-anarchica e pragmatismo, con le sue risposte che aprono finestre semantiche. Raccontate nella seconda stagione di Hotel da Incubo (da giovedì 8 settembre in prima serata su Nove, in una produzione Endemol Shine Italy).

Da nord a sud. Dal Veneto alla Calabria. Gli incubi alberghieri non le hanno fatto dormire sonni tranquilli.

Le ragioni alla base dei miei interventi sono le stesse della scorsa edizione: igiene approssimativo, mancanza di rinnovamento causata dalla pigrizia dei titolari, poca attenzione al particolare estetico che fa la differenza. Ma anche scarsa predisposizione all’entrare in empatia col cliente.

Siamo nell’era web. Quanto conta la rete per promuovere un’attività?

Te lo dice uno che all’inizio non credeva nell’utilità del web. Internet oggi conta al 100%. Bisogna mettere a budget iniziative di promozione in rete. L’attività di revenue, di brand reputation, la popolarità e le valutazioni si fanno con Booking, con Trip Advisor. Non si scappa. Il mio resort funziona bene anche grazie a questo aspetto, l’ho sperimentato sul campo.

La rete vi è servita anche per selezionare gli alberghi da visitare in questa nuova stagione?

Alcuni hotel che mostreremo nel corso delle puntate sono stati scelti in virtù di recensioni pessime su TripAdvisor e su siti analoghi. Ci siamo regolati anche in base a quello.

Qualche aneddoto che le è rimasto impresso?

Penso alla scorsa stagione, quando ho incontrato il portiere di notte di un hotel situato a poca distanza da un aeroporto che si scordava di svegliare i clienti all’orario giusto per prendere l’aereo. Oppure, tentava di accompagnarli a Malpensa, ma il cancello del parcheggio della struttura si chiudeva prima e rimanevano intrappolati, perdendo tempo prezioso.

E questa volta?

Mi hanno colpito due paciosi giovanottoni veneti che hanno ricevuto in eredità dai genitori una struttura dalle grandi potenzialità, a due passi da un bacino turistico come Venezia. Per leggerezza e per scelte sbagliate hanno sperperato un patrimonio.

La crisi, si dice.

La crisi c’è, ed è diversa da quelle che capitavano negli anni ’60 o ’70, perché è una crisi strutturale, destinata a durare a lungo termine. Per questo bisogna reinventare il mondo dei servizi, l’offerta e la proposta. Ho costruito il mio resort nell’anno 2011, periodo funesto sul piano della congiuntura economica. Ma sono riuscito a farlo camminare spedito. Perché non si scappa: la costruzione di una fortuna imprenditoriale parte dall’attenzione ai dettagli.

Un dettaglio imprescindibile per iniziare col piede giusto?

Il modo di trattare il cliente. Ho incontrato titolari di piccole strutture alberghiere che, di fronte alle lamentele di qualche ospite, rispondevano: “Ma per 50 euro a notte, che cosa vi aspettavate di trovare?”. Li ho presi per un orecchio, portati in disparte e fatto una lavata di capo. Se il prezzo è di 50 euro, bisogna offrire al cliente servizi per 51 euro.

La fa facile lei, titolare di un resort stellato.

La categoria dell’hotel non conta in questo ragionamento. I servizi offerti devono garantire sempre qualcosa in più rispetto alle aspettative del cliente. Così si crea l’empatia. A prescindere dal livello. Altro esempio pratico: orari e limitazioni. Perché una colazione può essere servita solo entro le 10 di mattina?

Le iscrizioni nelle scuole alberghiere fioccano. Significa che c’è attenzione al mestiere e c’è voglia di imparare.

Ben vengano. Ma non basta. Se gli iscritti alle alberghiere surclassano quelli del liceo classico, significa che si sta perdendo la portata umanistica della nostra tradizione. E la qualità dei servizi ne risente.

Noi italiani siamo un po’ pelandroni?

Gli italiani devono tenere a mente che sono i fondatori della cultura turistica nel mondo. Pensate ai grandi film: quando si presenta un personaggio nel ruolo di maître o di concierge, lo si fa muovere nella realtà della costiera amalfitana. Il paesaggio del nostro Paese è la nostra unicità e la nostra forza. Torniamo a tutelarlo, a ricostruire quello che, con una certa retorica, chiamiamo “immaginario collettivo”.

La tv gioca un ruolo chiave in questo?

La tv è fondamentale. Canali rock’n’roll come Nove, quando parlano di gastronomia, attirano l’attenzione sulle nostre tradizioni. La nostra cucina non deve farsi contaminare troppo dai trend esterni, ha potenzialità per reinventarsi mantenendo intatta la propria identità. Andando però oltre la dimensione spettacolare dei talent show, perché la carriera di un cuoco si costruisce a piccoli passi. Con fatica.

Sono cambiati i turisti, nel corso degli anni?

La Grecia ci sfida sul nostro stesso terreno e diventa un richiamo per una certa borghesia internazionale che un tempo sceglieva l’Italia a occhi chiusi. Penso al turismo americano: in Italia arrivavano texani, newyorkesi, californiani. Oggi siamo meta prediletta di un turismo anziano, di riposo. Ma possiamo recuperare. Rimini non aveva niente da invidiare a Santorini. Però ci sono stato di recente e l’ho trovata irriconoscibile. La parola d’ordine deve essere: creatività e attenzione all’evoluzione dei tempi. Senza perdere il contatto con le radici.

L’ospite che inviterebbe nel suo Resort stellato è Hemingway. Ma, a meno di sedute spiritiche, sarà dura.

E di Hemingway non se ne incontrano tutti i giorni così facilmente (ride, ndr). Però sarebbe bello: gli cucinerei un’amatriciana fatta come Cristo comanda. Pecorino romano, pomodori peperoncino e un bel guanciale. La cucina è come la musica: le note sono sempre sette, il segreto è armonizzarle a dovere. L’amatriciana è il piatto più famoso del mondo, il nostro sponsor a livello internazionale. Ricordiamocelo. Non solo nei momenti di tragedia.

 

Gabriele Gambini

 

(Nella foto Antonello Colonna)