Pubblicato il 01/08/2016, 19:01 | Scritto da Gabriele Gambini

Luca Busso, autore Magnolia: Top Chef su Nove e MasterChef

Luca Busso, autore Magnolia: Top Chef su Nove e MasterChef
Una chiacchierata con un membro del team creativo della casa di produzione svela alcuni retroscena del nuovo talent in arrivo in autunno su Nove, oltre che spiegare alcune caratteristiche del mestiere di autore.

Luca Busso, autore e montatore Magnolia: “In un talent show gastronomico non scriviamo un copione prestabilito per attori, ma aiutiamo i partecipanti a far emergere aspetti autentici del loro essere”

Sfruttare la complessità di una narrazione multilivello, orientandola verso un racconto con caratteristiche simili a quelle di una serie tv ma che, a differenza di una serie tv, ha le sue prerogative nell’autenticità e non nella fiction. È la mission editoriale di un autore di un talent show gastronomico, formato tra i più esposti nella televisione di oggi, e la spiega nel dettaglio Luca Busso di Magnolia. Forte di una militanza pluriennale nel team creativo di Masterchef Italia e di Hell’s Kitchen Italia, Busso è oggi impegnato nella realizzazione della prima edizione nostrana di Top Chef, in autunno su Nove (qui la presentazione del programma).

Prima osservazione che farebbero i maligni: Top Chef non si discosta più di tanto da Masterchef.

Se vogliamo dire che sono entrambi cooking show e che entrambi prevedono sfide di gastronomia, una comunanza c’è. Ma l’approccio al racconto e i contenuti stessi sono molto diversi.

Parliamone.

Innanzitutto Top Chef non prevede sfide tra dilettanti che fanno della cucina un hobby, ma tra professionisti di alto livello, con riconoscimenti professionali acquisiti sul campo. Sembra poco, ma significa già partire da presupposti differenti, che influiscono sull’ideazione e la gestione della gara e delle prove. Significa cambiare i criteri alla base del rapporto tra giuria e concorrenti: meno subordinazione e più confronto competitivo paritetico. Accanto a questo, il programma prevede diversi ambienti inediti, e un focus mai visto prima d’ora sull’impatto visivo dei piatti. È un’autentica sfida di alta cucina.

La giuria vanta quattro nomi stellati poco conosciuti al grande pubblico generalista. Con quale criterio li avete selezionati e che cosa è stato fatto per renderli riconoscibili?

Le operazioni di casting sono state molto lunghe, sia per quanto riguarda la giuria, sia per i concorrenti. I giudici sono stati scelti, oltre che per le loro credenziali, assecondando due criteri: spontaneità e complementarietà di saperi. C’è una grande signora della cucina, Annie Feolde, che all’esperienza aggiunge anche il suo essere una chef stellata donna. Ci sono Mauro Colagreco e Moreno Cedroni, con una visione della cucina del tutto inedita rispetto a quanto visto da nomi già noti. E Giuliano Baldessari, piuttosto giovane ed energico, che aggiunge una componente passionale al mix. Lo stesso si può dire per i concorrenti: per funzionare devono essere spontanei e riconoscibili.

Essere riconoscibile significa avere doti sopra le righe? O è compito di un autore, costruire attorno a un personaggio quelle caratteristiche che lo portino a svolgere un ruolo preciso in un contesto narrativo?

Una caratteristica universale dei talent gastronomici è il bilanciamento tra narrazione orizzontale e narrazione verticale. Noi autori, attraverso la stesura delle linee guida con cui viene organizzata la sfida, permettiamo ai protagonisti di far emergere la loro personalità davanti alla telecamera. Diamo una linea di indirizzo, attraverso la quale si sviluppa il rapporto tra sfidanti e giurati. Poi il grosso del lavoro è fatto in fase di montaggio.

Che succede in fase di montaggio?

Vengono selezionati gli aspetti omogenei e riconoscibili di quanto avvenuto sul set, i tratti distintivi più marcati di ciascun protagonista, i colpi di scena dettati da reazioni inaspettate o capovolgimenti di fronte. Il tutto è assemblato per garantire una narrazione fluida e coerente. Come se fosse una serie tv. Con la differenza che non scriviamo un copione prestabilito per degli attori, ma aiutiamo i partecipanti a far emergere aspetti autentici del loro essere.

Vi è mai capitato di spingere un membro del cast ad avere reazioni diverse da quelle che avrebbe avuto spontaneamente?

Mai, né tra i giurati, né tra i concorrenti. Non esistono forzature. Il compito autoriale è pungolare il cast, provocandolo nel modo giusto. Per determinare quelle condizioni che portino ciascuno a mostrare lati di sé autentici. Per questo, un cooking show non potrebbe funzionare senza un montaggio accurato.

Quale può essere la difficoltà maggiore per l’esordio di Top Chef?

Se Masterchef è ampiamente conosciuto sia nel meccanismo, sia nei protagonisti, il lavoro più difficile di Top Chef è stato imbastire un racconto capace di presentare gli aspetti più importanti del cast e della gara sin dalla prima puntata. Dobbiamo far conoscere da subito al pubblico chi sono i giudici e che personalità hanno. Vale anche per i concorrenti.

Top Chef nasce in America. In Francia è un programma di culto. Difficoltà nell’adattarlo per l’Italia?

Un certo modo di intendere l’alta cucina è peculiarità francese. Abbiamo pensato dunque di mantenere inalterato l’approccio tecnico elevato della cultura gastronomica transalpina, aggiungendo l’asso nella manica tipico dell’italianità: il rapporto con la materia prima e le sue specificità regionali. Come ho detto, l’impatto visivo dei piatti sarà qualcosa di davvero mai visto.

Pensando al passato. Se si ha a che fare con concorrenti dalla personalità dirompente come una Rachida, Masterchef insegna, il vostro lavoro risulta più facile.

Non è detto. Una delle caratteristiche dei Masterchef prodotti da Magnolia è stato il colpo di scena inatteso. Spesso hanno vinto personaggi che al pubblico risultavano davvero antipatici, pensiamo all’anno in cui vinse Tiziana Stefanelli. O alla distanza sono rimasti nell’immaginario personaggi dai tratti iniziali low profile. Il casting si allestisce sulla base di caratteristiche anche comportamentali, poi tutto è lasciato al fluire spontaneo della narrazione.

I cooking show da tempo hanno in appalto parte della narrazione televisiva italiana. Perché?

Premessa: negli anni è stato un formato declinato davvero in tanti modi diversi. Sul perché funzioni, do una risposta facile: è un filone nato all’estero molti anni fa, in Italia è giunto successivamente, ma ha saputo sfruttare le radici profonde, territoriali e passionali, del rapporto tra l’italiano medio e il cibo. Non esiste al mondo un Paese con specificità regionali gastronomiche così marcate come il nostro. Ciò fornisce un patrimonio di idee quasi inesauribile.

Quanto conta per un autore il parere del pubblico su un format, magari via social, da edizione a edizione?

Non più di tanto, in fondo. Mi spiego. Leggiamo spesso i commenti sui social e prendiamo nota di quelli più interessanti. Ma ciò che veramente ci tiene desti sono le curve Auditel. Dicono tutto. Interpretandole a dovere, specie nei minuti di flessione d’ascolto, si capisce dove andare a parare.

Quale altro formato si sta imponendo all’attenzione più degli altri in quest’era tv?

Il dating show sta tornando alla ribalta, pur avendo un respiro più corto. Penso a Undressed, ma non solo. Ha delle prerogative autoriali più facili del cooking, una racconto semplice. In quel caso, è sufficiente saper creare un ambiente narrativo efficace. E lasciare che i protagonisti, selezionati secondo criteri di rappresentazione della realtà contemporanea, agiscano liberamente.

Lei lavora per Magnolia. Saprebbe indicare i tratti distintivi che rendono i vostri prodotti riconoscibili?

Così, su due piedi, direi il confezionamento del prodotto e la capacità di sperimentare ritmi e linguaggi inediti. Dal montaggio all’uso degli stacchi, che, per esempio, in Masterchef erano molto frequenti e sulle prime avrebbero potuto far storcere il naso. La vera difficoltà non sta tanto nello sviluppare un’idea vincente sul piano della scrittura. Ma nel saperne assemblare le parti per renderla riconoscibile sullo schermo.

 

Gabriele Gambini

 

(Nell’immagine la locandina di Top Chef)