Pubblicato il 20/07/2016, 12:32 | Scritto da La Redazione

Antonio Campo Dall’Orto: Ecco la scuola della Rai

Antonio Campo dall’Orto: “Un’accademia per formare tutti i dipendenti della Rai”.

 

Rassegna stampa: Il Messaggero, pagina 11, di Mario Ajello.

Il direttore generale di viale Mazzini a un anno dall’insediamento: “Il progetto si chiama Rai Academy, investiremo 15 milioni di euro. Per restare forti bisogna essere aggiornati”.

La cabina di comando della Rai, cioè la stanza di Antonio Campo Dall’Orto al settimo piano di Viale Mazzini 14, è un luogo asettico abitato da un uomo appassionato. Cercare di capire tramite un quadro, un ninnolo, un libro appoggiato sulla scrivania, quale sia il gusto personale e il progetto culturale del direttore generale della tivvù pubblica, è quasi fatica sprecata. Ecco però, in bella mostra, il pupazzo di Dart Fener, quello di Guerre stellari. «Rappresenta il senso della sfida», dice CDO, come viene chiamato in short form Campo Dall’Orto.

Dunque lei è un cattivo come Dart Fener?

«Macché. Questo pupazzo mi è stato regalato dalla Disney, con cui la Rai è partner da tanti anni. Ho trovato simpatico questo dono perché in tutti i lavori difficili bisogna ricordarsi che si combatte anche contro il “lato oscuro della forza”. Non sono certamente io Dart Fener».

Lei la guida da un anno. A che punto è la costruzione della nuova Rai?

«Abbiamo fatto molte cose. Credo fortemente all’idea della semina prima del raccolto. Probabilmente perché sono nato nel Veneto laborioso. Le faccio un esempio: appena arrivati qui, abbiamo cominciato il percorso verso la media company, la Rai aveva su questo terreno un ritardo decennale. Bene, tre settimane fa, in occasione di Italia-Svezia abbiamo raccolto quasi 3 milioni di persone su pc, tablet e smartphone. Battendo il record italiano su Internet per la visione di un evento unico, anche grazie alla nostra app sugli Europei. Le posso citare un altro dato. Nelle prime sei puntate sull’uso di Internet, Nino Frassica con il programma Complimenti per la connessione è stato visto complessivamente da 13 milioni di persone».

Sono due esempi di nuovo servizio pubblico?

«Sì, e sono il frutto di un grande lavoro di tantissime persone».

Però, nei nuovi palinsesti, non potevate innovare di più?

«Certo si può sempre fare meglio. Però, palinsesti nuovi per il 33 per cento non si sono mai avuti finora».

C’è chi vi ha rimproverato, nella Rai che vuole parlare ai giovani, il ritorno di Pippo Baudo o di Michele Santoro.

«Tradizione e innovazione devono camminare insieme. La nostra missione è quella di essere un servizio pubblico universale, che parla a tutti. A chi non ci segue ma anche al nostro pubblico tradizionale: l’innovazione non deve dimenticare l’inclusione».

Ridurre di numero i talk show che cosa significa?

«I talk show si sono consumati anche per eccesso di auto-referenzialità. Nella Rai della prossima stagione ci saranno più immagini fuori, e intendo dire più immagini del Paese reale, e meno scontro di parole. Più reportage e meno politici che parlano tra di loro, in un contesto che non facilita la comprensione da parte dei cittadini. Noi, alla luce di tutto questo, stiamo cercando di capire se esiste una nuova formula, più attrattiva, di talk show per raccontare la nostra società».

Il talk show morbido al posto del talk show polemico?

«La nostra volontà non è questa. È quella di fare un talk show più breve, più denso, più serrato e anche più politico».

La massa di soldi del canone in bolletta a che cosa vi servirà principalmente?

«Sentiamo molto la responsabilità di meritarci il canone. Che dovrebbe portarci più risorse legate al recupero dell’evasione. Detto questo, come possiamo dare di più alle persone? Su due piani. Quello dei contenuti e quello dei servizi. E quest’ultimo è molto legato alla tecnologia. A settembre lanceremo RaiPlay, la nuova app dove raccoglieremo tutti i nostri contenuti tivvù e radio per tutte le piattaforme, facilmente accessibili a tutti. E c’è l’importantissimo progetto di Rai Academy».

Di che cosa si tratta?

«Per riuscire a innovare così tanto, abbiamo bisogno che tutta l’azienda sposi questa discontinuità verso la media company. Quindi lanciamo un grande piano di formazione per tutte le persone che lavorano in Rai. La prima cosa che un’azienda deve fare è aggiornare professionalmente le persone. Non è sufficiente dire: veniteci dietro. Negli ultimi dieci anni, o forse di più, non c’è mai stato un progetto così ampio e di cambiamento come Rai Academy».

In che cosa consiste, praticamente?

«Verrà fatta una formazione sia teorica e ci assoceremo alle maggiori università italiane e in prospettiva anche straniere, oltre che sulle strutture che già abbiamo come la scuola di Perugia sia sul lavoro. Faremo da un lato una formazione molto diffusa, e dall’altro lato una formazione più specialistica e di alto livello».

Quanti sono i soldi che investite in questo progetto di cultura professionale e di innovazione dei saperi?

«L’azienda prima deve mappare le competenze, da qui a dicembre prossimo. Poi avvieremo il piano triennale di formazione, nel quale andremo a mettere una somma ingente: 5 milioni di euro all’anno. In un triennio, crediamo di arrivare, con i due tipi di formazione, fino alla metà della popolazione che lavora in Rai».

Qual è il messaggio ai dipendenti: siete superati nel mondo tecnologico e vi conviene aggiornarvi?

«No. Il messaggio è un altro. La Rai Academy è un incentivo a investire su noi stessi. Così che la professionalità di ognuno possa valere oggi, domani e dopodomani in un mondo dei media che cambia continuamente. Per rimanere forti, bisogna riuscire ad essere costantemente aggiornati. Noi miriamo a fare emergere, attraverso questa iniziativa fondamentale, tutto il valore che c’è nell’azienda. Rai Academv servirà a formare anche le Persone che stanno in video. Riguarderà tanti mestieri. La somma di competenze e meritocrazia è la base di tutto questo progetto».

Intanto, per scendere su un terreno più da politica classica, perché vengono sempre rimandate le nomine dei direttori nei tiggì?

«Verranno fatte al momento giusto».

La Rai è stata il tempio della politica. In questa fase di anti-politica dilagante non rischia di rimanere spaesata?

«No. In un Paese che sta cambiando così velocemente, bisogna fare uno sforzo in più. E, come le dicevo prima, uscire dagli studi televisivi. Già lo stiamo facendo moltissimo. E in questi giorni di eventi terribili, da Dacca a Nizza, dalla Puglia alla Turchia, abbiamo dato prova di come facciamo informazione e di che cos’è il servizio pubblico. Cento ore di informazione su quegli avvenimenti, 20 ore al giorno su RaiNews, per non parlare della radio».

Entro fine luglio la Rai, per legge, dovrà presentare il Piano della trasparenza. Si saprà chi guadagna più di 200.000 euro all’anno, quanti sono questi fortunati e se sono meritevoli di tanta fortuna. E’ preoccupato dalle polemiche che arriveranno?

«La trasparenza non riguarderà solo gli stipendi ma i bandi di gara e tutte le attività della Rai. A me, la trasparenza piace molto, perché cambia il rapporto tra azienda e mondo esterno e perché aiuta l’innovazione. Non solo. Consente alle persone di sentire proprie le cose e dà loro maggiore diritto di avere voce in capitolo. E tende a portare una maggiore correttezza nei comportamenti in chi agisce dentro la società».

Dal punto di vista dello spettacolo vi aspetta la sfida delle Olimpiadi. Come vi siete attrezzati?

«Avremo un’offerta assolutamente capillare. Si potranno scegliere fino a 36 gare diverse nello stesso momento, grazie all’unione di televisione e di digitale. Credo che sarà un’altra grande prova di servizio pubblico».

 

(Nella foto Antonio Campo Dall’Orto)