Pubblicato il 13/05/2016, 19:33 | Scritto da Gabriele Gambini

Flight 616: montato bene, ma il cast è debole. Il pubblico lo boccia

Flight 616: montato bene, ma il cast è debole. Il pubblico lo boccia
Andato male alla prova dell'Auditel, il dating-adventure di Italia 1 per ora soffre di mancanza di riconoscibilità, pur essendo curato bene sotto il profilo del montaggio.

Flight 616 inevitabilmente ricorda Pechino Express, ma è penalizzato dalla mancanza di personaggi incisivi e riconoscibili.

Partiamo da qualche pregio. Flight 616 è montato bene. Non sbrodola coi tempi, durando il giusto. Unisce la componente televisiva adventure – cioè la nobile arte di circumnavigare il globo raccontando le delizie dei territori attraverso sfide di cappa e spada e investigazioni bucoliche – a quella del dating – cioè la sublimazione empirica del broccolaggio da discoteca che alza il testosterone nei maschietti e le finte barriere difensive nelle femminucce. Il gioco delle parti. Ricorda Pechino Express, certo che lo ricorda, con una spruzzata di Temptation Island. Non è necessariamente un male, se in tv tutto è già stato detto, conta anche rielaborarlo calibrandone i contenuti, facendo in modo che la novità carburi sottotraccia, crescendo alla distanza. Tuttavia la prima puntata, andata male alla prova dell’Auditel (leggi qui), ci consegna una stecca: un cast debole in una narrazione flebile. Dalla produzione avevano assicurato che le selezioni erano state fatte privilegiando personaggi caratterizzati, con una ricca storia alle spalle e con qualcosa di forte da dire. Eccezion fatta per qualche nome (Moira Orfei è una delle poche con un background per lo meno interessante) i protagonisti, scelti per rappresentare i sogni della nuove generazioni di italiani, fino a oggi sembrano una versione 3.0 dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, degli adespoti che hanno trovato serrata la porta degli studi di Uomini e Donne e hanno deciso di consolarsi scroccando qualche viaggio e magari sbocciando champagne sperando nel sollazzo sotto alle lenzuola.

Non è colpa loro, ma senza un supporto autoriale forte, si disinnesca sul nascere la portata dello storytelling, la carica, magari anche trash, dei dialoghi. «Ciao, sono Gina (nome di fantasia) e mi piacciono le cose a tre», non basta, come ingrediente pecoreccio di sicura efficacia. Nella dispersiva tv di oggi, quando diminuisce la portata dell’ “evento” e aumentano i cloni dei programmi, la memoria a lungo termine del pubblico è messa a dura prova. In pochi si ricorderanno nel dettaglio tutte le edizioni dei vari Pechino Express, ma a tanti saranno rimaste impresse la lisergica Marchesa d’Aragona, la linguaccia di Angelina, la critica arcata sopraccigliare innalzata di Pinna. Qui non ci si ricorda di nessuno, almeno per ora. Perché di personalità incisive ce ne saranno state anche, sulla carta. Ieri è emersa solo quella, senza picchi e senza cadute, della conduttrice Paola Barale.

 

Gabriele Gambini
(Nella foto Paola Barale)