Pubblicato il 13/05/2016, 15:34 | Scritto da La Redazione
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Corrado Guzzanti: Ecco la mia nuova serie per Sky

Una risata seppellirà la sinistra degli snob

Rassegna stampa: Il Venerdì di Repubblica, pagina 18, di Michele Serra.

Un intellettuale vanesio si trasforma nel suo opposto: un comico qualunquista e di successo. Corrado Guzzanti torna in tv, su Sky, con “Dov’è Mario?”. Una serie che reinventa “Il dottor Jekyll e Mister Hyde” nell’Italia di oggi. Un prodotto raffinato. “Ma la satira non dovrebbe prendersi mai troppo sul serio, né chi la fa presentarsi come un santone” dice lui. “Altrimenti è una truffa”.

«Sono arrivato a novantadue chili» dice Corrado. Lo dice allegro, come se una certa contentezza di sé lo accompagnasse, come si merita e come non sempre gli è accaduto. Nella casuale, improbabile intimità del collegamento Skype la sua bella faccia romana (effettivamente un poco più rotonda del solito) ha come sfondo una cucina moderna, bianca, non saprei dire quanto tecno. Sorridiamo delle rispettive inquadrature domestiche e del comune impaccio nei preliminari del collegamento, da occidentali del Novecento che se la cavano così così, con queste pratiche di promiscuità elettronica. La faccia di Corrado Guzzanti è importante. Non è mai stata una faccia da comico in senso classico, piuttosto da attor giovane (più rutelliana che sordiana, per restare nei tipi capitolini). Come riesca senza mai deformarla davvero a farne uscire la malignità inquietante della sua satira, quel tocco noir che rende i suoi personaggi esilaranti e spaventosi al tempo stesso, non è chiaro. Forse nemmeno a lui.

Ho appena visto le prime due puntate di Dov’è Mario?, la nuova serie tv di e con Corrado in onda su Sky Atlantic HD a partire dal 25 maggio, scritta con Matteo Torre (quello di Boris), che è stato fondamentale per dare forma al format; e girata (benissimo) da Edoardo Gabbriellini, livornese di scuola Virzì. È il rientro televisivo di Corrado dopo la raffinata doppia serie di Aniene (2012), forse un po’ troppo «pensata» anche per il suo pubblico, che comunque lo seguirebbe in capo al mondo (lo seguì anche su Marte, con il fez in testa). Lui esce, dunque, da un silenzio piuttosto lungo. Da un’autosospensione. La curiosità è tanta, pari alla stima che il più imprevedibile e ingovernabile dei comici italiani ha saputo guadagnarsi nel corso di una storia artistica lunga ormai trent’anni. «Esco da un periodo piuttosto nero della mia vita. Mi è toccato occuparmi di me stesso e delle mie cose personali. Ma ne esco con molta voglia di scrivere, soprattutto di scrivere, più che di fare l’attore. Fare l’attore è un gioco, fare l’autore è un lavoro, il mio vero lavoro. Difatti recitando mi diverto e basta, scrivendo invece mi angoscio, butto i fogli all’aria, disfo, rifaccio, non trovo requie… Parto sempre da idee semplicissime, ma poi non mi fermo più. Dilago, aggiungo, complico. Torre mi ha aiutato molto, mi ha riportato al formato giusto (trenta minuti per puntata), il regista ha fatto altrettanto.Trenta minuti è il formato perfetto, gli americani ne farebbero otto stagioni da cinquanta puntate, io per fortuna sono pigro…».

L’attesa non è stata vana. Il risultato è guzzantiano ai massimi livelli. Nella qualità del prodotto (che è decisamente alta) e nella genesi, che è stata lunga, meditata, rimasticata, scritta e riscritta. L’archetipo è al tempo stesso una garanzia e una sfida impegnativa: Jekyll e Hyde, lo sdoppiamento della personalità, l’antichissima dialettica tra bene e male, tra educazione e istinto. Corrado è Mario Bambea, un intellettuale di sinistra vanesio e penoso. Più che altro: inutile. Un incidente d’auto e il conseguente coma lo restituiscono, dopo il risveglio, a una vita bipolare: di notte, in un sordido cabaret romanesco, Mario diventa Bizio, il suo contrario. Un comicaccio di infimo livello, volgare, ‘gnorante, vernacolare fino all’intraducibilità, eppure (o proprio per questo) accolto da un travolgente successo. Bizio smania dalla voglia di vivere: quello che il suo alter ego ha sempre trovato disgustoso (le battute da trivio, le escort, il compiacimento nell’essere burino) è ciò che lo anima e che

lo rende vittorioso.

Il dualismo, inutile dirlo, è esilarante. Anche nella stesura della trama, perché favorisce i ribaltamenti di scena e li fa pregustare allo spettatore. Dev’essersi divertito anche Corrado l’attore, a darsi quei due toni così differenti, il ridicolo sussiego borghese di Bambea, tutto erre moscia e giacche giuste, l’atroce svacco popolano di Bizio. Due mostri, due Hyde, verrebbe da dire, che non riescono, messi insieme, a fare un Jekyll. La cultura e la natura, la sinistra e la destra, la pensosità e il menefreghismo, l’élite e il popolaccio, le buone maniere e l’istinto bruto, la calligrafia e lo svacco, la forma e la deformità. Il gioco è intelligente, divertente e a sorpresa pure avvincente. Perché, viste le due prime puntate, stabilita la irresistibile ascesa del cafone energico a scapito del pensatore esangue, viene voglia di capire come diavolo andrà a finire. Come per ogni serie tivù a puntate che si rispetti.

Corrado conferma. «Anche la mia fidanzata, che poveretta si è sorbita tutto il cursus, quando ha visto le prime versioni montate mi ha subito chiesto: e poi? Che succede, poi? Si sa, io non devo dire troppo. Certo c’è un finale. Abbastanza a sorpresa. Un atto autorale, come direbbe Bambea, che rispetta l’andamento da “racconto morale” delle quattro puntate». Lasciami indovinare. Non potevi permettere a Bizio di stravincere… «Diciamo che Bambea riprende il controllo, e Bizio, tutto sommato, glielo cede volentieri. L’arco del racconto si apre con il tizio volgare che manda a cagare l’intellettuale, ma si chiude con una specie di ricomposizione. Perché una delle domande è: davvero sogniamo tutti quanti di scendere di livello? Davvero lo stile postribolare è la salvezza? Le persone disgustose come Bizio non smettono di essere disgustose solo perché ci fanno ridere. E, al di là dello snobismo, gli intellettuali come Bambea sono solo artefatti, solo un atteggiamento? La risposta, alla fine del nostro racconto, è no. C’è un rimescolamento delle carte, forse l’inconfessata invidia dell’ignorante per il colto, forse un complesso di inferiorità. I conti tra i due, comunque, riguardano soprattutto i due, perché il pubblico, nel frattempo, chiede l’autografo, indifferentemente, sia a Bizio sia a Bambea. In sostanza, il Paese non si accorge di essere di fronte a un doppio, a un conflitto così drammatico, gli va bene tutto».

Questo fa molto ridere. Ed è parecchio feroce, come punto di vista sulla nostra condizione presente… «Siamo in un’epoca massmediologica, cioè un bel po’ confusa. La figura dell’intellettuale riconosciuto come tale, provocatorio e prestigioso, Pasolini e Sciascia, non esiste più perché non serve più. La politica, tanto più la sinistra, ha estromesso gli intellettuali, non sa che farsene, si tiene i Bambea come personaggi da talkshow, innocui, figurette televisive tra le tante». Hai fatto un bel prodotto. «Alto», si dice nel gergo televisionaro. Ogni tanto qualcuno ti dice che sei bravissimo, ma un po’

troppo sofisticato . «Non mi è mai capitato di censurarmi perché temevo di essere “troppo difficile”. Essendo di natura un complessato penso che il pubblico sia molto più sofisticato di me, che non si accontenti della prima fregnaccia. E dunque mi piace lasciarmi andare verso alcuni abissi… La meccanica di questo mestiere, comunque, è sempre quella: la battuta è fortemente logica. Se il pubblico non ride vuol dire che non gli hai dato gli elementi nell’ordine giusto. In questo senso la satira è quasi sempre una truffa: il meccanismo, quando funziona bene, fa sembrare il risultato molto più

“alto”di quello che in effetti è. E tutti ti attribuiscono un pensiero superiore alle

tue ambizioni. Ma è l’architettura della satira quello che la fa funzionare, non il

“messaggio”. Per questo il satirico non deve mai fare l’errore fatale, che è quello di santonizzarsi».

Ma come, e tutti i libroni sulla comicità, Il motto di spirito di Freud, il Saggio sul significato del comico di Bergson… «Sono a loro volta libri-truffa». La chiacchierata è finita, Mario Bambea non sarebbe contento della battuta finale su Freud e Bergson, ma Corrado, come tutti i comici, è anche Bizio, ovvero Hyde. Ripensando alla lunga carrellata dei suoi personaggi, a partire dallo studente de sinistra Lorenzo, si ritrova una costante ferocia comica (comica, ma ferocia) nei confronti dell’antropologia italiana degli ultimi decenni. Con equanime accanimento nei confronti della destra contenta di sé e della sinistra depressa, se mai bastassero, queste due vecchie definizioni, a raffigurarci come popolo. Devo confessare che rivendico ai Bambea, con tutta la loro prosopopea, qualche chance in più nella comprensione dei fatti: e perfino dei propri difetti. Non concedo ai Bizio la stessa facoltà di accertamento, e di conoscenza di se stessi. Ma non è detto che sia uno svantaggio. Per sapere che cosa ne pensa Corrado, mi toccherà vedere tutte e quattro le puntate.

(Nella foto Corrado Guzzanti)