Pubblicato il 21/04/2016, 11:34 | Scritto da La Redazione
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RAI, Merlo e Corrias vice di Verdelli – Campo Dall’Orto: Meritarsi il canone

Rai, Merlo e Corrias vice capi alle News. E Verdelli avvia lo screening dei giornalisti

Rassegna stampa: Il Messaggero, pagina 6, di Claudio Marincola.

Aveva promesso di rivoluzionare la Rai, a partire dall’informazione. Ma quando, a 9 mesi dal suo arrivo, l’ad Antonio Campo Dall’Orto ha proposto la nomina di Francesco Merlo e Pino Corrias come vicedirettori editoriali per l’offerta informativa tra i consiglieri di viale Mazzini è calato il gelo. Franco Siddi, ex segretario Fnsi è uscito dalla riunione del cda che aveva all’ordine del giorno il piano industriale, approvato poi all’unanimità e ha fatto un bel respiro prima di rientrare. Gli altri spiazzati, disorientati: non se n’era mai parlato prima. Così che le nomine sono rimaste in sospeso, congelate, derubricate a semplici “desiderata” del direttore editoriale Carlo Verdelli. Merlo, 65 anni, editorialista di Repubblica, attualmente pensionato, ex inviato del Corriere della Sera, e Corrias, 60 anni, capostruttura di Rai Fiction, scrittore e collaboratore di Vanity Fair, sono due penne colte, firme di rango, scelte da Verdelli per cambiare il volto dell’informazione Rai. A loro si aggiungerebbe per lo sviluppo dell’area digital Diego Antonelli, 45 anni, capo della redazione Immagini dell’Ansa.

Una super-redazione che farebbe da cabina di regia avviando la trasformazione dei Tg. Meno edizioni, e meno canali, (RaiSport avrà una sola Rete), svecchiamento, coordinamento, sinergie, trasformazione dell’azienda in media company. Campo Dall’Orto come sempre ha deciso da solo reclutando e cooptando il personale. Con la stessa logica già utilizzata per i direttori promossi a capo delle Reti, Daria Bignardi, Ilaria Dallatana, Andrea Fabiano. La priorità ora è dare una rinfrescata alle news. Puntare sul pubblico delle famiglie italiane (Rai 1), giovanile e Pop (Rai 2), attento ai linguaggi e agli approfondimenti (Rai 3) e valorizzare RaiNews24. Con Francesco Merlo cresce la pattuglia di giornalisti transitati dal Gruppo Espresso a Saxa Rubra. Da Gabriele Romagnoli, neo direttore di Rai Sport, a Massimo Giannini, da due anni conduttore di Ballarò, senza considerare lo stesso Verdelli, editorialista del quotidiano di Largo Fochetti. Il cda, iniziato alle 14, è andato per le lunghe. Un po’ per il volume del faldone del piano industriale circa 200 pagine, allegati compresi un po’ per le polemiche alimentate da Siddi. Che in serata ha commentato: «Ho contestato il metodo: il compito strategico di definire la struttura spetta al cda e non le scelte di Verdelli». L’assunzione di Merlo è messa in discussione anche da Arturo Diaconale «una scelta divisiva e poi è un pensionato».

IL CENSIMENTO Dalla ricerca interna è scaturita la scelta di altri 4 redattori, tutte donne, che verranno aggregate alla squadra. Ma il reclutamento continua per conoscere a fondo profili, mansioni, competenze e aspirazioni dei 1.620 giornalisti che viale Mazzini evidentemente non ritiene di conoscere abbastanza. Il censimento andrà avanti. Verdelli lo ha affidato a 4 giornalisti che conoscono bene la “macchina” e dovrebbero incarnare la rivoluzione interna dal direttore editoriale: Fabrizio Maffei, voce di 90° Minuto e già due volte direttore di Raisport; Roberto Amen, vice direttore di Rai Parlamento; Roberto Mastroianni, meno conosciuto dei primi due ma insieme a Michele Mezza tra gli ideatori e fondatori di RaiNews24, e Alessandro Casarin, già direttore dimissionario della TgR. La ricognizione nelle intenzioni di Verdelli servirà a valorizzare le risorse interne e a realizzare tutti i processi editoriali di integrazione tra il mondo web e i canali tv. E per una volta incontra anche la piena adesione del sindacato interno, l’Usigrai che aveva posto proprio la definizione di un data-base in testa alle richieste nel suo ultimo congresso a Padova. Da più di un mese i giornalisti su base volontaria incontrano i 4 dirigenti. I colloqui individuali durano circa un’ora. I giornalisti si raccontano, spiegano cosa fanno, cosa vorrebbero fare, cosa va e cosa non va. Una volta completato, il censimento servirà a conoscere per filo e per segno le professionalità interne. Ma che la mappatura si faccia solo ora colpisce («è strano che da vent’anni a questa parte non si sia fatto nulla del genere», avrebbe osservato Verdelli, parlandone con i collaboratori).

IMPASSE SULLE ASSUNZIONI E si aspettano i rinforzi. L’arrivo dei 104 giornalisti che hanno superato le prove del cosiddetto concorsone. Entro l’estate dovrebbero essere assunti (con un contratto a tempo determinato per i primi 3 anni). Alcune redazioni sono sotto organico, in particolare quelle delle piccole sedi regionali dove secondo il sindacato ci sono vuoti da coprire. Ma l’azienda vorrebbe subito schierare in prima fila i nuovi assunti, giornalisti che hanno superato prove molto selettive e provengono da esperienze diverse. L’idea era di lanciare chi è più preparato e fresco in prima linea per dare concretamente ed esteticamente il senso che il cambiamento è iniziato. Voci e volti nuovi. Il sindacato chiede che la scelta competa ai direttori perché ritiene che non si possa prescindere dalle richieste di chi ha maturato nel tempo un’anzianità di servizio. E il braccio di ferro continua.

 

Antonio Campo Dall’Orto: “La Rai deve meritarsi il canone”

Rassegna stampa: Il Sole 24 Ore, pagina 27, di Andrea Biondi e Marco Mele.

Il piano triennale punta a un’azienda che torni centrale nella generazione di contenuti e sull’innovazione tecnologica. Il dg Campo Dall’Orto: il servizio pubblico tornerà a inventare tv.

Alla domanda su quale sia la sfida più importante per la Rai, la risposta è secca: «Non c’è dubbio. Bisogna meritarsi il canone». Antonio Campo Dall’Orto, direttore generale della Rai con poteri da amministratore delegato, ha presentato ieri in consiglio d’amministrazione il Piano industriale che dovrà condurre la Rai al 2018. Un Piano triennale che arriva nel mezzo di una riforma, quella del canone, sulla cui operatività nulla al momento si può dare per scontato, e presentato nel mezzo di una consultazione pubblica in vista del rinnovo della concessione decennale. «È chiaro – precisa il dg Rai – che dovremo rifare un check a fine anno, appunto per verificare gli esiti di questi due passaggi fondamentali». Intanto però fuori da Viale Mazzini c’è “Un mondo nuovo… una nuova era”, per citare una slide contenuta nel documento che riprende l’Economist e una sua rielaborazione grafica dell’Inghilterra di Game of Thrones. I dominatori si chiamano Apple, Netflix, Google, Amazon, Facebook. Con loro dovrà fare i conti la Rai delle mille polemiche dal Capodanno con countdown troppo anticipato, all’intervista a Riina jr., alla copertura al lumicino per le trivelle ma cui è riconosciuto unanimemente il ruolo di guida culturale del Paese. Con loro dovrà fare i conti la Rai spesso sul banco degli imputati per mancanza di innovazione, ma che con il Festival di Sanremo o II Commissario Montalbano tiene davanti alla tv milioni di spettatori.

La Rai dei prossimi tre anni, dice Campo Dall’Orto, «dovrà completare la sua trasformazione in media company» seguendo un Piano «che è figlio di un’idea di una Rai che sarà centrale nel suo ruolo di generatore di contenuti», ma anche che «torna a investire in tecnologie e a porsi come motore dell’innovazione».

Mediaset e Vivendi da una parte, la Sky “paneuropea” dall’altra. La Rai è veramente in grado con questo piano di resistere a questi giganti che sono già in casa nostra, oltre a quelli che arrivano dagli Usa?

Il nostro ruolo è diverso. Noi siamo il servizio pubblico italiano. In quanto tale abbiamo il dovere di non rincorrere l’audience a tutti i costi e anzi di pensare a un’offerta complementare a quella della tv commerciale. Aggiungo: come servizio pubblico abbiamo alcune mission non solo sui contenuti e il racconto del Paese, ma anche sull’essere da stimolo all’alfabetizzazione digitale.

Alla Rai come servizio pubblico si imputa però da tempo di aver perso quella spinta creativa che ne ha fatto in passato un motore di sviluppo della cultura popolare. Non crede che bisognerebbe tornare ad avere degli “inventori” di Tv?

Chiaramente sì. Il tema vero è che la nostra azienda si è impoverita da questo punto di vista. Negli anni ha perso una parte culturalmente rilevantissima, che stiamo cercando di recuperare. Faccio un esempio: a tutti i direttori di rete ho chiesto di ricreare la cultura dei capistruttura, vale a dire quelle figure che erano in grado di intercettare i bisogni del pubblico. Certo, tutto questo necessita di tempo. Però se nei prossimi tre anni avremo ricreato una nuova generazione di questo tipo, avremo fatto un passo davvero importante sulla nostra missione.

Di quanti investimenti aggiuntivi necessiterà questo Piano?

Il Piano è stato fatto in relazione alle risorse di cui stimiamo di poter disporre nei prossimi anni. In questo sistema si inseriscono risorse incrementali del canone, che lo ricordo passa da 113 a 100 euro, per il quale abbiamo previsto un tasso di morosità dell’8%, a differenza del 27% di oggi.

Non si tratta di una stima prudenziale?

Ma si parla di sei milioni di famiglie in più che pagheranno: si passa da 15 a 21 milioni. Non è poco. A ogni modo, con queste risorse porteremo avanti il Piano mantenendo in equilibrio i conti nei prossimi tre anni in cui abbiamo messo in previsione un utile pre-tasse.

E per il 2015?

L’azienda chiuderà in rosso, ma meglio del budget. Avremo una perdita intorno ai 20 milioni di euro. Per i prossimi anni, invece, se non ci saranno sorprese sul canone e se non interverranno altri elementi esterni di sistema, l’azienda avrà la forza per portare avanti questo piano triennale che ha tra i suoi obiettivi l’efficientamento dei processi ma senza alcun esubero. Tutte le risorse così recuperate verranno investite nei contenuti.

Altri operatori del mercato, ma non solo, stanno chiedendo di avere una Rai senza pubblicità, viste le risorse in più che arriveranno con il canone in bolletta.

Va chiarito che non si può fare la trasformazione della Rai in media company senza un incremento degli investimenti. La decisione in ogni caso non spetta a noi che siamo oggetto della discussione. Penso che con questo perimetro di risorse la Rai possa fare bene il proprio mestiere come operatore culturale del Paese che punta sui contenuti, sulla digitalizzazione e che è il primo investitore nell’audiovisivo nazionale. Peraltro, nel nostro ruolo di servizio pubblico, dal primo maggio togliamo la pubblicità a Rai Yo Yo, il canale per i bambini. In ogni caso, dobbiamo interrogarci sul ruolo industriale della Rai in un sistema in cui la spinta dei colossi stranieri è notevole e in cui la Rai è destinata a rimanere il soggetto, o uno dei pochi, che presidierà il racconto del nostro Paese.

Quindi rinunciare alla pubblicità metterebbe a rischio i piani della Rai?

Io dico che possiamo discutere di limitazioni solo in caso di un sensibile aumento di introiti dal canone rispetto a quelli attualmente previsti. Ricordo che stiamo investendo 200 milioni di euro nella fiction. È chiaro che in questa, come in altre situazioni, occorre essere tutti consapevoli che le risorse che ci arrivano con canone e pubblicità è la stessa Rai che le rimette poi in circolo nel sistema. Non è così per gli altri attori del mercato. Del resto noi siamo servizio pubblico. Questo non vuol dire che non serva una Rai più efficiente e in grado di avere un ruolo attivo, a partire dalle coproduzioni, anche internazionali.

Quali sono le sfide principali che ha davanti l’azienda televisiva pubblica?

L’informazione è la prima attività che giustifica l’esistenza di un servizio pubblico mentre lo sport è forse la sfida più bella. Per il pubblico l’informazione siamo noi, lo sport invece no: abbiamo un gap non indifferente con le tv a pagamento, ma lo sport è un contenuto trasversale, che intercetta anche pubblico che di solito non guarda la tv.

E l’intrattenimento? La fiction?

Dobbiamo offrire qualcosa di diverso dalla tv commerciale. Penso a Laura&Paola. Penso al Rischiatutto, che sarà al giovedì e venerdì sera con Fazio. Nella fiction siamo il primo riferimento in Italia, i promotori di un racconto che dobbiamo comunque articolare ancora di più. Anche con partner esteri: Suburra è una fiction che nasce da un film finanziato da noi e la faremo con Netflix. I Medici sarà girato in inglese ma è una storia nostra, italiana.

Lei ha parlato di innovazione tecnologica nell’offerta. Cosa prevedete?

Pensiamo a un’offerta multipiattaforma, sempre gratuita, di alta qualità. Stiamo digitalizzando tutto il materiale, Teche comprese, la cultura visiva di questo Paese. La prima nostra offerta sarà pronta a settembre. Vogliamo usare tutte le piattaforme come veicoli distributivi dei nostri contenuti, che si devono integrare nelle piattaforme social, da YouTube a Facebook per raggiungere tutti i tipi di pubblico. E dobbiamo rivedere i contratti: sino a due-tre anni fa la Rai i diritti digitali nemmeno li acquistava.

Come va la pubblicità?

Negli ultimi mesi del 2015 molto bene e bene anche in questo inizio d’anno. I prezzi li abbiamo alzati, tanto che non abbiamo più il bacino pieno, è inevitabile.

E i contenziosi aperti con lo Stato?

Alcuni sono atti dovuti, altrimenti la Corte dei Conti ce ne chiederebbe ragione, ma gli scontri tra parti dello Stato secondo me vanno azzerati: stiamo lavorando con il ministero dello Sviluppo economico per la loro risoluzione.

In questi giorni è arrivata la sospensione dei tre dirigenti indagati per corruzione.

Oggi gestire risorse pubbliche comporta molta più responsabilità, il tema della trasparenza non può essere messo in discussione. Aggiungo: ho appena revocato una gara. Ci ho messo mesi, ma il rapporto fra prezzo e servizio non funzionava. Situazioni di questo tipo non accadranno più.

Ma alla fine dei tre anni avremo una Rai più lontana dalla politica?

Un momento simbolico è stato quello della nomina dei direttori di rete. A ogni modo, è normale che la politica interloquisca. Non c’è nulla di male, tuttavia deve farlo nelle sedi opportune.

 

(Nella foto Antonio Campo Dall’Orto)