Pubblicato il 04/04/2016, 13:35 | Scritto da La Redazione

Programmi televisivi “on demand”. Agli italiani piacciono sempre di più – Così Netflix ha “strozzato” la qualità video dei clienti

Programmi televisivi “on demand”. Agli italiani piacciono sempre di più – Così Netflix ha “strozzato” la qualità video dei clienti
Il 36% dei nostri connazionali attivi in Internet fruisce dei servizi video su richiesta e a pagamento con una media di tre volte alla settimana. E poi la guerra della tv in streaming con le telco.

Rassegna stampa: Affari&Finanza, pagina 44, di Maria Luisa Romiti.

Programmi televisivi “on demand”. Agli italiani piacciono sempre di più

Il 36% dei nostri connazionali attivi in Internet fruisce dei servizi video su richiesta e a pagamento con una media di tre volte alla settimana. A dirlo l’indagine Nielsen che ha coinvolto 61 Paesi, tra cui l’Italia.

Sta cambiando il modo di vedere i programmi televisivi si sta parlando soprattutto a livello globale e le persone ricorrono sempre più al “video on demand Vod” per decidere cosa guardare e quando farlo. Secondo l’indagine Video on demand, condotta da Nielsen coinvolgendo 30mila intervistati in 61 Paesi, tra cui l’Italia, esiste una fetta ormai consistente di popolazione che si rivolge a servizi base offerti da player alternativi (per esempio, Netflix) o a servizi a valore aggiunto proposti da quelli tradizionali già attivi nel campo della pay tv su digitale terrestre o satellite. Il 36% degli italiani attivi in Internet fruisce di questo genere di servizi a pagamento, un fenomeno ancora contenuto se messo a confronto con la penetrazione a livello europeo o globale (tra il 50 e il 65 per cento). La modalità on demand (in pratica in streaming) sta diventando per molti un’abitudine, tant’è che oltre il 50% di chi ne fluisce accede ai servizi almeno tre volte alla settimana.

Il dato è allineato a quello del vecchio continente, ma molto più contenuto rispetto al valore registrato a livello mondiale (85%). Le ragioni principali che spingono alla scelta dei servizi Vod sono abbastanza scontate, ovvero la possibilità di godere dei contenuti nei momenti della giornata più “comodi” (69%) e per il 67 per cento quella di fruire in sequenza di tutti gli episodi di una serie. Inoltre il 54% degli intervistati considera i servizi on demand, alternativi alla pay tv tradizionale, come meno costosi. E per quanto riguarda i device? Mediamente se ne usano dai due ai tre e il mobile svolge un ruolo importante. Infatti il 48% accede da smartphone, mentre il 38 per cento utilizza il tablet, anche se più della metà degli intervistati concorda nell’affermare che l’esperienza di visione dei contenuti non è così buona e ugualmente coinvolgente come quella che si avrebbe su uno schermo dimensioni più grandi. L’utilizzo dei servizi Vod è legato anche alla diversità degli interessi e dei gusti all’interno del nucleo familiare: ognuno può vedere contemporaneamente, su device differenti, ciò che preferisce (46% degli intervistati italiani contro il 66% di quelli a livello mondiale).

I contenuti ritenuti più “interessanti” sono film (75%), serie tv (41%) e documentari (33%). La loro fruizione non coincide necessariamente con un’esperienza di isolamento. Il 39 per cento, infatti, afferma che ama utilizzare i social media (49% a livello europeo). La discussione avviene, quindi, con gruppi di interesse con i quali spesso si condivide una conoscenza approfondita e la passione per un determinato programma o per una particolare serie televisiva. Attualmente in Italia solo il 5% utilizza player alternativi per accedere a contenuti on demand, mentre a livello europeo e globale tale quota raggiunge rispettivamente l’11 e il 26 per cento. Gli utenti di servizi video on demand ritengono l’advertising uno strumento in grado di supportarli nella soddisfazione dei loro bisogni: il 53% dichiara di essere disposto a vedere spot su prodotti di loro interesse, mentre il 39% riconosce alla comunicazione commerciale la capacità di suggerire prodotti che si è potenzialmente interessati a provare. Tuttavia il 62% è d’accordo nell’affermare che, oggi, la maggior parte della pubblicità riguarda prodotti che non sono di loro interesse.

 

Rassegna stampa: CorriereEconomia, pagina 20, di Edoardo Segantini.

Così Netflix ha “strozzato” la qualità video dei clienti

La net neutrality, cioè il concetto che il traffico Internet debba essere trattato allo stesso modo, senza corsie preferenziali a pagamento, sta diventando un campo di battaglia. Oggi in America, domani in Europa. Il contrasto, al momento, si gioca tra i due big delle reti (At&t e Verizon) e la superpotenza dello streaming video, Netflix, da qualche tempo operativa anche in Italia. Gli ultimi giorni hanno mostrato bene il tema del contendere: la qualità del servizio e la ripartizione dei suoi costi. La televisione (chiamiamola così) da tre anni accusa le due telco di fare throttling, ovvero di tener bassa (letteralmente di «strozzare» la qualità dei film veicolati sulle loro reti. È poi emerso che la «strozzatura» c’è stata, sì, ma a stringere il cappio è stata proprio Netflix. Lo sta facendo, ha ammesso per la prima volta l’azienda, con un doppio obiettivo: uno, dichiarato, di «proteggere i consumatori dal rischio di superare i tetti di abbonamento ai dati mobili»; l’altro, sostanziale, di evitare che acquistino meno film in streaming. In sintesi: Netflix difende il suo business (i contenuti), le telco proteggono il loro (il trasporto dei contenuti sulle reti).

Come i generali romani, Netflix divide il «fronte avversario»: limita la qualità video per i clienti di At&t e Verizon ma non per quelli di T-Mobile e Sprint. Le quali, a differenza delle due più grandi, quando il consumo del cliente supera la soglia contrattuale, anziché addebitargli una tariffa extra, rallentano la velocità di connessione. Il «di più» che un cliente consuma, guardando film in alta definizione, dicono At&t e Verizon, dovrebbe esser pagato da Netflix. Ma quest’ultima grida alla sacra «neutralità violata». In realtà di sacro non c’è un bel niente: è solo un conflitto di interessi industriali e commerciali tra giocatori potenti. La storia del throttling è venuta fuori grazie a un esperto di informatica, Milan Milanovic, che tiene costantemente sotto controllo la velocità di connessione delle telco e ha postato su YouTube la bassa qualità dello streaming video di Netflix sulle reti At&t e Verizon. Bisogna infine tener conto di due aspetti. Primo: quando, in una certa zona o quartiere, tante persone si mettono contemporaneamente a guardare film odine in alta definizione, facilmente si creano congestioni delle reti. Secondo: del traffico dati su reti fisse Netflix consuma, da sola, quasi il 40 per cento. E non a caso la sua offensiva contro At&t e Verizon è partita nel 2014, quando le due telco si sono rifiutate di dare la connessione diretta e gratuita ai suoi server. Netflix ha fatto pragmaticamente retromarcia e ha pagato per connettersi. Ma da quel momento ha trasformato la sua guerra di business in una «battaglia di libertà» e «contro ogni discriminazione»: cui tanti, forse troppi, hanno creduto.

 

(Nell’immagine il logo di Netflix)