Pubblicato il 30/03/2016, 13:33 | Scritto da La Redazione

Diaconale: “Il sondaggio Rai: ennesima trovata per non decidere” – Pubblico e pubblicità: qualcosa cambia in tv

Diaconale: “Il sondaggio Rai: ennesima trovata per non decidere” – Pubblico e pubblicità: qualcosa cambia in tv
Il consigliere Rai, sulle pagine de “Il Giornale”, affronta il tema del rinnovo della concessione alla tv di Stato. E poi un'analisi dei dati Nielsen del gennaio 2016.

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 9, di Arturo Diaconale.

Il sondaggio Rai: ennesima trovata per non decidere

È sicuramente una buona idea propagandistica quella di Matteo Renzi di far precedere il rinnovo della concessione di servizio pubblico alla Rai da un sondaggio-consultazione su ciò che i cittadini si aspettano dall’azienda radiotelevisiva di Stato. «La Rai è degli italiani – ha detto Renzi con la solita carica di demagogia – e quindi dicano gli italiani cosa vogliano dalla Rai». Da un punto di vista concreto, però, la trovata serve solo a prendere tempo. Il contratto di concessione scade il 6 maggio ma per questa data ormai incombente il governo non avrà ancora completato la definizione del decreto attuativo della legge che prevede l’innovazione del pagamento del canone sulla bolletta della luce. Di qui la necessità di prendere tempo per mettere a punto il provvedimento. E l’idea di farlo inventando una consultazione popolare che produrrà null’altro di quanto non si sappia già da tempo. Cioè che agli italiani piacerebbe una Rai provvista di due caratteristiche di fondo ma entrambe impossibili: la gratuità e la qualità.

Non saremmo tutti contenti se si potesse abolire il canone? Certo. Ma non si può. Perché se si facesse la Rai diventerebbe una azienda commerciale destinata a competere, dalle posizioni di privilegio lasciate in eredità prima dal monopolio e poi dal duopolio, con le altre aziende del settore. Le conseguenze su un mercato depresso sarebbero devastanti per le concorrenti e per la Rai stessa. E la qualità ne sarebbe la seconda e inevitabile vittima spianando la strada non all’ingresso controllato delle media company, ma a una vera e propria colonizzazione culturale del Paese. La qualità rimane la seconda e scontata caratteristica della Rai auspicata dagli italiani. Già. Ma chi dovrebbe fissare gli standard di questa tanto agognata qualità? L’Auditel, con i suoi indici di ascolto? Un’assemblea di critici televisivi magari presieduta da Aldo Grasso? Un comitato formato da tutti i giudici degli infiniti programmi su talent in onda in Italia in cui inserire obbligatoriamente la Lucarelli, Scanzi e Fedez (per fare rabbia a Gasparri)? Oppure scaricare il peso della valutazione della qualità sulle sole spalle del direttore generale-amministratore delegato trasformandolo, suo malgrado, in una sorte di Minosse renziano dalle responsabilità insostenibili?

Anche questo, allora, appare come un auspicio impossibile. Fino ad ora i criteri di valutazione della qualità sono stati molteplici. Un po’ di criterio commerciale, un po’ di estetica crociana (sempre di meno), un po’ di analisi gramsciana. Il tutto condito con tanta salsa cattolica ed, alle volte, con il buon senso. Di qualità, in sostanza, ce ne sono state una infinità. Tante quante richieste da un Paese che è storicamente il trionfo delle diversità. E se la consultazione-sondaggio confermasse che l’unico servizio pubblico a cui gli italiani aspirano è quello capace di dare sempre conto di queste diversità?

 

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, pagina 21, di Loris Mazzetti.

Pubblico e pubblicità: qualcosa cambia in tv

Un’analisi dei dati Nielsen del gennaio 2016.

Se gli investimenti pubblicitari sono la cartina di tornasole, in l’Italia qualche cosa sta cambiando. A conferma di un aumento della produzione industriale, i dati Nielsen di gennaio rispetto al 2015 (in calo del 2,8% sul 2014) danno una crescita dell’investimento del 2,5% pari a 10,6 milioni di euro in più. In ripresa la pubblicità sui quotidiani: più 2,2%, mentre il calo nei periodici è drammatico: meno 14,1%. Leader la tv con più 4,7% nonostante (dati Auditel) la platea televisiva si sia ristretta del 5%. Un milione e mezzo di telespettatori hanno smesso di guardare la tv. Un milione userebbe quella a pagamento via web di Sky, Mediaset e Netflix che in Italia, da ottobre, ha racimolato più o meno 300 mila abbonati, nettamente al di sotto delle previsioni. Negli ascolti di prima serata perdono La7 (meno 0,6%) e Mediaset (meno 2,7%), il cui bilancio del 2015 è stato chiuso con un utile di 4 milioni di euro contro i 23,7 del 2014, differenza dovuta sia all’aumento degli oneri (legge di Stabilità) che alla crisi di Mediaset Premium. Quest’ultima è motivo di disaccordo tra la famiglia Berlusconi e Bolloré per uno scambio di azioni del 3%tra Mediaset e Vivendi, la società francese di telecomunicazioni che recentemente ha acquisito il 24,9% di Telecom.

La Rai, invece, è aumentata dell’1,5%. Una delle ragioni del travaso dell’ascolto in prime time è la presenza in chiaro di Sky sul canale 8 dt (Tv8 ex Mtv) che al mercoledì con Italian’s Got Talent triplica il dato sfiorando il 4%, e Discovery sul 9 (Deejay tv). I due network a gennaio hanno registrato un aumento consistente delle entrate pubblicitarie: Sky più 12,5% (totale 32,4 milioni di euro), Discovery più 20% (17 milioni). La Rai libererà dal primo maggio tra i 20 e i 30 milioni di euro di pubblicità togliendola dai canali Rai YoYo, Rai 5 e Rai Storia. È l’annuncio fatto alla vigilia di Pasqua da Renzi. La perdita sarà compensata, sostiene sempre Renzi, dai 300 milioni di aumento del canone grazie al suo inserimento in bolletta. Nel frattempo, il governo non ha ancora rinnovato la Concessione di servizio pubblico alla Rai che scadrà il 6 maggio e di cui non si conoscono le nuove condizioni.

 

(Nella foto la statua equestre di Viale Mazzini)