Pubblicato il 24/03/2016, 12:32 | Scritto da La Redazione

Mediaset-Vivendi, si lavora sull’intesa – Riccardo Silva: “Io rischio e offro più degli altri. Così conquisto il mondo coi diritti tv”

Rassegna stampa: Il Sole 24 Ore, pagina 37, di Carlo Festa e Simone Filippetti.

Mediaset-Vivendi, si lavora sull’intesa

Ancora molti ostacoli da superare, in primis la valutazione degli asset. Verso un accordo su tre livelli: contenuti, distribuzione e pay tv. Si rafforza l’ipotesi di uno scambio di quote intorno al 3% e di una rappresentanza incrociata nei board.

Un piccolo scambio azionario per disegnare una grande alleanza, quella tra Vivendi e Mediaset: la soglia del 3%. Il finanziere Vincent Bollorè, l’uomo crocevia delle partite più strategiche in Italia, e PierSilvio Berlusconi su contenuti, distribuzione e pay tv, cercano il bandolo della matassa di una partita complicata. Nessuna vendita di Premium, hanno tagliato corto due giorni fa da Cologno Monzese. E così infatti sarà: Mediaset non intende rinunciare alla sua pay-tv (anche perché sarebbe una mossa industrialmente suicida visto che i contenuti a pagamento sono il futuro della tv), ma l’eventuale accordo Bollorè-Berlusconi sarà molto più ambizioso: uno scambio azionario e di governance. Su questo si starebbe trattando, ma è ancora tutto in alto mare: l’ostacolo maggiore sono le valutazioni degli asset. L’ipotetico annuncio di un’operazione italo-francese non ci sarà prima di Pasqua, come invece era circolato fino a qualche settimana fa, ma dovrebbe richiedere più tempo. Nessun cda di Mediaset è previsto a breve.

I riflettori sono puntati sullo scambio azionario tra Vivendi e Mediaset che dovrebbe cementare l’alleanza: si parla di una quota attorno al 3% del capitale di Mediaset e con una quota più o meno dello stesso livello di Vivendi. I francesi, già i dominus di Telecom Italia (col 24,9%), entrerebbero nel principale gruppo tv privato italiano. In cambio l’ex premier Silvio Berlusconi riceverebbe una quota analoga in Vivendi. A cementare l’unione, l’ingresso, anch’esso incrociato, di un consigliere delle due famiglie nei rispettivi cda dell’altra azienda. Ma siccome le due aziende non hanno la medesima capitalizzazione (Vivendi è a 26 miliardi, Mediaset a 4,5), l’equity swap andrebbe compensato: probabilmente il ribilanciamento potrebbe consistere in un conguaglio di azioni Mediaset Premium, che permetterebbe a Vivendi di entrare direttamente dentro la pay-tv e puntare ai contenuti.

I legali delle parti sarebbero al lavoro per produrre i contratti necessari all’accordo e per definire la governance dell’alleanza: lo studio Chiomenti per conto di Mediaset e Carnelutti per Vivendi. A lavorare a un accordo tra Vivendi e Mediaset, come regista e mediatore di tutta l’operazione, sarebbe l’imprenditore franco-tunisino Tarak Ben Ammar, consigliere di Mediobanca e in ottimi rapporti sia con Bollorè sia con Berlusconi (entrambi peraltro soci di Piazzetta Cuccia). Il piano «Ben Ammar» prevederebbe un accordo su tre livelli: contenuti, distribuzione e pay tv. Le aree geografiche coinvolte saranno Francia, Spagna, Italia e probabilmente Germania. Il primo livello sarà la costituzione di una piattaforma per la distribuzione dei contenuti: dunque la famosa «piattaforma europea pay» per contrastare gli americani di Netflix, terzo incomodo sulla pay-tv tra Sky e Mediaset in Italia e con una strategia paneuropea.

Un accordo Vivendi, operatore Tlc anche tramite Telecom, con Mediaset aggredirebbe i cosiddetti «Over-The-Top», ossia gli operatori che offrono, solo via internet, film e serie televisive a pagamento. Il progetto anti-Netflix che starebbero studiando Vivendi e Mediaset prevede infatti una piattaforma comune partecipata da entrambi e aperta ad altri soggetti. Dovrebbe riunire Infinity, la piattaforma di tv on-demand e mobile che Mediaset presente in Italia e Spagna, ma anche altre piattaforme come la società tedesca di streaming Watchever, comprata due anni fa proprio da Vivendi. Il pericolo del resto è serio: non solo per i gruppi media come Vivendi e Mediaset, ma per le major di Hollywood stesse (da Universal a Fox e Sony) che hanno creato in modo involontario un colosso come Netflix. Il gigante guidato da Reed Hastings, da puro distributore di contenuti, è diventato produttore realizzando ad esempio serie di successo planetario come House of Cards.

E proprio sui contenuti dovrebbe essere il secondo livello dell’accordo tra Vivendi e Mediaset. Vivendi ha 8 miliardi incassa ma ha bisogno di alleati come Mediaset ed altri gruppi media in Europa per produrre contenuti esclusivi da distribuire. Resta infine il terzo livello dell’alleanza: l’accordo sulle pay tv. Canal+ sul fronte Vivendi e Mediaset Premium. Le due tv a pagamento potrebbero sposarsi per costituire un polo unico in Europa, in questo caso per fare la guerra a Sky. Intanto ieri, Mediaset è scivolata a Piazza Affari dopo i conti 2015: il titolo, tra i peggiori di Milano assieme a Telecom, ha ceduto il 3,33% a 3,65 euro. Al mercato non sono piaciute le stime 2016 della raccolta pubblicitaria, più debole delle attese, l’andamento nel business televisivo in Italia e le stime sulla redditività degli abbonati di Mediaset Premium (il cui pareggio è stato rinviato al 20i7, secondo alcune stime di mercato).

 

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 53, di Daniele Dallera.

Riccardo Silva: “Io rischio e offro più degli altri. Così conquisto il mondo coi diritti tv”

“La Lega di A imiti le concorrenti estere. Un asse con Infront? Macché, serve rispetto”.

Milletrecento metri quadri, tanta luce in quegli uffici a Londra, ti affacci da una parte e vedi Hyde Park, ti giri dall’altra e trovi Oxford Street. Per un uomo del mondo, con casa a Miami, dove ci sono una moglie, due figlioli e… una società di calcio da lanciare con Alessandro Nesta come tecnico e Paolo Maldini in poltrona come dirigente-socio, con un ufficio «centrale» a Londra, appunto, dove decolla un impero che ha una ventina di sedi, da New York a Singapore (le altre due location principali), passando per l’Africa, strategica anche questa. Siamo con Riccardo Silva della Mp & Silva: uguale diritti tv a livello internazionale. «La cosa che mi infastidisce un po’ – confida Silva – è questa: di me si parla esclusivamente per l’acquisizione dei diritti tv esteri del campionato di serie A. Sono conosciuto nel mio Paese per questo, quando ho altri 61 diritti tv, 61 prodotti, tra cui la Premier League, la Bundesliga, la Liga spagnola, altri campionati europei, la Nfl (football, lo sport dei duri negli Usa)…». Non è finita qui, la Mp & Silva contempla altra argenteria di gran classe come tennis (Roland Garros), ciclismo, rugby, basket, baseball, i cui diritti tv sono stati comprati e venduti in tutto il mondo. «Sì, perché comprare è anche facile, basta avere i soldi, ma poi bisogna vendere, possibilmente con un margine di guadagno: e qui la storia si fa complicata», avverte Silva. Suo papà industriale avrebbe preferito portasse avanti, dopo la laurea in Economia negli Usa, insieme al fratello e ai cugini, l’azienda, chimica e detersivi (Spuma di Sciampagna dice niente?). «Sì, e pensare che per un po’ mio padre non ha ben compreso quale fosse il mio mestiere: lui era tutto fabbrica, operai, mattoni. Ma quando ha visto che anche nel mio lavoro ci sono sostanza, e molta, e spirito imprenditoriale, era anche orgoglioso di quello che stavo facendo». Sincero, Silva junior racconta che «sono stato fortunato ad avere alle spalle un padre che mi ha potuto aiutare, sostenendo e agevolando i miei inizi».

In pratica si è inventato un mestiere?

«Piano, non ho inventato niente. Ho capito e realizzato le mie passioni giovanili, sport e televisione. Anche adesso mi metto lì e studio i contratti, li preparo, mi piace. Avevo un faro, la Img, ma mi sono differenziato puntando tutto sui diritti tv, crescendo in questo settore, curandolo nei minimi particolari. Devo dire a distanza di anni che si è rivelato una scelta giusta».

E si occupa di molto altro. Ha anche una squadra di calcio a Miami.

«Vero, ma la tengo fuori dalla Mp & Silva: Miami Fc soddisfa la mia voglia di calcio, convinto per giunta che il calcio negli Usa diventerà un fenomeno popolarissimo».

Perché non ha acquistato una società di calcio italiana?

«Per carità, no: il mio mestiere è un altro».

Preferisce fare affari con la Lega Serie A. Torniamo ai discussi diritti tv. Si sono mosse l’Antitrust e la Procura di Milano.

«Il mio gruppo non è coinvolto nell’inchiesta Antitrust, non è indagato, è al di fuori di tutto».

Verissimo, ma Infront lo è. Marco Bogarelli anche. E l’Antitrust sta lavorando sulla «torta» divisa tra Mediaset e Sky.

«Appunto, come si vede la Mp & Silva non c’entra nulla. Io ho acquisito i diritti tv della serie A per l’estero partecipando a un’asta. L’ho vinta offrendo di più rispetto al mercato mondiale».

Quanto li ha pagati?

«186 milioni all’anno per il triennio 2015-2018. Chi è arrivato secondo (la Img) ha offerto il 25% in meno. Più trasparente di così».

Senta Silva, si parla di poteri forti, di alleanze favorevoli a certi gruppi, dell’ingerenza di Infront, l’advisor.

«Ma perché? Non è vero: se un altro gruppo avesse fatto un’offerta maggiore della mia, si sarebbe aggiudicato l’asta».

D’accordo, ma l’asse con Bogarelli?

«Ma non c’è alcun asse. Sorrido prima e mi indigno poi quando si avanzano questi sospetti. Il pacchetto per l’estero è unico, aperto a tutti, senza possibili criteri di interpretazione. Chiediamo rispetto per la realtà dei fatti e per il rischio imprenditoriale ed economico che abbiamo preso e che nessun altro al mondo ha ritenuto di affrontare su questi diritti».

Qualche anomalia ci sarà, Procura di Milano e Antitrust indagano. Come giudica il lavoro della Lega? Quello di Infront?

«Io non voglio dare voti e pagelle. Posso invece fare delle riflessioni costruttive».

Quali sarebbero?

«Ci sono Leghe che organizzano un’asta e altre invece che impostano l’acquisizione dei diritti tv su una contrattazione. E c’è chi si affida ad un advisor. Se l’advisor è impegnato anche in consulenze di marketing e di sponsorizzazione si possono creare degli squilibri. Bisognerebbe creare una regola che impedisce questi collaterali».

L’Antitrust sta lavorando sulla spartizione dei diritti tv indigeni tra Mediaset e Sky.

«Una materia che non mi riguarda».

Ma lei è un maestro in diritti tv. Avrà un’opinione?

«Si potrebbero fare e proporre pacchetti più completi. A volte si ha l’impressione di comprare una Ferrari e poi accorgersi di non avere le chiavi».

Immagine efficace, la spieghi meglio.

«Si compra un pacchetto di diritti a prezzi elevatissimi, ma poi si scopre che non sono inclusi alcuni aspetti tecnici ed editoriali importanti e relativi a produzione, post produzione, archivio. Parlo un attimo da telespettatore adesso…».

Prego.

«Mi sembra ingiusto che un broadcaster debba strapagare i diritti tv del campionato e poi non sia libero di riprendere gli allenamenti, intervistare i protagonisti o trasmettere le immagini delle partite dopo sette giorni».

Lei tratta con le Leghe più importanti del mondo: differenze con la serie A?

«Mi limito a dire che apprezzo molto le idee e il lavoro di dirigenti come Andrea Agnelli e James Pallotta. Li ammiro. A volte l’aspetto assembleare della Lega prevale rendendo difficili decisioni, scelte e strategie».

Premier League, Bundesliga, Liga spagnola, Nfl, tutto diverso?

«Sono forse più strutturate, con una governance precisa, ci sono un commissioner, un Ceo, un ad che hanno un maggiore potere decisionale. Si cura ogni aspetto. La Bundesliga ha aperto un ufficio a Singapore, la Premier League ha una sede asiatica…».

Non a caso la Mp & Silva lavora e gioca nel mondo.

 

(Nella foto Vincent Bollorè)